POMIGLIANO: PERCHE’ E’ NECESSARIO UN ACCORDO O UNA LEGGE

ED E’, PARADOSSALMENTE, PROPRIO LA CISL – VINCITRICE DEL CONFRONTO SINDACALE A POMIGLIANO – AD OPPORSI ALLA SOLUZIONE CHE CONSENTIREBBE DI TRADURRE LA VITTORIA SINDACALE IN SUCCESSO OPERATIVO

Articolo di Franco Debenedetti pubblicato sul Sole 24 Ore del 25 luglio

Dopo il referendum di Pomigliano, le cose si sono ingarbugliate. Lo riconosce con la solita franchezza Sergio Chiamparino sul Sole 24 Ore di sabato: oltre all’«indifferenza generale», oltre allo «scetticismo», ci sono precisi «problemi di rappresentatività sindacale» se il Progetto Fabbrica Italia è stato accolto in modo così deludente. Questi problemi chiamano in causa non solo la Cgil, ma anche la Cisl. E qui sta il paradosso: perché è proprio la Cisl, l’unico tra tutti gli attori a poter dire di avere vinto a Pomigliano, a opporsi alle misure che potrebbero tradurre la vittoria alle urne in successo sul campo.
Bisogna leggerlo correttamente, il risultato di quel referendum. Ha formalmente approvato l’accordo, ma lascia del tutto incerti quanto al fatto che esso venga applicato: a votar contro è stato il doppio degli iscritti alla Fiom, e in alcuni reparti la percentuale dei contrari è vicina al 50 per cento. Oggi, un dipendente di Pomigliano, anche iscritto a uno dei sindacati che ha firmato l’accordo, potrà aderire allo sciopero degli straordinari già dichiarato dai Cobas da qui al 2014, senza nessuna delle sanzioni previste dall’accordo.
Infatti, per la legislazione vigente, un accordo anche se firmato da sindacati che rappresentino la maggioranza dei dipendenti, oppure ratificato dalla maggioranza dei partecipanti a un referendum aziendale, è zoppo dal punto di vista dell’efficacia nei confronti di tutti i dipendenti. Qui sta il problema.
Letto correttamente, quel risultato può fare chiarezza: oggi credo che in Fiat ci si renda conto di quanto azzardato fosse sperare che bastasse un largo consenso a isolare i contrari anche senza modificare la situazione di diritto.
L’annuncio di voler fare la nuova vettura Lancia in Serbia apre un diverso fronte. Per Luciano Gallino (sulla Repubblica) la Fiat cerca solo di lucrare quanto più si può sul costo della manodopera diretta: ma questa incide per il 7-8% del costo totale, e quindi il differenziale su quella voce pesa molto meno della spalmatura dei costi fissi su un output di vetture minore e irregolare.
Il ministro Calderoli e il governatore Vendola rinfacciano alla Fiat chi i comportamenti coloniali, chi i benefici ricevuti: ma ammesso che questi siano stati superiori a quelli che tutti i paesi hanno dato ai loro produttori d’auto, non si capisce come con le inefficienze future si potranno pagare i debiti passati. Mancato sviluppo del Sud e incapacità di attirare investimenti esteri, le cause delle sconfitte sono tante, ma dato che una causa comune certamente è l’impossibilità di poter contare sulla validità di accordi accettati dalla maggioranza, già che Pomigliano ce ne dà l’occasione, incominciamo da lì. Il problema ha particolare rilevanza per l’auto – il più costoso e complicato e competitivo dei beni di consumo durevoli – ha particolare visibilità per la Fiat – che ha le poche grandi fabbriche rimaste – ma riguarda tutte le nostre aziende.
La soluzione tecnicamente è semplice: riconoscere la possibilità per il contratto aziendale di derogare dal contratto nazionale se stipulato dalla coalizione maggioritaria o approvato a maggioranza dai lavoratori, e quindi il carattere vincolante delle clausole di tregua inserite nel contratto stesso. Basterebbe approvare una legge di due articoli, probabilmente senza opposizione da sinistra, dato che questa norma di democrazia sindacale è da tempo richiesta dalla Cgil.
Oggi è la Cisl ad opporsi a una soluzione per via legislativa. Certo, in linea di principio sarebbe preferibile che i rapporti sindacali venissero risolti con accordi interconfederali firmati da tutti, e non con strumenti di legge. In realtà, il fatto è che la Fim-Cisl, maggioritaria a Pomigliano, è minoritaria rispetto alla Fiom-Cgil tra i metalmeccanici. Se accetta di confrontarsi in termini di numeri, deve accettare che, là dove Cisl e Uil non fanno maggioranza, il contratto nazionale non si faccia. È questa la ragione per cui tutte le proposte di riforma in senso proporzionale delle rappresentanze sindacali non sono state accolte.
Il ministro Sacconi ha convocato le parti per mercoledì prossimo, dice che «nel frattempo lavoriamo per costruire»: ma vorrà prendere l’iniziativa di tagliare questo nodo gordiano del nostro sistema industriale? Conta sul fatto che la Fiat non può rischiare di diventare un’azienda apolide: il settore dell’auto è fortemente regolamentato in Italia, dove la Fiat ha la maggior quota di mercato, e in Europa, dove chi se non il governo italiano può rappresentarla?
Quindi tutto fa pensare che la Fiat verrà lasciata sola a decidere se imbarcarsi in una conflittualità strisciante a Pomigliano, se rischiare una conflittualità di sistema con la prova di forza della newco, o continuare a dibattersi con mezze soluzioni, tra le certezze della concorrenza e le incertezze del paese, accompagnata dal solito coro di ricatti, ripicche, esortazioni. La situazione la conosciamo bene: la differenza è che questa volta ne conosciamo con precisione le cause.

 

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