IL DIBATTITO SULLA RIFORMA FORENSE – 7. LA QUESTIONE CRUCIALE DEL PRATICANTATO

Selezione degli interventi nel dibattito al Senato sulla riforma dell’avvocatura, tratti dal resoconto stenografico delle sedute del 9, 10, 11 e 16 novembre 2010 – Gli interventi estratti dalle sedute precedenti sullo stesso disegno di legge sono agevolmente reperibili nella sezione Giustizia di questo sitoIl dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense -1;   Il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense -2;   Il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense -3;   II dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense – 4. La questione dei minimi inderogabili;   Il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense – 5. Le incompatibilità professionali;   Il dibattito sulla riforma forense – 6. sottratta al mercato anche la consulenza

Sommario
1. Sulla tutela del cliente da parte dell’Ordine forense
2.
Sul controllo della continuità ed effettività dell’esercizio professionale esercitato dal Consiglio dell’Ordine
3. Sulla rappresentanza istituzionale dell’avvocatura
4. Sulla qualificazione e la disciplina del rapporto di praticantato

1. – SULLA TUTELA DEL CLIENTE DA PARTE DELL’ORDINE FORENSE

ICHINO (PD). Signora Presidente, stiamo approvando un provvedimento in cui abbondano disposizioni a tutela dell’interesse degli avvocati, ma fa difetto la parte in cui si tutela in modo preciso, concreto e moderno (che tiene conto delle esperienze più rilevanti e interessanti che ci offre il panorama internazionale) l’interesse del cliente.
Il problema cruciale tipico dei rapporti tra il cliente e qualsiasi professionista è l’asimmetria informativa che pone sovente il cliente in una posizione di debolezza e di inferiorità nei confronti dell’avvocato. Tutti sappiamo, perché fa parte della coscienza diffusa, quanto sia problematica la posizione di una persona che ha un dubbio, qualche volta fondato, circa la bontà dell’assistenza che gli viene prestata, e che quindi ha la necessità di quella che nei Paesi anglosassoni chiamano la second opinion: il parere di un altro legale indipendente che, se del caso, tranquillizzi il cliente sul fatto che l’assistenza che gli è prestata è corretta, che non ci sono conflitti d’interesse e non ci sono errori evidenti nel modo di procedere. Diverse associazioni professionali in altri Paesi offrono proprio questo, ossia la possibilità di avere una second opinion riservata e gratuita, a garanzia dell’affidabilità dei membri dell’associazione.
Con la votazione dell’articolo 24 giovedì scorso, avete stabilito che l’ordine professionale ha la rappresentanza esclusiva dell’avvocatura; vogliamo ora introdurre in questa legge almeno un dovere di questo organo verso i terzi: quello di mettere a disposizione del cliente che ha un dubbio sull’operato del suo legale un servizio di informazione e di controllo che può essere adito direttamente in modo riservato, senza conseguenze dirette né per il cliente né per l’avvocato? Sarebbe un modo per trasformare l’ordine da puro e semplice rappresentante e difensore del ceto forense a difensore, anche, almeno per questo aspetto, dell’interesse del cliente. La grave asimmetria informativa che caratterizza il rapporto in questo caso giustificherebbe in modo particolare l’introduzione di una forma di assistenza di questo genere.
Credo che il prestigio dell’avvocatura non avrebbe che da guadagnare dall’introduzione di un servizio di questo tipo. La stragrande maggioranza degli avvocati, che svolgono con coscienza e con perfezione tecnica e professionale il proprio lavoro, non avrebbero nulla di che dolersi dell’esistenza di un servizio di questo genere; mentre l’intera categoria avrebbe il vantaggio di presentarsi al Paese con un elemento di trasparenza e di amichevolezza – possiamo chiamarla così – nei confronti degli utenti del servizio.
Oggi chi ha un dubbio sulla correttezza del comportamento del proprio patrono è totalmente indifeso, non ha modo di verificarlo. Correggere tale situazione riporterebbe un po’ questa legge a quella che dovrebbe essere la sua funzione, cioè la tutela del cliente. Per questo chiedo che all’emendamento 28.200 il relatore e il Governo prestino particolare attenzione. Si tratta di un emendamento a costo zero, che presenterebbe un vantaggio netto per il prestigio dell’avvocatura. (Applausi del senatore Morando).

[…]

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento 28.200, su cui il parere della 5a Commissione è condizionato ad una riformulazione che aggiunga le parole: «i cui costi sono a carico dei consigli dell’Ordine,» dopo le parole «informazione gratuita». Domando ai presentatori se accolgono tale riformulazione.

ICHINO (PD). Accetto la correzione; ma sottolineo che su un tema come questo un minimo di risposta da parte di chi respinge la proposta sarebbe dovuto; non per rispetto a noi dell’opposizione, ma per rispetto al Paese a cui questa legge è destinata. Ma è mai possibile che non si possa discutere con la maggioranza su un tema importante come questo? È mai possibile che argomenti che mi sembra siano esposti quanto meno in modo ragionevole e non ostruzionistico non debbano avere una parola di risposta da parte della maggioranza? Questo, francamente, non mi sembra un modo corretto di affrontare un tema di questa delicatezza e importanza. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

2. – SUL CONTROLLO DELLA CONTINUITA’ ED EFFETTIVITA’ DELL’ESERCIZIO PROFESSIONALE ESERCITATO DAL CONSIGLIO DELL’ORDINE

ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signora Presidente, il Gruppo del Partito Democratico voterà contro questo articolo, non solo perché non contiene le integrazioni che abbiamo chiesto e proposto con i nostri pochi ma precisi e puntuali emendamenti, bensì anche per la presenza di una norma che riprende un’altra disposizione già approvata in precedenza aggravandone in questo caso il contenuto e gli effetti. Mi riferisco alla norma di cui al comma 1, lettera g), dove si stabilisce che il consiglio dell’ordine esercita il controllo della continuità e effettività dell’esercizio professionale, con il conseguente potere di escludere dall’esercizio della professione i colleghi che siano ritenuti non in posizione tale da rispondere a tale requisito.
Questa disposizione preoccupa gravemente decine di migliaia di avvocati italiani che oggi vedono con vera, profonda apprensione l’idea di poter essere cancellati dall’albo da propri colleghi i quali potranno prendersi l’arbitrio di stabilire che taluni non esercitano la professione con la necessaria effettività e continuità. Ma ve lo immaginate un provvedimento di questo genere? Avremmo colleghi del consiglio dell’ordine che si rivolgerebbero ad altri avvocati per dir loro che dall’indomani sono fuori perché non esercitano la professione con le modalità che il consiglio ritiene necessarie.
Data l’importanza di questa norma mi sono procurato le leggi o regolamenti che disciplinano la professione forense in Danimarca, Slovenia, Repubblica federale tedesca, Regno Unito, Spagna e Francia: non ho trovato, in queste leggi e regolamenti, una sola parola che sia in qualche modo paragonabile alla norma che ci stiamo accingendo a votare.
Torno a proporvi, e non solo in riferimento a questa parte della legge ma anche in riferimento a tante altre leggi che qui approviamo, l’opportunità di adottare il criterio della comparazione come criterio fondamentale delle nostre scelte. Se in tutta Europa non esiste una norma di questo genere ci sarà pure un motivo; se siamo inseriti in un mercato europeo che è mercato comune anche dei servizi legali, come possiamo non percepire l’esigenza di armonizzare il nostro ordinamento rispetto alla totalità degli ordinamenti forensi in Europa, che ci consiglia di non introdurre un vincolo che graverebbe soltanto sugli avvocati italiani? A me sembra che questa sia un’esigenza elementare.
Vi chiedo che di questo si tenga conto nell’emanare norme che davvero vanno contro l’interesse di gran parte degli avvocati italiani. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

3. – SULLA RAPPRESENTANZA ISTITUZIONALE DELL’AVVOCATURA

ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signora Presidente, è nuovamente in discussione il tema della rappresentanza istituzionale dell’avvocatura.
La settimana scorsa ne abbiamo discusso con riferimento all’ordine degli avvocati in generale; in questo caso il discorso è riferito in particolare al Consiglio nazionale forense, ma il tema è sempre quello: il nostro ordinamento costituzionale non consente di istituire un rappresentante unico ed esclusivo di una categoria professionale.
È una norma che aveva un senso e si inseriva organicamente nell’ordinamento corporativo; ma questo è stato abrogato. Vogliamo o no confrontarci con l’articolo 39 della Costituzione e, prima ancora, con il decreto luogotenenziale del 1944 che ha abrogato l’ordinamento corporativo oppure tutto questo non ha alcun peso e si ritorna al sindacato unico nazionale di categoria?
Credo che su questo aspetto una riflessione attenta vada fatta e che una risposta vada data. La norma che stiamo per votare è, per questo aspetto, gravemente lesiva di un principio costituzionale.
Su questo emendamento, chiediamo la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

4. – SULLA QUALIFICAZIONE E LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI PRATICANTATO

ICHINO (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signora Presidente, perché questo emendamento è dichiarato improcedibile?

PRESIDENTE. A seguito del parere contrario della Commissione bilancio, ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione; se vuole, le posso rileggere il parere.

ICHINO (PD). Ho capito, ma qui non c’è nessuna implicazione rilevante sul piano finanziario.

PRESIDENTE. Io però non posso personalmente contestare l’espressione di una Commissione. Se lei solleva obiezioni, lo posso forse accantonare per una verifica, però c’è un parere, che è stato letto, della Commissione bilancio.

ICHINO (PD). Possiamo leggere il parere su questo emendamento?

PRESIDENTE. Glielo portiamo: un attimo solo, senatore.

ICHINO (PD). Questo emendamento dice soltanto che la preclusione della qualificazione del rapporto come rapporto di lavoro subordinato è la regola: l’espressione “di norma” significa che, se le cose si svolgono regolarmente, il rapporto non può essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato. Sappiamo che, tuttavia, accade diffusamente che invece si verifichino degli abusi; per esempio, che lo studio legale poco serio utilizzi il giovane, sotto la forma di un rapporto di praticantato, in realtà facendogli fare soltanto il lavoro delle segretarie o segretari, o persino dei fattorini. L’emendamento mira a stabilire che in questo caso, la possibilità di agire per il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato non è esclusa. E in questo non vedo alcuna implicazione finanziaria.

PRESIDENTE. La Presidenza ovviamente non può mettere in discussione il parere della Commissione bilancio, che le leggo: «In relazione agli emendamenti riferiti all’articolo 39, esprime parere contrario, ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, sulle proposte 39.700, 39.0.200 e 39.0.200 (testo 2), 39.210, 39.211, 39.246 (…)», che è appunto quello di cui parliamo.

ICHINO (PD). Poiché il senso di questo parere della Commissione bilancio, come mi chiarisce anche il senatore Morando, è evidentemente diretto a evidenziare la possibilità che quella simulazione fraudolenta di cui parlavo prima venga perpetrata anche presso l’Avvocatura dello Stato, allora io dico: se questo accade, il dirigente responsabile risponderà del danno erariale prodotto; ma non è consentito escludere che chi è vittima di questa simulazione fraudolenta possa agire in giudizio per il suo riconoscimento.
Chiedo pertanto se posso, a norma del Regolamento, avere il sostegno di quindici colleghi perché l’emendamento venga comunque messo in votazione.

PRESIDENTE. Come lei sa, senatore Ichino, con il sostegno di 15 senatori l’emendamento può essere comunque posto in votazione.

D’ALIA (UDC-SVP-Aut:UV-MAIE-Io Sud-MRE). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ALIA (UDC-SVP-Aut:UV-MAIE-Io Sud-MRE). Signora Presidente, pur non volendo assolutamente contestare il parere della Commissione bilancio, non comprendo però la ragione per la quale questo emendamento determinerebbe una sovraesposizione finanziaria per il bilancio dello Stato.
Credo che si possa essere d’accordo sul fatto che nell’emendamento si ribadisce che colui che fa la pratica legale non può essere considerato uno che ha un rapporto di lavoro subordinato. Ciò non toglie che al di là della regola generale, vi sono alcuni casi in cui rispetto al rapporto di collaborazione, che come è noto nei rapporti di lavoro si articola attraverso varie forme, molte tipiche, alcune atipiche, si deve accertare se realmente si è in presenza di una forma di praticantato, che non determina un rapporto di lavoro subordinato, o se, viceversa, si è in presenza di una simulazione, attraverso una forma di praticantato o di collaborazione, di rapporto di lavoro subordinato.
Poiché tutto questo non grava in ogni caso dal punto di vista economico – e non capisco come potrebbe – sul bilancio dello Stato, ritengo che sia obiettivamente disarmante l’idea di un parere contrario.
Detto ciò, insisto per la votazione di questo emendamento nella convinzione che sia in discussione un emendamento che punta a fare chiarezza distinguendo la pratica forense, e quindi queste forme di collaborazione che non determinano un rapporto di lavoro subordinato, dalla simulazione di rapporti di pratica e collaborazione, che invece sono una forma di sfruttamento dei giovani avvocati.
Credo che questo sia un modo equilibrato per evitare lo sfruttamento di giovani professionisti, per cui chi non vuole votare è a favore di uno sfruttamento del genere. E non ci può essere parere della Commissione bilancio che possa impedire una discussione e un voto su questo emendamento.

LUSI (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSI (PD). Signora Presidente, vorrei con molta umiltà far presente al presidente D’Alia che il suo ragionamento potrebbe essere valido soltanto se l’argomento riguardasse l’instaurazione di rapporti di lavoro all’interno di studi prettamente privati. (Il senatore D’Alia è al telefono). Però se il presidente D’Alia non mi ascolta è inutile che io intervenga. Signora Presidente, devo parlare al senatore D’Alia perché stiamo parlando di un emendamento di cui è primo firmatario.
L’osservazione della Commissione bilancio, che per quanto mi riguarda continuo a considerare corretta (ed è abbastanza anomalo che si chieda una votazione contro un parere ex articolo 81 della Costituzione espresso dalla Commissione bilancio), riguarda essenzialmente una fattispecie relativa alla possibilità dell’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con una pubblica amministrazione.
Se lei integrasse il suo emendamento, presidente D’Alia, precisando che esclude espressamente le pubbliche amministrazioni da questa fattispecie, ritengo che la Commissione bilancio potrebbe molto facilmente rivedere il parere precedentemente espresso, proprio perché, escludendo le pubbliche amministrazioni, verrebbe meno il rischio di cui si è parlato e che è oggetto del parere contrario della Commissione in questione. (Applausi del senatore Morando).

PRESIDENTE. Senatore Lusi, mi sembra difficile che in questa fase si possa pervenire ad una riformulazione del testo in esame. (Commenti del senatore Morando). Senatore Morando, quando presiederà lei la seduta, potrà decidere. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione, avanzata dal senatore Ichino, risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).

Votazione nominale con scrutinio simultaneo
(art. 102-bis Reg.)

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico, dell’emendamento 39.246, presentato dai senatori D’Alia e Serra.
Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

[…]

*ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, come ha rilevato poco fa il collega Legnini, in questo testo noi qualifichiamo, in un primo tempo, ciò che viene erogato al praticante con il termine «rimborso». Subito dopo, però chiariamo che questo «rimborso» non è tale, ma è retribuzione, è corrispettivo per l’opera prestata: qui si parla di «rimborso per l’attività» svolta per conto dello studio, non di rimborso per spese sostenute. In questo modo, noi confessiamo la simulazione.

Ora, passi che ci acconciamo ad approvare una legge scritta di pugno dal Consiglio nazionale forense; passi – anzi, secondo me non avrebbe dovuto passare, ma è passato – che noi con l’articolo 24 di questa legge cassiamo una sentenza relativa ai locali occupati attualmente dal Consiglio nazionale forense presso l’Amministrazione della giustizia, cosa del tutto impropria, che il Parlamento non potrebbe fare per evidente carenza di attribuzione. Ma qui ci pieghiamo ad approvare un emendamento nel quale compiamo una gherminella che non è degna neanche dell’ultimo degli avvocati: un emendamento col quale si pretende di eludere il fisco con il solo cambiamento del termine. In luogo di «compenso» o «corrispettivo» lo chiamiamo rimborso per consentire l’evasione delle tasse. Questo francamente non mi sembra dignitoso; ed è uno dei tanti motivi per cui voteremo contro. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

*ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signor Presidente, in primo luogo chiedo di aggiungere la mia firma all’emendamento 39.278. Desidero poi attirare l’attenzione dei colleghi sulle ragioni che lo motivano.

La lettera c) del comma 11 stabilisce che il Consiglio nazionale forense italiano detta le condizioni e le modalità di svolgimento del tirocinio in altro Paese dell’Unione europea. Ora, che il Consiglio nazionale forense letteralmente detti legge in Italia è ormai assodato; ma che esso detti legge anche su come si debba svolgere il praticantato in un altro Paese europeo, quali – per esempio – la Francia o la Germania, mi sembra francamente il colmo. (Applausi delle senatrici Incostante e Della Monica).

Se per caso i francesi non stessero a questo gioco e dicessero: «no, il praticantato nei nostri studi si fa come diciamo noi», cosa faremmo? Dichiareremmo guerra alla Francia? (Applausi dei senatori Perduca e Incostante). Per questo credo valga la pena almeno di riformulare la lettera c) del comma 11 dell’articolo 39.

LONGO (PdL). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LONGO (PdL). Signor Presidente, gli interventi del senatore Ichino sono sempre molto pungenti. In questo caso, l’arma è fortemente spuntata, perché egli fa dire alla norma una cosa diversa da quella che effettivamente dispone. Il Consiglio nazionale forense ha il diritto-dovere di fissare i limiti dello svolgimento del tirocinio all’estero. Potrebbe darsi infatti che all’estero succeda come per i barrister: per diventare barrister in Inghilterra, infatti, in Inghilterra bisogna partecipare necessariamente a 24 cene sociali nel corso di due anni. Non si può accettare che qualcuno venga a dire che in Spagna si fa il tirocinio partecipando a delle riunioni di carattere storico-giuridico sull’invasione degli arabi, perché a noi, in Italia, non interessa nulla.

Allora, il Consiglio fissa i parametri necessari e sufficienti perché quel tirocinio valga anche in Italia. Vorremo evitare, professor Ichino, che i nostri giovani pieni di buona volontà vadano, per esempio, a fare il tirocinio in Spagna prendendo la residenza per sei mesi per fare quindi degli esami semplicissimi e poi venire a prendere il posto che dovrebbero occupare i nostri giovani che hanno sostenuto l’esame in Italia. (Applausi dal Gruppo PdL). Non si tratta di fare la guerra a nessuno.

D’ALIA (UDC-SVP-Aut:UV-MAIE-Io Sud-MRE). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ALIA (UDC-SVP-Aut:UV-MAIE-Io Sud-MRE). Signor Presidente, le argomentazioni del senatore Longo sono oggettivamente suggestive ma non convincenti: spostano i termini della questione, che verte invece sul fatto che, sotto il profilo del riconoscimento nel nostro Paese dell’abilitazione professionale, non basta modificare le condizioni per evitare che la pratica forense non si faccia o non si possa fare o non si debba fare negli altri Paesi europei. Bisognerebbe, infatti, incidere sulla normativa europea per far sì che vi sia una legislazione uniforme a livello comunitario. Il rischio è che il Consiglio nazionale forense faccia un’altra operazione: limitare per i giovani professionisti la possibilità di conoscere il diritto comunitario, le procedure e i contenziosi a livello comunitario, che diventano sempre più la regola nell’attività professionale.

L’idea che ci possa essere una preclusione o una limitazione rispetto alla formazione professionale fatta in Europa ci sembra un po’ ridicola, anzi, totalmente ridicola. (Applausi dei senatori Ichino e Serra).

PERDUCA (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.

PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.

PERDUCA (PD). Signor Presidente, mi asterrò nella votazione. Siccome gli altri 26 Stati membri dell’Unione europea non hanno ancora adottato una normativa stringente come la nostra, cosa succederebbe se un cittadino italiano dovesse andare a fare il tirocinio in uno studio legale americano con sede a Londra, visto e considerato che noi riconosciamo tutta una serie di maggiori competenze (a parte il menù delle cene per cui uno diventa barrister conoscendo quattro signori con la parrucca nel Regno Unito)?

Il problema è che con questa norma non escludiamo la possibilità per un praticante italiano di fare uno o due anni di tirocinio in uno studio statunitense con sede in un altro Stato dell’Unione europea. Per questo mi asterrò.

LI GOTTI (IdV). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LI GOTTI (IdV). Signor Presidente, ritengo che la lettera c) del comma 11 dell’articolo 39 sia stata mal formulata, perché obiettivamente non può disciplinarsi con regolamento del Consiglio nazionale forense la modalità di svolgimento del tirocinio in un altro Paese. Ciò che si doveva scrivere – e che penso si volesse scrivere – era che il Consiglio nazionale forense disciplina con regolamento i requisiti di validità del tirocinio svolto in un altro Paese. Era questa la formulazione che doveva essere adottata, senza alcun riferimento alle modalità di svolgimento del tirocinio.
La lettera e) della norma dovrebbe quindi essere modificata in questi termini. (Applausi dei senatori Poretti e Perduca).

LUSI (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSI (PD). Signor Presidente, il contenuto della lettera c) e le argomentazioni ad essa sottese sono chiare. Tuttavia, signor relatore, non vi è chi non veda che il testo è scritto male.
L’interpretazione data dal senatore Ichino, onesta da un punto di vista intellettuale, discende dal contenuto letterale della norma. Per quanto mi riguarda, è chiaro che la lettera c) intende far riferimento ai requisiti minimi necessari perché il tirocinio svolto all’estero abbia valore in Italia; tuttavia, proprio perché ho capito che questo è il significato che si vuole dare alla norma, suggerirei un geometrico miglioramento della formulazione della stessa, affinché non si debba arrivare ad esprimersi in senso favorevole o contrario su un testo semplicemente scritto male.

PRESIDENTE. Invito il relatore ad esprimersi al riguardo.

VALENTINO, relatore. Signor Presidente, ritengo che per una maggiore coerenza con il principio contenuto nella lettera c) del comma 11 dell’articolo 39 sia più corretta la formulazione ipotizzata dal senatore Li Gotti, per cui potrei modificare la lettera c) presentando un mio emendamento che vada proprio in questo senso.
In particolare, si potrebbe prevedere di sostituire, al comma 11, lettera c), le parole: «le condizioni e le modalità di», con le seguenti: «i requisiti di validità dello svolgimento del tirocinio in altro Paese dell’Unione europea».

PRESIDENTE. Senatore Serra, a questo punto intende ritirare il suo emendamento?

SERRA (UDC-SVP-Aut:UV-MAIE-Io Sud-MRE). Sì, signor Presidente ritiro l’emendamento 39.278.

PORETTI (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORETTI (PD). Signor Presidente, vorrei approfittare della disponibilità del relatore per evidenziare il limite rappresentato dal riferimento della norma ai soli Paesi dell’Unione europea. Non si potrebbe prevedere un riferimento generico ad un altro Paese? Ricordo, infatti, che esistono anche altri Paesi nei quali si potrebbe svolgere il tirocinio (Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda). Mi chiedo quindi se davvero sia il caso di limitare il riferimento ai soli Paesi dell’Unione europea.

PRESIDENTE. Senatore Valentino, intende accogliere tale proposta?

VALENTINO, relatore. Signor Presidente, per quanto riguarda gli altri Paesi, nel caso in cui non esistano particolari rapporti di reciprocità, si procederà a fare delle valutazioni di volta in volta.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento 39.803, testé presentato dal relatore.

È approvato.

L’emendamento 39.279 risulta assorbito.

Passiamo alla votazione dell’emendamento 39.280, identico all’emendamento 39.281.

PORETTI (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORETTI (PD). Signor Presidente, con l’emendamento 39.280 e con il successivo 39.283, si cerca in qualche modo di dare al praticante la possibilità di cambiare studio, rendendolo quindi un po’ più libero.
Il comma 12 prevede per il praticante la possibilità di cambiare il luogo in cui intende proseguire il tirocinio, dando al Consiglio dell’ordine la possibilità di autorizzare il trasferimento: noi intendiamo rimettere nelle mani dello stesso praticante la possibilità di cambiare studio, e quindi di trasferire la propria iscrizione presso l’ordine del luogo ove intende proseguire il tirocinio.
Infatti, con l’emendamento 39.280, dove si stabilisce che il praticante può, per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l’ordine del luogo in cui intenda proseguire il tirocinio, proponiamo la seguente formulazione: «Al praticante sarà concesso, nel corso del biennio di tirocinio, cambiare studio tutte le volte che lo reputerà necessario al fine di svolgere più proficua pratica potendo pure» (per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l’ordine del luogo ove intenda proseguire il tirocinio). Crediamo utile che sia data al praticante la possibilità di cambiare studio, dove lo ritenga utile o necessario, proprio per svolgere una migliore pratica e potersi così preparare meglio.

Chiediamo la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico.

PERDUCA (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERDUCA (PD). In dissenso dalla dichiarazione di voto della senatrice Poretti, in quanto ha dimenticato di ricordare che in Italia, malgrado un regime clerico-fascista, abbiamo legalizzato il divorzio. In questo caso, invece, ci deve essere l’indissolubilità del rapporto tra il tirocinante e lo studio legale: per analogia, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di non limitare la libertà di scelta.

LONGO (PdL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LONGO (PdL). Signor Presidente, la delegazione dei radicali nel Gruppo del PD è sempre così effervescente, ma in questo caso, come il sorriso della collega dimostra, del tutto inconcludente. Si fa così perché c’è la ripresa diretta televisiva su Internet: io ogni tanto l’ho fatto. Molti lo fanno! Fate finta di non sapere che una cosa è il trasferimento da uno studio all’altro all’interno dello stesso dell’ordine (il che è assolutamente legittimo, aperto, facoltativo, ed avviene quando si vuole perché non c’è alcuna limitazione), altro è il cambio di studio con trasferimento dell’iscrizione all’ordine. Poiché si fa l’esame presso il Consiglio dell’ordine della località dove si è svolto il tirocinio, si vuole evitare che ci siano trasferimenti di comodo; trasferimenti che, invece, possono avvenire per giustificato motivo. Questo dice la norma.

Quindi, il vostro emendamento non c’entra nulla con il divorzio: la norma afferma che si entra in uno studio e si può andare in altro studio dello stesso ordine. Se ci si vuole spostare ad altro ordine, si avrà questa piccola difficoltà. Questo è il testo della norma. (Applausi dal Gruppo PdL).

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico, dell’emendamento 39.280, presentato dalla senatrice Poretti e da altri senatori, identico all’emendamento 39.281, presentato dal senatore Pistorio e da altri senatori.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

[…]

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 39, nel testo emendato.

*ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Il voto contrario del nostro Gruppo sull’articolo 39 merita una motivazione precisa, perché l’articolo ha per oggetto una questione importante e delicata. Questa motivazione poi varrà anche come introduzione alla discussione sui sei articoli successivi. Si tratta di una questione importante, perché il periodo del praticantato è quello in cui si attua il trasferimento di un patrimonio culturale e professionale dalla vecchia generazione alla nuova, è il momento in cui un giovane traduce i 16-18 anni di formazione scolastica e universitaria in competenza professionale, è il momento in cui la crisalide diventa farfalla.
La questione, però, è delicata perché la proporzione tra le prestazioni oggetto del rapporto (la prestazione lavorativa del praticante e la prestazione formativa dell’avvocato maturo) è una proporzione non riconducibile a standard, è una proporzione che varia da rapporto a rapporto, da caso a caso, ma anche nell’ambito del singolo caso.
All’inizio il praticante sovente assorbe dal professionista una quantità di energia formativa molto superiore rispetto all’utilità che il praticante stesso dà allo studio; ma, se le cose vanno come devono andare, il rapporto si inverte, e il professionista maturo trae dal lavoro del praticante una lauta ricompensa per l’impegno formativo iniziale. Tutto questo è difficile da ricondurre a uno standard e ci pone, come legislatori, un problema di difficile soluzione: per un verso dobbiamo evitare che lo stabilire degli standard minimi di trattamento finisca col deprimere l’offerta di opportunità di formazione e di tirocinio ai giovani. Questo evidentemente è un primo problema che dobbiamo risolvere. Ma c’è anche il problema di evitare, per la tutela del ceto forense, un fenomeno diffusissimo, che è sotto gli occhi di tutti noi: lo sfruttamento indecente dell’opera dei giovani che talvolta per anni e anni lavorano negli studi per 10-12 ore al giorno senza retribuzione, o retribuiti in modo indecorosamente basso; sovente a loro vengono affidate in modo continuativo mansioni che non sono quelle del praticante avvocato, ma sono mansioni di segretario o di fattorino.
In altri ordinamenti questo problema è stato affrontato; abbiamo un panorama di esperienze legislative o regolamentari ricco di indicazioni. Nel Regno Unito, ad esempio, c’è un regolamento interessante che disciplina questa materia, come ce ne sono nella Repubblica federale tedesca, in Francia, in Spagna, in Slovenia, in Danimarca: un insieme di norme e regole di grande interesse, che noi stiamo totalmente ignorando, che riguardano il problema previdenziale, il problema di chi non riuscendo a superare il praticantato vira verso occupazioni diverse in gestioni previdenziali diverse, o viceversa di chi arriva al praticantato avendo accumulato un periodo di contribuzione previdenziale in altra gestione diversa da quella della cassa avvocati. Su tutto il territorio del Regno Unito, dopo tre mesi di praticantato, il tirocinante ha diritto ad un compenso minimo di 16.500 sterline, che sono pari a circa 19.300 euro annui. (Brusìo).

PRESIDENTE. Mi rivolgo all’intera Assemblea: c’è un livello di frastuono un po’ eccessivo. Prosegua pure, senatore Ichino.

ICHINO (PD). Signora Presidente, nella City di Londra, nel central London, il compenso minimo, dal quarto mese di tirocinio in poi, è di 18.590 sterline, pari a circa 21.000 euro annui. Ora, non dico che possiamo trasferire meccanicamente questi standard nel nostro Paese, anche perché, dobbiamo riconoscerlo, i giovani che escono da una law school britannica sono molto meglio formati di quelli che escono dalle nostre università; però, colleghi, vi chiedo: quando il tirocinio si è svolto per tutto un primo anno, se le cose si sono svolte in modo corretto e regolare, possiamo presumere che quel deficit di formazione che imputiamo al nostro sistema universitario, almeno in parte, sia superato. Logica vorrebbe, dunque, che, almeno dall’inizio del secondo anno di pratica, ai nostri giovani praticanti si riconosca il diritto a un minimo di retribuzione. Non vogliamo adottare la tecnica proposta dal collega Legnini di una percentuale della tariffa minima relativa alle pratiche seguite dai praticanti? Possiamo allora indicare, come appunto in Gran Bretagna, un minimo complessivo: per esempio, 10.000-12.000 euro. Al di sotto di questo non è giusto, è indegno, è incompatibile con la dignità della professione forense che si lavori in uno studio legale italiano.
Vi è poi la previdenza. Vogliamo porci il problema della ricongiunzione, della totalizzazione dei periodi contributivi nei casi frequenti in cui il giovane passa da una gestione previdenziale all’altra? Su questo punto nell’articolo 39 non c’è una parola: questo problema è totalmente ignorato.
Per buona sorte dei giovani laureati italiani, e forse per qualche merito di questa opposizione, avete tolto la norma che imponeva addirittura uno sbarramento per l’accesso al tirocinio; ma per il resto, da queste disposizioni che stiamo per votare emerge soltanto la preoccupazione dell’avvocato maturo di escludere qualsiasi pretesa che possa essergli rivolta dal praticante. E persino di escludere qualsiasi pretesa del fisco: chiamiamo “rimborso” quello che noi stessi diciamo che rimborso non è, perché è compenso per l’attività svolta. Qui confessiamo la simulazione, confessiamo una gherminella verbale con cui vogliamo impedire al fisco di compiere il suo prelievo sul compenso erogato.
Colleghi, siete stati voi a sostenere che le tariffe minime sono necessarie per garantire la dignità della prestazione forense, e ciò in riferimento ad un rapporto, quello tra l’avvocato e il suo cliente, che non soffre di nessuna delle distorsioni che sono invece tipiche nel rapporto che si instaura con un giovane che entra per la prima volta nel mercato del lavoro. All’avvocato maturo dobbiamo allora garantire la dignità attraverso le tariffe minime. Per i giovani, invece, questo principio non vale. La dignità dell’attività del praticante non ci interessa per nulla?
Vedo in questo una grave incongruità. Non è questo che ci si aspetta da una legge su questa materia, nel 2010.
Voteremo dunque contro questo articolo, perché in esso si compendiano tutti i caratteri di una legge che sostanzialmente è scritta dagli insider contro gli outsider. È questo lo spirito dominante nell’intero provvedimento, che in questo articolo trova la sua massima espressione. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

PRESIDENTE. Metto ai voti l’articolo 39, nel testo emendato.

È approvato.

Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, l’emendamento 39.0.200 (testo 2) è improcedibile.

Passiamo all’esame dell’articolo 40, sul quale è stato presentato un emendamento che si dà per illustrato e su cui invito il relatore e la rappresentante del Governo a pronunziarsi.

[…]

*ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signora Presidente, l’emendamento che si propone di sopprimere nel comma 1 le parole «obbligatoria e» mi sembra che vada accolto perché in questo articolo così formulato rischia di esserci un eccesso di regole sulla durata minima dei corsi. Nel primo comma si parla di frequenza obbligatoria per un periodo non inferiore a 24 mesi, ma poi si attribuisce al Consiglio nazionale forense il compito di fissare la durata minima dei corsi di formazione, prevedendo un carico didattico non inferiore a 160 ore. Questa formulazione potrebbe essere interpretata nel senso che il Consiglio nazionale forense possa fissare anche una durata di due anni e mezzo o tre anni; e questo sarebbe francamente troppo esoso nei confronti del praticante, il quale, dopo due anni, deve poter accedere all’esame di Stato per lo svolgimento della professione. L’obbligo dei corsi dura 24 mesi; sta bene; ma non possiamo lasciar intendere che si possono eventualmente stabilire durate minime superiori. (Applausi del senatore Morando).

[…]

*ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Colleghi, abbiamo soppresso la prova di accesso al praticantato; però la lettera d) del comma 2 dell’articolo 41 prevede che il Consiglio nazionale forense possa istituire verifiche intermedie e finali del profitto nell’ambito dei corsi di formazione.
Ciò significa che il Consiglio nazionale forense può introdurre una serie illimitata di sbarramenti e di ulteriori esami nel corso dell’erogazione di quella formazione cosiddetta frontale, che avviene attraverso i corsi cui fa riferimento l’articolo 41. Questo è un ostacolo all’accesso alla professione forense forse ancora più gravoso di quell’esame di accesso al praticantato che opportunamente abbiamo eliminato.
È dunque il caso di accogliere l’emendamento 41.213, presentato dai senatori D’Alia e Serra – al quale chiedo di aggiungere la mia firma – che vuole sopprimere le prove intermedie durante il praticantato.

[…]

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