MARCHIONNE CI INDICA I NOSTRI DIFETTI

DI FRONTE AI MUTAMENTI PROFONDI IN CORSO NEL QUADRO ECONOMICO GENERALE E NEL NOSTRO SISTEMA DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI, STENTIAMO A DARCI LE NUOVE REGOLE NECESSARIE

Intervista a cura di Tobia Destefano, pubblicata su Libero il 9 settembre 2010

È stato un dirigente sindacale della Fiom-Cgil. Oggi è giuslavorista e senatore del Pd. Ma nel mondo della politica è considerato un riformista doc. Le proposte di Pietro Ichino fanno discutere. Piacciono spesso a destra. E quasi sempre dispiacciono alla sinistra, quella più massimalista. Del resto il professore vaticinava da tempo la necessità di rivoluzionare il sistema delle relazioni industriali e così, all’indomani dello strappo di Federmeccanica che disdetta il contratto di categoria del 2008, l’ultimo firmato dalla Fiom, ha gioco facile a dire che  «sul piano della politica sindacale, questo atto apre formalmente la crisi del nostro vecchio sistema di relazioni industriali a carattere marcatamente centralistico, cioè fondato sul contratto collettivo nazionale rigidamente inderogabile».

Professore, ma non ci aveva già pensato la riforma contrattuale del 2009?
«No: quell’accordo ha cambiato ancora troppo poco. Tanto è vero che il contratto aziendale stipulato dalla Fiat con Fim e Uilm a Pomigliano è entrato in attrito anche con quell’accordo interconfederale».
Perché?
«Perché la riforma dice che lo scostamento dal modello standard nazionale deve essere un’eccezione e comunque filtrata da una commissione paritetica nazionale».

Quindi serviva lo strappo…Ma in questo modo non si rischia di arrivare a una contrattazione “al ribasso”, il famigerato “dumping sociale”?
«Certo, c’è l’innovazione buona e quella cattiva. Ma non possiamo precluderci quella buona per paura di quella cattiva: e invece è proprio quello che stiamo facendo. Il sindacato che in una azienda rappresenta la maggioranza dei lavoratori deve poter valutare il piano industriale innovativo e, se la valutazione è positiva, deve poter guidare e rappresentare i lavoratori stessi nella scommessa comune con l’imprenditore su quel piano».

La mossa di Federmeccanica ha avuto un impulso decisivo dalla Fiat e da Marchionne. Come giudica gli impulsi che arrivano dall’ad del Lingotto?
«Mi sembra che finora Marchionne abbia dato buona prova di sé. E in questo caso ci ha fatto il servizio prezioso di indicarci alcuni difetti gravi del nostro vecchio sistema di relazioni industriali. Le altre grandi multinazionali che si tengono alla larga dal nostro Paese non perdono tempo a spiegarcene i motivi».

Alcuni sindacati, vedi la Cisl, chiedono una sorta di “do ut des”. Del tipo, ve bene più flessibilità, ma allora apriamo la strada della compartecipazione agli utili dei lavoratori.
«La pqrtecipazione agli utili soltanto uno dei modelli di partecipazione possibili. Nel mio disegno di legge, sul quale l’anno scorso si era raggiunta una larghissima convergenza in seno alla Commissione Lavoro del Senato, ne sono ipotizzati altri otto. Nessuno di questi deve essere imposto: l’importante è che tutti i modelli possano essere scelti e sperimentati, e possano anche competere tra di loro».

E poi cos’è successo?
«Nell’autunno scorso si è bloccato tutto. Per promuovere la partecipazione dei lavoratori in azienda occorrono alcune regole, in particolare sul piano tributario, che solo la legge può porre. Non comprendo davvero il perché dell’inerzia del Governo su questo terreno».

Forse per l’opposizione della Confindustria.
«Forse, Ma non capisco neanche il perché dell’opposizione di Confindustria, dal momento che il mio disegno di legge prevede sempre la necessità di un contratto aziendale per l’attivazione di qualsiasi forma di partecipazione: l’imprenditore, come ovviamente il sindacato, che non ne vuol sapere non ha che da rifiutare di stipulare il contratto».

(Proprio mentre stiamo parlando escono i take di agenzia su Bonanni aggredito alla Festa del Pd di Torino) Professore, prima Schifani, ora Bonanni: cosa sta succedendo?
Gli episodi come questo fanno parte di un vecchio armamentario politico, che tende a demonizzare la persona che la pensa diversamente, a creare intorno ad essa un cordone sanitario, per evitare che possa aprirsi con lei una discussione vera, sulle cose. Ma chiudendo in questo modo la discussione ci si preclude di capire le idee altrui e si finisce col non affrontare per davvero i problemi. Col risultato che non si capisce più la realtà circostante. E la realtà va avanti senza attendere chi si comporta in questo modo.

 

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