“MI RISULTA CHE UN CERTO GIULIO TREMONTI, IL QUALE NON MILITA NELLE FILE DELL’OPPOSIZIONE, ABBIA DICHIARATO IL PROPRIO INTENDIMENTO DI ESPLICITARE NELLA COSTITUZIONE IL PRINCIPIO PER CUI “TUTTO CIO’ CHE NON E’ VIETATO E’ PERMESSO”; QUI STATE FACENDO L’ESATTO CONTRARIO: TUTTO CIO’ CHE NON CORRISPONDE AL MODELLO TRADIZIONALE DI STUDIO LEGALE E’ VIETATO”
Interventi di senatori di maggioranza e di opposizione (tra questi tutti i miei) tratti dal resoconto stenografico della seduta antimeridiana del Senato del 21 ottobre 2010 – Gli interventi estratti dalle sedute precedenti sullo stesso tema sono agevolmente reperibili nella sezione Giustizia di questo sito: – Il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense -1; il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense -2
– il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense -3; – iI dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense – 4. la questione dei minimi inderogabili; il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense – 6. il divieto della consulenza per chi non è iscritto
Sommario
1. Sul divieto di iscrizione all’albo per i cittadini extra-comunitari
2. Ancora sul requisito della continuità dell’esercizio della professione forense
3. Sul divieto della combinazione della professione forense con altre attività
1. – SUL DIVIETO DI ISCRIZIONE ALL’ALBO PER I CITTADINI EXTRA-COMUNITARI
ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, esistono accordi e convenzioni internazionali che prevedono, con rapporto di reciprocità tra l’Italia e altri Stati, la possibilità di esercizio della professione forense nel nostro Paese da parte di avvocati di Paesi esterni all’Unione europea. Pertanto, o l’emendamento 16.200 viene integrato facendo salvi gli obblighi internazionali e quindi le convenzioni e i trattati che dispongono su questo punto, oppure la disposizione, così formulata, determinerebbe un venir meno del nostro Paese ai suoi obblighi. Per questa ragione, se non viene modificata la formulazione, il Gruppo del Partito Democratico esprimerà un voto contrario.
[…]
2. – ANCORA SUL REQUISITO DELLA CONTINUITA’ DELL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE FORENSE
ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, su questo punto, in sede di illustrazione dell’emendamento, avevo segnalato il contrasto della norma contenuta nell’articolo 16, comma 8, lettera c), con un orientamento molto preciso della Corte di giustizia europea, che si è espressa contro la norma che individua nella continuità di un’attività professionale il requisito cui venga condizionato il riconoscimento di un qualsiasi beneficio o possibilità di accesso a uno status determinato, a una qualifica o a un trattamento. Ogni volta che il requisito abbia per oggetto la continuità dell’esercizio professionale, dice la Corte di giustizia, c’è la probabilità di una discriminazione indiretta a danno delle lavoratrici, perché è noto che l’attività di lavoro femminile è maggiormente soggetta a interruzioni, soprattutto ma non soltanto, in ragione della maternità. Queste interruzioni fanno sì che la norma abbia un impatto differenziato sui due generi. Su questo punto non possiamo far finta di nulla. Questo orientamento della giurisprudenza comunitaria c’è; è molto preciso ed espone questa norma a una censura certa della Corte di giustizia.
Chiedo che il Governo e il relatore dicano che cosa ne pensano; se ritengono che sia sbagliato l’orientamento della Corte di giustizia, oppure no. Se non lo è, dobbiamo sopprimere la lettera c), o comunque correggere questa stortura. Chiedo che prima del voto il relatore e il Governo chiariscano la loro posizione su questo punto.
PRESIDENTE. Senatore Ichino, in realtà, sia il relatore che il Governo si sono espressi con il parere contrario.
ICHINO (PD). Ho posto una questione precisa, che è la contrarietà di questa norma a un orientamento consolidato e ripetuto in numerose sentenze della Corte di giustizia. Chiedo che il Governo ci dica che cosa ne pensa. Il suo silenzio vorrebbe dire indifferenza rispetto all’ordinamento comunitario e non posso pensare che il Governo italiano sia indifferente rispetto a un principio del diritto europeo. Lo stesso vale per il relatore: su questo punto non ho sentito mezza parola. Ci dicano cosa ne pensano oppure ci spieghino perché questa norma non contrasta con quell’orientamento.
[…]
LI GOTTI (IdV). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LI GOTTI (IdV). Signora Presidente, sono dell’opinione che il relatore dovrebbe valutare anche il collegamento della lettera c) del comma 8 dell’articolo 16 con l’articolo 20 che esamineremo, laddove al comma 4 si prevede che la mancanza della continuità ed effettività dell’esercizio professionale può comportare, se non sussistono giustificati motivi, la cancellazione dall’albo.
Se la procedura dell’articolo 20 assegna la possibilità di valutazione del requisito della continuità ed effettività – tant’è vero che questo requisito può essere mitigato da giustificati motivi – prevedere un termine secco all’articolo 16 – la cancellazione in presenza di non continuità – è una contraddizione in termini. La previsione secca di cancellazione non è, infatti, compatibile con la possibilità prevista nel successivo articolo 20 di trovare una mitigazione alla non continuità ed effettività dell’esercizio della professione.
Se si elimina la lettera c) del comma 8 dell’articolo 16, penso non succeda proprio niente. Non viene messo in crisi un disegno di riforma dell’ordinamento professionale. La continuità verrà poi disciplinata dall’articolo 20. Prevedere invece una condizione secca di cancellazione, senza peraltro alcun riferimento ai casi di mitigazione previsti all’articolo 20, è una contraddizione che ritengo debba essere analizzata e superata dal relatore.
Quindi, invito gli stessi relatori a farsi carico di questo conflitto di norme e ad accogliere questo emendamento che, sopprimendo la lettera c), non stravolge nulla e affida all’articolo 20 la verifica dei requisiti da valutare caso per caso.
[…]
3. – SUL DIVIETO DI COMBINAZIONE DELLA PROFESSIONE FORENSE CON ALTRE ATTIVITA’
*ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto sull’ordine del giorno all’articolo 16.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, l’ordine del giorno che ci apprestiamo a votare, pur facendo espressamente riferimento all’articolo 16 del disegno di legge in esame, potrebbe riferirsi altrettanto bene anche agli articoli 17, 18, 19 e 20.
In questo gruppo di articoli si esprime una strana idea della libera professione. A ben vedere, non solo in questi articoli, ma nell’intero disegno di legge si considera vietato tutto quanto non corrisponde a un modello tradizionale di esercizio della professione forense che potremmo sintetizzare con l’espressione “bottega artigiana”. Ma c’è un piccolo particolare. Nella tradizione forense questo modello prevalente non esclude forme diverse di esercizio della professione che abbiano un carattere sociologicamente marginale; semplicemente prevale il modello della “bottega artigiana”, il modello del professionista che svolge l’attività a tempo pieno per tutta sua vita lavorativa in uno studio di piccole dimensioni, senza però la pretesa di escludere la possibilità che altri professionisti – o altre professioniste – lo facciamo in modo diverso. Con questa legge, invece, non è più così. Da questo momento il modello tradizionalmente prevalente diventa modello obbligatorio ed esclusivo: ciò che prima era marginale d’ora in poi diventa vietato.
Chiedo allora ancora una volta al Popolo della Libertà se non sia il caso di rivedere la sua ragione sociale: sembra più appropriato parlare qui semmai di una libertà limitata. Aggiungete una “L” alla vostra sigla: «Popolo della Libertà limitata». (Commenti dai banchi del Gruppo PdL).
Guardate che il bello e il buono della libertà sta nel fatto che sia consentito sperimentare tutto quanto non sia stato già sperimentato con risultati pericolosi sul piano sociale. E questo soprattutto in un’epoca come l’attuale, nella quale il ritmo di evoluzione dei prodotti e dei processi produttivi sta diventando sempre più rapido. Libertà significa consentire che si possano fare le stesse cose in modo diverso, magari anche in modo oggi non previsto dal regolarore, in un modo sconosciuto al controllore, che non per questo può essere considerato a priori negativamente e quindi vietato. Chi ci dice che sia male che l’attività professionale forense sia svolta in combinazione con, poniamo, l’attività dell’ingegnere, dell’architetto, o del medico? Pensiamo per esempio al settore del diritto industriale, dei brevetti, dove la competenza ingegneristica si può combinare in modi inediti, ma non per questo pericolosi, anzi potenzialmente molto utili, con la attività forense. O ad altre zone di confine tra competenze diverse, come l’urbanistica, o la medicina legale.
In questo disegno di legge tutto quanto non corrisponde al modello tradizionale è vietato. Sulla combinazione con attività diverse, l’Autorità antitrust ci avverte che queste limitazioni non sono né necessarie, né proporzionali rispetto all’esigenza di garanzia dell’autonomia degli avvocati o alla tutela dell’integrità del professionista. Vogliamo prendere in considerazione questo avvertimento, questa notazione pesantemente negativa sul testo che state imponendo, che ci viene rivolto dall’autorità competente?
Chi ha detto che l’attività che si svolge in combinazione con un’altra, mediante lo svolgimento di entrambe a part time, sia un fatto negativo? Chi ha detto che una sospensione dell’attività, per esempio per un periodo di sei mesi o di un anno di permanenza in un altro Paese, sia un fatto pericoloso che debba portare alla cancellazione d’ufficio dall’albo?
L’ordine del giorno che abbiamo presentato mira a riportare la libera professione alla sua essenza, che è appunto la libertà. (Applausi dal Gruppo PD).
[…]
ICHINO (PD). Signora Presidente, questo dibattito è interessante perché fa emergere le vere questioni cruciali sottese alle norme in discussione.
Il senatore Mugnai, in risposta a quanto ho affermato poco fa, ha obiettato che sono consentite le società fra professionisti diversi, cioè ad esempio è consentito all’avvocato di associarsi con l’ingegnere per una società professionale specializzata nella materia del diritto industriale e dei brevetti.
Per quale motivo, allora, dovrebbe essere vietato a un ingegnere di fare anche l’avvocato? Perché, cioè, quella sinergia tra competenza professionale forense e competenza professionale ingegneristica non può attuarsi anche nell’ambito delle competenze di una stessa persona? Quale pericolosità sociale o economica vedete nell’ipotesi di un laureato in ingegneria che si laurea anche in diritto dei brevetti e che, superati tutti i cavalli di Frisia che state cercando di stendere intorno alla professione per conquistarsi l’iscrizione all’albo, riesce a fare insieme l’ingegnere e l’avvocato specialista di diritto industriale? Non c’è alcuna ragione per impedirlo, che non sia un atteggiamento miope, misoneista. Un atteggiamento che, per paura del nuovo, chiude a priori le porte anche a tutte le innovazioni buone che possono essere apportate dall’inventiva umana. Così come non c’è ragione per impedire che ci possa essere un architetto che fa anche l’avvocato, per esempio l’avvocato specialista di diritto urbanistico, o il medico che riesce a diventare anche avvocato specialista in medicina legale; o – perché no? – il pittore, la guida alpina, il pescatore; e il discorso si potrebbe ripetere per qualsiasi altra attività. La libertà significa consentire che attività diverse possano anche combinarsi secondo un modello sociale ed economico diverso rispetto a quello tradizionale.
Guardate che il nostro Paese ha un grave difetto di capacità di crescere, che dipende essenzialmente dalla sua chiusura all’innovazione. La chiusura all’innovazione nasce anche da politiche da ancien régime che si esprimono in progetti di legge come questo. Qui è in gioco il grado della nostra apertura all’innovazione, rispetto a ordinamenti nei quali la libertà in questo campo è assolutamente ovvia, nei quali nessuno si sognerebbe di impedire ciò che voi volete impedire in omaggio a una visione vecchia. Una visione che mi pare anche un po’ stantia, nella misura in cui la figura tradizionale viene imposta come unica figura possibile. Questa imposizione va contro gli interessi della categoria degli avvocati, prima ancora che dell’intero Paese. (Applausi dal Gruppo PD).
BENEDETTI VALENTINI (PdL). Signora Presidente, colleghi, non è mia intenzione facilitare il sostanziale ostruzionismo di chi si oppone a questa legge con lunghi interventi; quindi, collega Ichino, mi permetterà di concedermi l’onore di una brevissima replica, una volta per tutte, a ciò che lei sta dicendo. Le faccio – come doveroso – credito di onestà intellettuale e di assoluta buona fede nel sostenere, non le tesi, ma la tesi, che lei ossessivamente continua a sostenere e che abbiamo perfettamente capito.
Mi preoccupo però di chi sta ascoltando questo dibattito con i moderni e democratici mezzi d’informazione. Lei insiste sul tema che noi si sarebbe così oscurantisti dal volere una professione articolata su bottega – mi permetta uno spunto polemico – e lei con quell’intellettualismo tipico di certa sinistra snob dispregia la dimensione della bottega e tutto questo come se fosse una dimensione assolutamente negativa e contraria alla modernità. (Commenti dei senatori Ichino, Morando e Procacci). Sì, mi permetta di dirglielo; lei è completamente fuori strada.
Stiamo cercando semplicemente di costruire, delineare, disciplinare ed incentivare un avvocato degno di questo nome; degno della fiducia personale che il cliente che gli si affida gli deve portare. Lei sembra essere portatore della tesi di un avvocato industrializzato, con un padrone sopra, più o meno visibile, e detentore del capitale, che avrebbe le sue ragioni, alle quali la libertà del professionista dovrebbe essere prona e funzionale. (Commenti dei senatori Ichino e Morando). Ciò è esattamente il contrario di quello che vogliamo e, se mi permette, che anche gran parte dei suoi più avveduti colleghi di partito e dell’opposizione vogliono. È lei, quindi, minoranza contro il tempo e le esigenze del rapporto fiduciario che deve esserci tra cliente e avvocato. Noi in questo momento stiamo tutelando il cliente e non l’avvocato.
È giusto perciò che, una volta per tutte, le sia replicato in questi termini e, poi, lei abbia la sovrana libertà di continuare a sostenere la sua tesi, obiettivamente aberrante da questo punto di vista, che ci troverà coerentemente contrari in tutti i passi dell’articolato.
Anche quando si parla della continuità professionale, lei tocca un tema che ciascuno di noi che ha vissuto l’associazionismo forense o che è stato indegnamente presidente di ordini forensi ha dovuto affrontare un sacco di volte. Noi vogliamo un avvocato serio, che faccia l’avvocato davvero, non di scavalco o occasionalmente, e che sia affidabile per colui che vi si rivolge.
La cassa forense stessa ha sottolineato che la continuità serve anche per mantenere equilibrio tra chi contribuisce e chi fruisce delle prestazioni. Tante altre ragioni sono state coerentemente scritte in questa legge, nell’articolo 20 come nel precedente di cui ci siamo occupati.
Noi vogliamo un avvocato serio, affidabile, trasparente, libero, non assoggettato a capitali o ad altre forze esterne. Tenga presente questo punto di vista e rivolga pure le sue critiche, ma non si erga a giudice della volontà politica, che è trasparente e coerente, da parte di questa maggioranza. Una volta per tutte, così almeno ci siamo intesi, noi con voi e con coloro che ci stanno ascoltando. (Applausi dal Gruppo PdL. Commenti del senatore Garraffa).
FINOCCHIARO (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO (PD). Signor Presidente, intervengo perché mi pare che qui si stia radicando un equivoco. Lo dico anche nell’interesse del senatore Benedetti Valentini che ha così a cuore, così come noi, il fatto che il dibattito che si svolge in questo Senato sia leggibile all’esterno e non soltanto ai professionisti che sono coinvolti.
Tanto per essere chiari e per dissipare l’equivoco, che altrimenti pesa sulla conduzione del provvedimento (e per questo mi permetto di intervenire), nessuno ha mai pensato che le società tra professionisti dovessero vedere un socio di capitale e i professionisti. Anzi, unanimemente la posizione che abbiamo sviluppato, anche quando eravamo al Governo, è che le società tra professionisti non possano avere un socio di capitale ogni qualvolta, come in questo caso, ciò che è in gioco è un bene tutelato dalla Costituzione: qui il diritto alla difesa dei soggetti.
Quello che stiamo tentando di fare, senatore Benedetti Valentini, e che evidentemente le sfugge pienamente, è il fatto di tentare di modernizzare e rendere competitivo il nostro sistema professionale, adeguandolo a quei criteri di competitività che sono propri di altri Paesi europei, che assai prima e assai meglio di noi su questi temi sono intervenuti. Il suo intervento è invece cristallizzante un ordine che, io capisco, è coerente con la sua posizione (lei ha presentato anche una proposta di riforma costituzionale con la quale prevede la rappresentanza per corporazioni nella Camera dei deputati, ed è un sostenitore agguerrito del piccolo studio e del piccolo tribunale), ma noi crediamo sia assolutamente indispensabile, nell’interesse dei nostri professionisti, eccellenti per qualità, ma senza gli strumenti per essere pienamente competitivi, andare a società tra professionisti che escludano ogni rapporto di servaggio – questo è fuori discussione – tra il capitale e il lavoro professionale, e che questo possa aiutare l’Italia a restare più competitiva.
Dirimiamolo questo equivoco, altrimenti, poiché ha una sua strumentalità, che noi comprendiamo, non si capisce che in quest’Aula si fronteggia, da una parte, chi vuole difendere la piccola rendita e il piccolo privilegio, che appartengono ad una descrizione dell’esistente ancorata al passato e che segna un ritardo dell’Italia e, dall’altra, chi vuole tentare di offrire ai professionisti italiani, ai giovani professionisti italiani – buon Dio, una volta per tutte! – la possibilità di restare competitivi rispetto al mondo delle professioni europee. (Applausi dal Gruppo PD).
[…]
ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Senatore Benedetti Valentini, mi riferisco al suo intervento di poco fa per osservare che gli artigiani, i quali svolgono un’attività fondamentale per la nostra economia, non hanno alcuna pretesa d’imporre che tutti svolgano la stessa attività produttiva nello stesso modo in cui la svolgono loro, ma neanche di vietare che, per esempio, un falegname possa fare anche il fabbro, se lo sa fare. Dove sta scritto che l’artigiano, siccome la sua è una bottega di falegname, non può anche battere il ferro? Se nel settore artigiano non hanno questa pretesa, perché gli “artigiani avvocati” dovrebbero avere una pretesa di questo genere nei confronti dell’intera loro categoria?
Colleghi, professionalmente sono nato in una bottega artigiana; nel secolo scorso, era “bottega artigiana” lo studio legale dei miei nonni materni, di mio padre e di mia madre; conosco bene come funziona l’avvocatura in quella sua forma tradizionale; e ne ho anche apprezzato i molti pregi. Ma non vedo perché dobbiamo sclerotizzarci al punto di ritenere che anche nel nuovo secolo quella debba essere l’unica forma in cui l’avvocatura può essere esercitata.
Mi rivolgo al senatore Benedetti Valentini, dunque, ma anche a tutti i colleghi della maggioranza. Mi risulta che un certo Giulio Tremonti, che non milita nelle file dell’opposizione, abbia recentemente proposto che venga sancito nella Costituzione della Repubblica il principio per cui tutto ciò che non è vietato è permesso. Con questa legge voi state facendo esattamente il contrario: tutto ciò che non corrisponde al modello tradizionale è vietato. È vietato sia per quel che riguarda l’organizzazione del tempo di lavoro, sia per quel che riguarda la forma dell’organizzazione del lavoro, la forma del reperimento dei capitali necessari per l’esercizio dell’attività, la forma giuridica dello studio professionale e così via.
È esattamente il contrario di quello che il ministro Tremonti ha dichiarato di voler porre come regola generale dell’ordinamento dell’economia italiana. Come la mettiamo, colleghi della maggioranza e soprattutto, colleghi del Popolo della Libertà? (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Astore).
[…]
ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signor Presidente, il tema di questo emendamento, che si riferisce alla lettera e) dell’ultimo comma dell’articolo 17, è lo stesso che poi ritroveremo nell’articolo 18: si intende mantenere un divieto di combinazione tra lo svolgimento a tempo parziale dell’attività forense con lo svolgimento a tempo parziale di un’altra attività di qualsiasi altro genere, anche subordinata.
Vi è qui, oltre che un problema di opportunità, un problema di costituzionalità. Non possiamo dimenticare che la Corte costituzionale ha più volte ripetuto che la retribuzione del lavoratore subordinato a tempo parziale può essere proporzionatamente inferiore rispetto ai minimi previsti dai contratti collettivi proprio perché il lavoratore può integrare il reddito proveniente da quel rapporto con il reddito proveniente da altri rapporti di lavoro, altre attività professionali.
Sono ben consapevole del fatto che la regola vigente, l’ordinamento forense oggi vigente, stabilisce questa incompatibilità; ma legiferando nel 2010 dobbiamo interrogarci sulla ragion d’essere di una norma che è stata posta 77 anni fa, in un regime, in un ordinamento che era completamente diverso dall’attuale e in un contesto economico sociale completamente diverso dall’attuale. Non possiamo pensare che, solo perché negli ultimi settant’anni la regola è stata questa, la regola debba rimanere questa anche per i prossimi settanta.
Può essere che esistano delle ragioni per stabilire dei limiti di questo genere; ma se ci sono dobbiamo esplicitarle, dobbiamo evidenziarle e discuterne. Chiedo allora al relatore e al Governo di chiarire quali siano, nella loro visione, le ragioni che inducono a porre questa norma, quali siano le ragioni che inducono a derogare per questo aspetto rispetto a un orientamento che la Corte costituzionale ha sancito in diverse sentenze. Esplicitatelo e discutiamone; ma il legiferare solo per inerzia è un errore grave, che non ci possiamo permettere.
Per questo motivo, il Partito Democratico, se non verrà data dal relatore o dal Governo una motivazione adeguata su questo punto, voterà a favore dell’emendamento 17.208. (Applausi dal Gruppo PD).
[…]
MORANDO (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORANDO (PD). Scorrendo gli emendamenti – mi sono occupato di questo disegno di legge attivamente quando era in Commissione – ho visto che non c’è nessun emendamento soppressivo della lettera d) del comma 1 dell’articolo 17, quello che prevede un’incompatibilità totale tra la qualità di ministro di culto e l’attività di avvocato. Immagino che su questo aspetto non si sia adeguatamente riflettuto, per cui, poiché manca un emendamento, mi rivolgo al relatore per pregarlo – se è d’accordo, naturalmente – di presentarlo.
Farò riferimento alla mia esperienza personale. Conosco per combinazione qualche pastore valdese; dei tre che conosco, due fanno gli avvocati. Ebbene, stiamo stabilendo che questi signori non possono più fare i pastori valdesi se vogliono continuare a fare gli avvocati. Non credo che la maggioranza ed il Governo abbiano un’intenzione simile. Quindi, prego il relatore di presentare un emendamento soppressivo della lettera d) o di scriverla in maniera del tutto diversa da come è adesso.
Poiché l’emendamento non c’è, ho chiesto di intervenire in proposito per pregare il relatore di presentare un emendamento soppressivo della lettera d).
[…]
ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signor Presidente, vorrei solo osservare che, stando ai voti espressi dall’Aula sino a questo momento, abbiamo vietato la combinazione dell’attività forense a part time con l’attività di medico o di ingegnere a part time; ma al tempo stesso, abbiamo invece stabilito che è consentito fare il parlamentare a part time e l’avvocato nel resto del tempo. Allora, dal momento che tutto si può sostenere, chiedo un minimo di motivazione. Che cosa ci induce a ritenere che ciò che è incompatibile quando si tratta di fare l’ingegnere non lo è più quando si tratta di fare il parlamentare?
Sono stati portati diversi argomenti a sostegno della incompatibilità. Se ne possono portare altri a sostegno della compatibilità. Osservo, però, che qui nessuno ha spiegato perché quando si parla del medico, dell’ingegnere o della guida alpina, o di una qualsiasi altra attività, quella è vietata ma non è vietata quella del parlamentare. Allora sorge un sospetto di conflitto di interessi in questo voto: si è voluto ancora una volta tutelare un privilegio della casta (Applausi del senatore Astore), privilegio che in questo caso può anche corrispondere in ipotesi ad una esigenza reale e giustificata, ma occorre dire quale. In realtà si può fare insieme l’avvocato e il parlamentare, ma allora mi si deve spiegare per quale motivo non si possa fare insieme l’avvocato e l’ingegnere, l’avvocato e il medico, l’avvocato e la guida alpina.
Non ci avete dato questa spiegazione, ma non l’avete data neanche al Paese che invece ve la chiede. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Astore).
[…]