QUAL E’ LA RAGION D’ESSERE DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI? QUALE DEVE ESSERE IL SUO RUOLO NEL CONFLITTO DI INTERESSI CHE PU0′ SOVENTE INSORGERE NEL RAPPORTO TRA IL PROFESSIONISTA E IL CLIENTE?
Interventi dei senatori Anna Finocchiaro (PD), Pietro Ichino (PD), Piero Longo (PdL), Enrico Morando (PD), Giuseppe Valentino (relatore, PdL) nel dibattito in Aula sul ddl n. 601, “in materia di riforma dell’accesso alla professione forense e raccordo con l’istruzione universitaria”, trattI dal resoconto stenografico delle sedute antimeridiana e pomeridiana del Senato del 28 aprile 2010 – V. anche l’intervento di Pietro Ichino nella discussione generale al Senato, del 15 aprile 2010.
SULLA ASIMMETRIA INFORMATIVA E IL POSSIBILE CONFLITTO DI INTERESSI TRA L’AVVOCATO E IL CLIENTE
ICHINO (PD) Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD) Signora Presidente, colleghi, uno dei problemi più delicati nella regolamentazione delle libere professioni, direi forse il problema cruciale, è costituito da una gravissima asimmetria informativa tra il libero professionista e il cliente (o paziente, quando si tratta di un medico) non soltanto circa la qualità della prestazione che viene svolta ma talvolta addirittura circa l’oggetto della prestazione che deve essere svolta. Il professionista per definizione è quello che se ne intende, che sa; il cliente, invece, non sa.
Questa situazione determina in numerose situazioni un conflitto d’interessi grave tra professionista e cliente. Il professionista si trova a poter scegliere tra diverse strade; e può accadere che quella più vantaggiosa per il cliente non sia quella più vantaggiosa per il professionista, nel nostro caso per l’avvocato.
La funzione essenziale dell’Ordine, cioè dell’istituzione preposta al controllo sullo svolgimento di una professione, in questo caso l’Ordine forense, dovrebbe essere proprio quella di compensare, in qualche modo, questa asimmetria informativa; cioè, in particolare, predisporre un servizio che, rispettando il necessario riserbo, l’autonomia e la libertà del professionista, metta il cliente nelle condizioni di valutare e controllare i comportamenti del professionista stesso, che potrebbero non essere adeguati e potrebbero, in alcuni casi, essere addirittura gravemente scorretti.
Sappiamo che nella grande maggioranza dei casi la prestazione è corretta e adeguata, ma sappiamo anche che qualche caso di comportamento gravemente inadeguato o scorretto, invece, si verifica.
Oggi, quando ci si trova in questa situazione, il cliente è totalmente privo di protezione nei confronti dell’avvocato. Ciò accade perché il codice deontologico stabilisce che se il cliente ha un dubbio, egli deve prima risolvere il rapporto con il vecchio avvocato e poi rivolgersi ad un altro avvocato. È, inoltre, vietato all’avvocato che subentra dare consulenza o assistenza, se il cliente non ha prima assolto ogni suo debito verso il primo professionista. In tal modo si vieta al cliente di colmare la asimmetria informativa e di poter avere un rapporto paritario con il proprio patrono. Noi dobbiamo risolvere questo problema. L’Ordine degli avvocati deve fornire, nelle forme adeguate, questo servizio, che è la funzione principale che deve essere svolta dall’Ordine: non contro gli avvocati, ma nell’interesse del loro prestigio e della loro affidabilità.
Credo che obiettivo cruciale, principale, centrale del provvedimento legislativo al nostro esame debba essere proprio l’introduzione, con la strumentazione tecnica necessaria, di questa forma di consulenza riservata e gratuita al cliente che si trova in difficoltà, in funzione di un controllo altrimenti impossibile. Nel panorama internazionale esistono diverse esperienze di questo genere.
In funzione delle considerazioni svolte, abbiamo presentato l’emendamento 1.204 che sposta al primo posto e non all’ultimo la funzione di tutela dell’«affidamento della collettività e della clientela nella competenza e correttezza dello svolgimento della professione», e inoltre agiunge un’ulteriore funzione: quella cioè di promuovere «in ogni forma possibile, il superamento dell’asimmetria informativa tra avvocato e cliente attuale e potenziale circa la qualità, i contenuti specifici e i possibili esiti della prestazione professionale». A questo emendamento si collega l’emendamento 28.200, che abbiamo presentato all’articolo 28, il quale prevede, appunto, l’apertura di uno sportello riservato e gratuito che deve fornire al cliente questo servizio, in analogia con quanto fanno ordini ed associazioni professionali, per esempio, in Gran Bretagna, Olanda e in altri Paesi.
Se non vogliamo farlo in questa maniera, facciamolo in un’altra: proponeteci qualcosa di diverso. Ma, badate bene, se questa legge non affronta e risolve questo problema, essa dimentica una funzione essenziale che un Ordine professionale oggi è chiamato a svolgere. (Applausi dal Gruppo PD).
[…]
ICHINO (PD) Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, il Gruppo del Partito Democratico voterà a favore di questo emendamento, che segna il discrimine tra una legge che ritorna indietro, al passato di un Ordine concepito come sindacato unico del ceto forense, finalizzato prioritariamente a promuovere gli interessi degli avvocati, e un Ordine che, invece, è prioritariamente posto a tutela degli interessi della collettività, che devono essere – certo – contemperati con gli interessi economici e professionali degli avvocati. Su questo punto dobbiamo compiere una scelta che ci accompagnerà lungo tutto l’esame di questo disegno di legge.
Chiedo quindi a tutti i colleghi di prendere in considerazione attentamente l’emendamento perché da questa disposizione collocata nell’articolo 1 della legge, dipende poi in larga misura il senso che l’intera legge assumerà. (Applausi dal Gruppo PD).
[…]
FINOCCHIARO (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO (PD). Signora Presidente, spero che la discussione che si è svolta abbia convinto il collega Mazzatorta…
MAZZATORTA (LNP). Non mi ha convinto.
FINOCCHIARO (PD). Cercherò di convincerla io. Tanto per restare in tema, siccome la conosciamo e l’abbiamo apprezzata tante volte in quest’Aula, le vorrei chiedere di non comportarsi come se stessimo sventolando una muleta rossa.
L’emendamento 1.208, al quale noi annettiamo una grande importanza, è una proposta che, contrariamente a quanto lei ha ritenuto (probabilmente da una lettura affrettata), compone il quadro di un modo assai moderno di intendere la professione forense.
Qual è l’accezione classica e conservatrice della professione forense? È quella che prevede – come altre professioni liberali, naturalmente – una configurazione di tipo castale o corporativo, se volete, nella quale la stessa professione viene esercitata in un tramandarsi per generazioni, ostacolando l’ingresso dei nuovi talenti e dei nuovi meriti, in un Paese nel quale, peraltro, come lei sa molto meglio di me, l’indice della mobilità sociale è fermo.
In questo contesto noi prevediamo, con questo emendamento, una serie di misure che agevolino l’ingresso e l’esercizio della professione a giovani dotati di talento e che non hanno alle spalle né lo studio di avvocato del padre o del nonno, né mezzi economici. Credo, quindi, che si tratti di una norma molto seria, peraltro fondata sul merito e sulla competenza (nella parte in cui si prevedono, per esempio, le borse di studio) e non fondata invece sulle sostanze economiche o sull’appartenenza familiare.
Il fatto che, su suggerimento del senatore Lusi, sia stata eliminata la parola «libero» toglie ogni e qualunque equivoco in ordine al fatto che si voglia prevedere in Italia un ingresso e un esercizio della professione forense fuori da una valutazione del merito. Al contrario: i nostri emendamenti vanno tutti nella direzione di sottolineare la necessità che anche il filtro degli esami per l’ammissione alla professione sia tale da avere una valutazione del merito e del talento rispetto a quella professione particolarmente rigorosa.
Se poi, senatore Mazzatorta, lei ritiene che sia il riferimento al diritto comunitario ad intralciare una lettura chiara della norma, le dico due cose: innanzitutto, dovrete abituarvi al fatto che il diritto comunitario cominci a regolare ambiti sempre più vasti dell’agire della nostra società e del nostro sistema, e comunque siamo anche disponibili ad eliminare la parte che recita «garantisce l’ingresso alla professione di avvocato, in conformità al diritto comunitario», proprio per evitare qualunque equivoco.
Ci stiamo spendendo in questo modo perché riteniamo questo punto particolarmente qualificante e perché, qualora l’emendamento 1.208 non passasse, voteremo contro l’articolo 1 del provvedimento. (Applausi dal Gruppo PD).
[…]
FINOCCHIARO (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO (PD). Signora Presidente, non mi voglio atteggiare a nuova Cassandra, ma ieri, nella Conferenza dei Capigruppo, come lei ricorderà, sollevai la questione di un provvedimento di questo genere (peraltro – riflettete colleghi! – anche capofila, sotto il profilo dei principi che verranno con esso disegnati, della riforma delle professioni che il Governo pare intenzionato ad affrontare di seguito). Un provvedimento così, gravato di 730 emendamenti, di cui 170 della maggioranza, era ovvio si arenasse al primo scontro. La ragionevolezza non è stata premiata ieri mattina. Mi pare che la discussione di oggi testimoni della necessità di tornare in Commissione. Senza però che ci nascondiamo dietro ad un dito, Presidente: qui quello su cui ci si scontra non è soltanto la normativa di dettaglio, non sono i 730 emendamenti, tutti corrosivi di un pezzettino dell’altro. Quello su cui ci si scontra qui, vista la necessità di riformare l’ordinamento forense in questo Paese – essendo inaccettabile che un corpus normativo che ha più di settant’anni continui a regolare questa materia – è esattamente quale sia l’ordinamento forense utile all’Italia oggi; si scontrano due diverse concezioni, molto chiaramente, già sull’articolo 1 da questo primo emendamento presentato.
Da una parte, c’è l’idea che occorra conservare e presidiare l’esistente – mi si lasci adoperare questi termini – intendendo la modernità solo come spostamento di poteri di organizzazione pubblica, anche della concorrenza, nelle mani del Consiglio nazionale forense, cioè del sistema: chiamiamolo casta o corporazione, solo per intenderci, fuori da ogni volontà di oltraggio.
Dall’altra parte, c’è chi pensa che la regolazione delle professioni, la libera concorrenza, la promozione delle nuove generazioni siano quell’elemento di modernizzazione che può consentire, anche sotto questo profilo, al nostro Paese di competere. È fin troppo chiaro. Questo ovviamente matura un giudizio politico sulla maggioranza e sull’operazione di conservazione – altro che modernizzazione! – che sta facendo in uno dei settori più importanti della vita del Paese. (Applausi dal Gruppo PD).
C’è quindi un’opposizione – e sono felice che si parli la stessa lingua tra forze di opposizione che pure hanno storia e cultura politica assai diverse – che vuole consegnare all’Italia un sistema professionale (oggi con gli avvocati, domani con i commercialisti o con i farmacisti o con i notai) che sia assolutamente non solo aderente a quello che avviene nel panorama europeo, ma anche tale da smontare il potere della successione ereditaria e delle corporazioni. Sono da consegnare nelle mani delle giovani generazioni nuovi strumenti ed opportunità per la loro crescita e per la crescita del Paese.
Il punto è questo. È un punto di principio. È un punto politico. Ed è, purtroppo, il punto politico sul quale io credo saremo chiamati anche a tornare in Commissione, altrimenti quello che potrà scaturire da un testo gravato da 730 emendamenti, con votazioni che, come abbiamo visto poc’anzi, possono essere anche del tutto casuali, sarà probabilmente un obbrobrio nel quale nessuno di noi vorrà riconoscersi. (Applausi dal Gruppo PD).
[…]
SUI LIMITI DEL MONOPOLIO DELL’ATTIVITA’ FORENSE
ICHINO (PD) Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Illustro gli emendamenti 2.2, 2.202 e 2.238. Il problema che questi emendamenti affrontano è sostanzialmente quello del modo migliore con cui la legge, l’ordinamento e l’attività dell’Ordine forense possono garantire la qualità della prestazione dell’avvocato.
Il primo comma del secondo articolo del testo al nostro esame detta una norma che intenderebbe vietare l’esercizio dell’attività di assistenza legale a chi non la svolga in via abituale o prevalente. Prego il relatore di prestarmi un attimo di attenzione perché anche questo è uno dei punti importanti di questa legge: avrebbe un senso vietare tale attività se essa fosse di cattiva qualità in tutti i casi in cui non fosse svolta, appunto, in modo abituale o prevalente; ma ciò non si può ragionevolmente sostenere. La storia della professione forense è ricca di episodi, di casi anche particolarmente noti, di attività di difesa giudiziale svolta da soggetti che erano impegnati prevalentemente in attività diverse, come in particolare quella politica. Ricordiamo le difese di Terracini davanti ai tribunali del regime, casi di avvocati pensionati, che pur non svolgendo più la professione in via abituale hanno fatto eccezione in singole occasioni, oppure casi di docenti universitari. Perché vietare che la professione possa essere utilmente svolta anche da chi non la svolge più in modo abituale?
Per altro verso – e qui mi rivolgo ai colleghi avvocati – sappiamo benissimo che ognuno di noi può vantare solo una o due delle 10 o 15 specializzazioni forensi, molto raramente tre, mentre nella stragrande maggioranza dei casi in tutte le altre specializzazioni siamo incompetenti. Tuttavia, questa norma consentirebbe a ciascuno di noi di prestare la nostra attività di assistenza anche in campi nei quali non siamo competenti, per il solo fatto che svolgiamo questa attività in altri settori in modo abituale o prevalente. Anche da questo punto di vista, dunque, la norma è viziata da irragionevolezza. La realtà è che la qualità dell’attività professionale non si garantisce con una norma di questo genere. Viceversa, in questo modo precludiamo drasticamente la possibilità di svolgere attività che molto sovente possono essere di grande pregio e utilità.
Il comma 6 riguarda l’attività stragiudiziale. Invito tutti i colleghi a considerare che il divieto di svolgere attività di consulenza stragiudiziale a chi non sia iscritto all’albo non ha alcuna giustificazione né sul piano tecnico, né sul piano professionale. È pacifico che è consentito anche a chi non è iscritto all’albo svolgere attività di legale d’impresa, per esempio, in forma di lavoro subordinato; allora, mi spiegate per quale motivo un soggetto che ha svolto la sua attività di consulenza legale d’impresa, magari per anni, in forma di lavoro subordinato non può, per esempio nel momento in cui va in pensione, continuare a svolgere quell’attività, mettere a frutto le sue competenze in forma di collaborazione autonoma continuativa? Mi spiegate per quale motivo ciò che è consentito svolgere in forma di lavoro subordinato anche da chi non è iscritto all’albo, come nel caso di un dipendente o di un funzionario di un sindacato, o di un’associazione imprenditoriale, non può essere svolto in forma di lavoro autonomo? Per quale motivo una società capogruppo non può mettere a disposizione delle società del gruppo la competenza in materia di diritto del lavoro, in materia di brevetti, in materia di diritto internazionale di un suo dirigente, o di un suo funzionario?
Su questa norma il testo che ci state proponendo si pone contro non soltanto l’orientamento dell’Unione europea e dell’Antitrust, ma anche di tutte, e sottolineo tutte, le associazioni imprenditoriali, le quali hanno preso una posizione molto netta contro questo divieto. L’unica spiegazione possibile e plausibile, l’unica ratio che possa essere addotta a sostegno di questa disposizione è la difesa di un interesse (che in questo caso, per questo aspetto, non è un interesse meritevole di tutela) del ceto forense, degli iscritti all’albo, i quali si vogliono difendere da una concorrenza che non può fare male a nessuno. Ma questo divieto porta a privare il Paese di una grande quantità di competenze che devono invece poter essere valorizzate.
Se qualcuno darà consulenza senza averne la competenza sarà l’informazione, la concorrenza a metterlo fuori mercato, mentre in questo modo noi adottiamo un criterio di selezione che non corrisponde alla qualità e alla difesa dell’affidamento del cliente e della collettività. Per questo noi chiediamo che si riveda attentamente questa parte dell’articolo 2. Se non condividete il contenuto di questo e degli altri emendamenti che abbiamo presentato discutiamone, ma non commettete l’errore, per partito preso, di chiudere ermeticamente agli emendamenti dell’opposizione, col risultato di far passare così una norma che ci pone contro il diritto europeo e contro tutti i ceti produttivi del nostro Paese.
[…]
SULLA SOGGEZIONE DELL’AVVOCATO “SOLTANTO ALLA LEGGE”
*ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signor Presidente, chiedo al relatore che cosa significa il comma 4 dell’articolo 2, che recita: «Nell’esercizio delle loro funzioni ed attività, l’ordine forense e l’avvocato sono soggetti soltanto alla legge». Finché si tratta dell’ordine forense il concetto è chiaro, ma nel caso dell’avvocato, che è un lavoratore autonomo come tutti gli altri liberi professionisti, non vogliamo certo dire che non è soggetto al codice deontologico o che non è soggetto alle disposizioni contrattuali pattuite con il cliente.
Allora, se non si tratta di questo, mi chiedo quale sia la funzione della disposizione che stiamo esaminando, se non un’enunciazione puramente retorica. Ma questo non mi sembra abbia senso in un provvedimento legislativo che dovrebbe essere formulato in modo rigoroso e quindi usare espressioni cui corrisponda sempre un senso univoco.
Se il relatore vuole specificare da che cosa si intende esentare l’avvocato con questo comma, potremmo valutare il senso della norma; se, invece, non c’è risposta su questo punto, mi sembra francamente che sia il caso di sopprimere il comma 4. Per questo motivo abbiamo presentato l’emendamento soppressivo 2.221.
LONGO (PdL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LONGO (PdL). Signor Presidente, le osservazioni sempre molto acute del professore senatore Ichino nel caso di specie non sono convincenti. Mi riferisco, in particolare, all’esempio fatto dal collega Ichino secondo cui, essendo scritto al comma 4 che l’avvocato e l’Ordine forense sono soggetti soltanto alla legge, essi non sarebbero soggetti al contratto; in proposito posso soltanto ricordare che il contratto è disciplinato secondo la legge, per cui è sempre la legge che disciplina il contratto.
Parimenti, il codice deontologico è fissato per legge o per norma secondaria, per cui l’espressione contenuta all’articolo 2, comma 4, ha una sua ragion d’essere, perché rispetto della legge significa rispetto anche dei contratti da essa disciplinati, nonché rispetto della deontologia, che è disciplinata dalla legge o da norma secondaria. Tutto ciò a prescindere dal fatto che l’emendamento 2.223, su cui è stato già preannunciato il parere favorevole del relatore e del Governo, riscriva la norma in maniera più acconcia.
VALENTINO, relatore. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VALENTINO (PdL). Signor Presidente, il senatore Longo ha anticipato buona parte dei temi. Intervengo solo per precisare che la formulazione della norma va intesa come una sottolineatura dell’autonomia dell’avvocato, il quale, nell’espletamento del suo mandato, può assumere ogni determinazione ed è soggetto esclusivamente alla legge, in modo da essere con essa coerente.
*ICHINO (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Mi scusi, signor Presidente, ma alla mia domanda non ho avuto risposta né dal relatore, né dal collega Longo. Quello che vorrei sapere è qual è la soggezione dell’avvocato che si vuole eliminare o evitare con la previsione contenuta al comma 4 dell’articolo 2. Che cosa temiamo? Non si capisce da quale potere si voglia emancipare l’avvocato, dal momento che è assolutamente ovvio che egli è soggetto alla legge come tutti gli altri cittadini.
Se non siete in grado di rispondere a questa domanda, il comma 4, nel migliore dei casi, è privo di significato. Quindi va soppresso. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento 2.221, presentato dal senatore Ichino e da altri senatori.
Non è approvato.
[…]
FINOCCHIARO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO (PD). Signor Presidente, abbiamo nel nostro ordinamento – credo – un unico precedente di una disposizione che indica la soggezione di una categoria soltanto alla legge. Questo precedente è l’articolo 101 della Costituzione, che per la sua collocazione sistematica ha un significato: «La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge». È un’affermazione di grande significato in un sistema – quello costituzionale italiano – che adotta la separazione dei poteri e il sistema complesso di controlli incrociati e di reciproche autonomie come una delle caratteristiche fondamentali dell’ordinamento repubblicano democratico.
Il fatto di ribadire in una legge ordinaria che gli avvocati sono soggetti soltanto alla legge non ha nessun significato, se non quello di una replica in tono minore. Mi lasci dire che è anche alquanto inadeguato al valore, alla funzione e alla dignità sociale della professione di avvocato introdurre questo principio a tutti i costi, magari sperando che un giorno o l’altro se ne possa avere, grazie ad un legislatore distratto, anche una versione di natura costituzionale. Messa così, questa previsione non ha assolutamente alcun senso.
Ho ascoltato con molta attenzione l’argomentare del senatore Longo e mi è sembrato un ragionamento tautologico che non portava da nessuna parte. Ho ascoltato con altrettanta attenzione l’intervento del professor Ichino e mi sono pienamente convinta, a questo punto, della ragionevolezza dell’emendamento che avevamo presentato e che l’Aula ha invece respinto. La ragione è semplice: qual è questo potere di fronte al quale, peraltro con legge ordinaria, bisognerebbe ribadire la soggezione dell’avvocato soltanto alla legge? È davvero un nonsense e – lo ripeto – è un nonsense che, trattando gli avvocati come «figli di un Dio minore» (se l’ispirazione nasce dall’articolo 101 della Costituzione), non è degno della qualità, del valore e dell’onorabilità sociale della professione dell’avvocato. (Applausi dal Gruppo PD).
LONGO (PdL) Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LONGO (PdL). Signor Presidente, continuerò ad essere tautologico, così non sbaglio. Sono certo che l’emendamento soppressivo del comma 4 non è passato in Aula: quindi adesso il testo è quello originale, che recita: «Nell’esercizio delle loro funzioni ed attività, l’Ordine forense e l’avvocato sono soggetti soltanto alla legge».
Se viene respinto l’emendamento Caruso, tautologicamente, rimane in vita l’attuale comma 4 dell’articolo 2. Non vi è dubbio: sarà banale, ma è così. Non comprendo (ma forse non lo devo comprendere) se la minoranza preferisce il vecchio testo, che è stato tanto criticato dal senatore Ichino, o il nuovo testo proposto dal senatore Caruso.
MORANDO (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORANDO (PD). Signora Presidente, prima di passare al voto le chiedo di poter disporre del testo scritto della riformulazione dell’emendamento 2.245, proposta dal relatore, in quanto per decidere consapevolmente su tutti gli emendamenti che vanno da quello soppressivo del comma 6 in poi bisogna avere consapevolezza piena, secondo me, di come il relatore propone di riformulare l’emendamento 2.245. Io, per esempio, sono un sostenitore convinto dell’emendamento 2.238, che preferirei addirittura alla mera soppressione del comma 6.
Se però, come mi pare di aver inteso durante la lettura (ma una lettura è sempre approssimativa) del relatore, l’emendamento 2.245 viene sostanzialmente privato della sua forza nella riformulazione, mi comporterò di conseguenza anche sull’emendamento interamente soppressivo, che non voterei se invece l’emendamento 2.245 venisse accolto sostanzialmente nella sua attuale forma. Quindi, se i senatori non hanno in mano la riformulazione del relatore, secondo me, rischiano di decidere in modo inconsapevole.