IL MANIFESTO PER L’UNINOMINALE VUOLE DARE VOCE A UNA LARGA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI, CHE ASPIRA A UNA RIFORMA ELETTORALE CENTRATA SULLA REGOLA PER CUI IN OGNI COLLEGIO SI ELEGGE UNO E UN SOLO PARLAMENTARE – LE SOLUZIONI TECNICHE COMPATIBILI CON QUESTA REGOLA SONO DIVERSE: NON FATICHEREMO A TROVARE QUELLA SU CUI FAR CONVERGERE QUESTA LARGA MAGGIORANZA
Intervista a cura di Marina Nemeth, pubblicata sul quotidiano il Piccolo il 9 settembre 2010
ROMA Ad un passo dalle elezioni anticipate, Fini lancia una riforma del sistema elettorale. A questo punto è chiaro che esiste una maggioranza decisa a cambiare la legge. Ma le posizioni dei partiti sono assai divergenti su quale dovrebbe essere il nuovo sistema da adottare. Fra le varie ipotesi c’è quella del collegio uninominale sullo stile anglosassone. Pietro Ichino, giurista ed eletto nelle file del Pd, è il primo firmatario di un appello (www.uninominale.it) che ha raccolto numerose adesioni bipartisan, anche all’interno del Pdl e dello stesso governo, tra le quali quelle di venticinque parlamentari Pd, Pdl, radicali e finiani, e ultimamente quelle del sottosegretario Urso e del vicepresidente del Senato Chiti.
Onorevole Ichino, può spiegare i punti fondamentali della vostra proposta?
Il nostro appello vuole dar voce a tutti coloro che aspirano per il nostro Paese a un sistema elettorale imperniato sul collegio uninominale maggioritario: cioè sulla regola per cui in ogni collegio si elegge uno e un solo parlamentare. Questa delimitazione non è cosa da poco: significa collegi elettorali piccoli, nei quali è possibile un rapporto diretto tra elettori e candidati e il costo delle campagne elettorali per questi ultimi è minimo. Però resta aperta la scelta tra diverse possibili varianti del sistema uninominale maggioritario.
Ovvero?
C’è il cosiddetto ”uninominale secco”, cioè a turno unico, da sempre in vigore in Gran Bretagna e negli Usa. Ma ce’è anche quello a doppio turno, sperimentato in Francia. Quest’ultimo, a sua volta, produce effetti diversi se al secondo turno si ammettono soltanto i due candidati con risultato migliore, oppure i primi tre, oppure ancora si stabilisce uno sbarramento: oggi in Francia accede al secondo turno soltanto chi nel primo ha avuto almeno il 12,5 per cento dei voti rispetto agli aventi diritto. Poi c’è il sistema sul quale i britannici saranno chiamati a un referendum nella primavera prossima, nel quale si consente all’elettore di esprimere anche una seconda scelta: questa viene conteggiata soltanto se nessun candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta delle prime scelte.
Il sistema propugnato dal vostro Manifesto vuole evitare il ritorno al sistema proporzionale e al voto di preferenza, che aumenta il rischio di brogli. Però il ritorno alla scelta del cittadino nell’elezione dei suoi rappresentanti, secondo Fini e molti esponenti dell’opposizione, è il punto essenziale sul quale insistere nel caso di una riforma elettorale.
L’uninominale consente una libertà di candidatura molto maggiore rispetto al proporzionale perché il collegio è molto più piccolo. E se è più facile esercitare il diritto di elettorato passivo, questo ha l’effetto di rafforzare anche l’elettorato attivo, cioè di allargare la possibilità di scelta effettiva dei cittadini.
Dal “Porcellum” al “Mattarellum”. Passando per il sistema tedesco e quello alla francese. Perché questi sistemi non funzionerebbero?
Un sistema del tipo di quello francese con una restrizione seria nell’accesso al secondo turno potrebbe funzionare benissimo qui da noi. Il sistema tedesco, invece, significa tornare al proporzionale, con tutti i suoi gravi difetti.
Ce li illustri.
Il sistema proporzionale con il voto di preferenza non aumenta soltanto il rischio dei brogli, ma anche il costo delle campagne elettorali per i candidati. Ha soprattutto il difetto di esaltare il ruolo degli apparati di partito e delle grandi lobbies, che governano facilmente le preferenze nei collegi elettorali di grandi dimensioni. E consente ai partiti di mandare in Parlamento anche persone con gravi pendenze o addirittura condanne penali, la cui candidatura sarebbe invece debolissima in un collegio uninominale.
Non temete di rimanere schiacciati tra i veti di Berlusconi e Bossi alla riforma elettorale, le tendenze proporzionalistiche di Casini, Rutelli o D’Alema, e lo scetticismo di chi – come Giuliano Amato – ritiene irrealistico pensare che si possa arrivare a una riforma di questa portata nella situazione politica attuale?
I sondaggi dei giorni scorsi di Sky e del Corriere della Sera (per quest’ultimo l’87.6 per cento a favore dell’uninominale maggioritario su 13 mila e 752 votanti) danno una percentuale di consensi davvero impressionante. A ben vedere, è la stessa maggioranza che si pronunciò per il ”sì” nel referendum del 1993. Se la nostra iniziativa saprà dare voce a questa larghissima maggioranza degli italiani, la maggioranza in Parlamento si troverà, eccome.