LA MANOVRA AFFONDA FEDERALISMO E RIFORMA BRUNETTA

I CONTI PUBBLICI TERRANNO ANCHE, MA QUESTA MANOVRA SEGNA LA RINUNCIA DA PARTE DEL GOVERNO A TUTTI I PUNTI QUALIFICANTI DEL PROPRIO PROGRAMMA DI INIZIO LEGISLATURA

Intervista a cura di Marina Nemeth, pubblicata su il Piccolo, quotidiano di Trieste, il 22 luglio 2010 

Il ministro Tremonti rassicura il Paese: la manovra economica appena varata dal Senato “è solida e gli italiani possono stare tranquilli”. Secondo il titolare del dicastero dell’Economia “in autunno non ci sarà alcun collasso, i conti pubblici terranno” e non servirà alcuna manovra correttiva sul 2010 per centrare gli obiettivi di deficit concordati con l’Europa. Lei è d’accordo?

“Sul punto che in autunno i conti pubblici terranno, probabilmente il ministro ha ragione – risponde il professor Pietro Ichino studioso del diritto del lavoro e senatore del Pd – ma il problema non sono solo i conti pubblici.

Qual è, allora, il problema?

L’incapacità dell’economia italiana di crescere. La crisi avrebbe dovuto essere l’occasione per correggere questo nostro “male oscuro”, almeno sul versante delle amministrazioni pubbliche. Invece, da questo punto di vista, la manovra è una grande occasione perduta.

Che cosa è mancato?

Si doveva cominciare a praticare i tagli in modo selettivo: tagliare su sprechi, rendite parassitarie, rami secchi, premiando invece le strutture virtuose. Si è preferita la via più facile, quella dei tagli uguali per tutti. Si sono azzerate le sole due novità positive di questa legislatura.

Quali?

La scelta federalista avviata con legge-delega, e la parte della legge Brunetta sulla valutazione indipendente delle performance  delle amministrazioni pubbliche, che è lo strumento principe per poter cominciare a distinguere fra ciò che funziona e ciò che va tagliato.

Quindi le Regioni hanno ragione a protestare?

Certo, alcune regioni sono fortemente penalizzate da questa manovra: sono quelle che più delle altre hanno già tagliato gli sprechi e ridotto le inefficienze. Queste saranno costrette a ridurre buoni servizi, incidendo in un tessuto amministrativo sano.

C’è un discorso specifico per le regioni a statuto speciale?

 A me sembra che oggi, a più di 60 anni dalla loro istituzione, siano venute meno le ragioni originarie della loro costituzione. Oggi gran parte dei privilegi che vengono loro riconosciuti mi sembrano francamente ingiustificati.  

Sempre a giudizio di Tremonti (che annuncia la fiducia sul provvedimento anche alla Camera) il Governo ha fatto “la più grande e responsabile riforma delle pensioni, che è stata accettata senza un giorno di sciopero”.

In parte, quella consistente nella parificazione dell’età di pensionamento delle impiegate pubbliche rispetto agli impiegati, la riforma l’ha fatta l’Unione Europea, contro la volontà di questo Governo: non dimentichiamo che prima della sentenza della Corte di Giustizia del novembre scorso, il ministro Sacconi aveva opposto un ‘no’ secco a questa proposta. Per l’altra parte, il Governo non ha fatto altro che dare attuazione alla riforma Dini del 1995. Comunque ha fatto bene a farlo.

Prima lei ha parlato di  un male oscuro che impedisce all’Italia di crescere. A cosa si riferisce?

L’Italia sta subendo gli effetti negativi della globalizzazione, cioè le delocalizzazioni di aziende e la concorrenza dei lavoratori stranieri nelle fasce professionali di base, ma non è capace di goderne un effetto positivo importantissimo: la capacità di attirare sul proprio territorio il meglio dell’imprenditoria straniera. In Europa, sotto questo aspetto, siamo penultimi, davanti soltanto alla Grecia.

Le cause?

Cattivo funzionamento delle amministrazioni pubbliche, costi alti dei servizi alle imprese per difetto di concorrenza e difetto delle infrastrutture. Ma tra le cause più importanti c’è anche un sistema di relazioni sindacali barocco, tendenzialmente chiuso all’innovazione, e un diritto del lavoro illeggibile e incomprensibile per i lavoratori stranieri.

Ma il governo Berlusconi non doveva essere quello che apriva alle liberalizzazioni?

A parole, sì. Nei fatti sta andando nella direzione contraria, sta tornando indietro anche rispetto alle liberalizzazione della XV legislatura: in materia di libere professioni, di autotrasporto, di taxi, di commercio, di mercato farmaceutico, e molto altro ancora.

 

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