LA RIFORMA DELL’UNIVERSITA’ PROPOSTA DAL MINISTRO GELMINI VA NELLA DIREZIONE GIUSTA – L’INTERROGATIVO CHE RESTA APERTO RIGUARDA PERO’ LA SUA CHIAVE DI VOLTA, COSTITUITA DALLA VALUTAZIONE INDIPENDENTE
Articolo di fondo di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 22 luglio 2010
La cosa più rilevante accaduta in questi mesi nell’università è la nascita dell’Anvur, un’agenzia indipendente il cui compito è valutare gli atenei e lo stato della ricerca. Più importante della stessa legge di riforma che l’aula del Senato inizia oggi a discutere: perché gli incentivi sono spesso più efficaci delle leggi.
Dallo scorso anno, una quota (il 7%) dei fondi che lo Stato trasferisce alle università viene assegnata sulla base di un esperimento di valutazione, effettuato prima della nascita dell’Anvur. Le università migliori ricevono un premio che può essere cumulato nel tempo. Nel 2011 atenei virtuosi (ad esempio i Politecnici di Torino e Milano) potrebbero quindi ricevere fino al 14% in più, una cifra che li metterebbe ampiamente al riparo dai tagli orizzontali previsti dalla Finanziaria.
In altre sedi, invece, il taglio complessivo potrebbe superare il 14%. Poiché i fondi pubblici ormai servono a mala pena a pagare gli stipendi, le università peggiori, per sopravvivere, dovranno attuare ampie riorganizzazioni, ad esempio chiudere i dipartimenti responsabili per la modesta valutazione dell’intero ateneo.
L’efficacia dell’Anvur dipenderà dalle persone chiamate a guidarla. I primi passi lasciano ben sperare. Il consiglio direttivo sarà individuato (riproducendo le modalità seguite per lo European Research Council, Erc) all’interno di una rosa di nomi indicati da cinque esperti. La presenza fra essi di Salvatore Settis e Claudio Bordignon, gli unici italiani che fanno parte del comitato scientifico dell’Erc, è una garanzia della qualità delle scelte. Se non vi saranno sorprese, l’autorevolezza e l’indipendenza dell’Anvur saranno in contro-tendenza rispetto ad un governo che dimostra un crescente fastidio
verso le agenzie indipendenti.
La fine dei concorsi universitari è l’aspetto più rilevante della riforma. Sono i tempi eterni e la corruzione dei concorsi che hanno indotto tanti giovani ad emigrare. Salvo il vaglio di una certificazione nazionale, le università potranno assumere chi ritengono a loro più adatto. È per questo motivo che l’Anvur è il vero perno della riforma: se l’agenzia non funzionasse, la nuova legge consentirebbe di assumere amici e parenti senza dover neppure truccare i concorsi.
In queste ore ricercatori e professori associati premono per essere tutti promossi ope legis. La nuova legge li protegge fin troppo. A chi già lavora nell’università riserva di fatto i due terzi di tutti i nuovi posti: solo un nuovo docente ogni tre proverrà da fuori. E la definizione di «esterno» non impedirà all’università di Trieste di assumere un suo allievo temporaneamente trasferito a Gorizia. In Senato numerosi emendamenti propongono di abbassare ancor più la quota di esterni.
Ma quanti nuovi posti vi saranno nei prossimi 5-6 anni? Pochissimi se i professori insistono per insegnare fino a 70 anni. Il Pd chiede che l’età di pensionamento sia abbassata a 65 anni, come accade quasi ovunque in Europa. Questo, e un graduale innalzamento della quota di fondi pubblici assegnata sulla base delle valutazioni, consentirebbe di non perdere una generazione di ricercatori. I professori resistono: non per insegnare fino a 70 anni, ma per non perdere potere. C’è una soluzione semplice per convincerli ad andare in pensione: prevedere che dopo i 65 anni non si possa più partecipare alla selezione dei nuovi docenti, né dirigere le Scuole di specializzazione, soprattutto quelle di medicina.