CON LA FLEXSECURITY CI GUADAGNANO TUTTI: LE IMPRESE E (SOPRATTUTTO) I LAVORATORI

IL MODELLO DI FLEXSECURITY PROPOSTO CON I DISEGNI DI LEGGE N. 1481 E 1873 NON RIDUCE AFFATTO IL LIVELLO DI PROTEZIONE DELLA CONTINUITA’ DEL LAVORO E DEL REDDITO – SE ESSO E’ SUSCETTIBILE DI APPLICARSI A TUTTI I NUOVI RAPPORTI DI LAVORO “DIPENDENTE”, LO SI DEVE AL FATTO CHE IL REGIME DI FLEXSECURITY, ANCHE SENZA ONERI AGGIUNTIVI PER LO STATO, COSTA ALLE IMPRESE NETTAMENTE MENO DEL REGIME DI SOSTANZIALE JOB PROPERTY  FONDATO SULL’ARTICOLO 18 

Articolo in corso di pubblicazione sul sito Nelmerito.com, in risposta agli interventi di Luisa Corazza e di Marco Leonardi e Massimo Pallini, pubblicati sullo stesso sito il 16 luglio 2010 

            Luisa Corazza pone la questione in questi termini: “Delle due l’una: o si amplia la platea dei protetti (ma si riducono le tutele) o si mantengono le tutele (riservando allora agli esclusi altre forme di protezione)”; e lasciando sopravvivere una sorta di apartheid fra i lavoratori di serie A e quelli delle serie inferiori. Io sostengo che si può sfuggire a questa scomoda alternativa; sostengo, cioè, che è possibile superare drasticamente questo apartheid, istituendo un nuovo regime di protezione, diverso ma non meno efficiente rispetto al nostro vecchio diritto del lavoro, e ciononostante applicabile davvero a tutti i nuovi rapporti di lavoro.
            L’idea è che il regime attuale di protezione forte (articolo 18) generi dei costi – per le imprese e per gli stessi lavoratori protetti – nettamente superiori rispetto al costo di una protezione di nuovo genere per il lavoratore che perde il posto, e assai più efficace: per esempio quella corrispondente al modello danese. Se dunque si accolla all’impresa il costo di questa protezione di nuovo genere, i lavoratori ci guadagnano (perché il nuovo sistema di protezione dà loro più di quanto dia loro il regime di sostanziale job property fondato sull’articolo 18) e ci guadagnano anche le imprese, perché questa forma di protezione costa loro di meno. Costa meno, infatti, garantire al lavoratore licenziato continuità del reddito e assistenza intensiva di alta qualità fino alla ricollocazione, di quanto costi il ritardo sistematico (anche di anni) nell’aggiustamento industriale imposto oggi di fatto dall’articolo 18.
            Insieme ad altri 54 senatori del Pd ho proposto il nuovo sistema di protezione in due disegni di legge: uno (n. 1481/2009) a carattere sperimentale; l’altro (n. 1873/2009)  in forma di disciplina generale, applicabile a tutte le imprese per i rapporti di nuova costituzione. Il primo mira a consentire l’esperimento del nuovo regime da parte di singole imprese interessate, sulla base di un “contratto collettivo di transizione”, con l’idea che nulla più della sperimentazione possa essere utile per superare le contrapposizioni ideologiche, per consentire la valutazione pragmatica dei pregi e difetti del progetto e anche per mettere a punto la nuova disciplina, in funzione di una successiva sua generalizzazione. Il secondo disegno di legge contiene invece quella che potrebbe essere la nuova disciplina generale della materia, a regime: una disciplina molto semplice, contenuta in tre soli articoli (gli articoli 2118-2120 del nuovo Codice del lavoro semplificato).
            Posso capire la diffidenza nei confronti del secondo disegno di legge, in quanto esso impone il nuovo regime per tutti i nuovi rapporti di lavoro. Ma non riesco a capire la diffidenza nei confronti del primo, quello a carattere sperimentale; qui la volontarietà della sperimentazione, sia per l’impresa sia per i lavoratori, consentirebbe di verificare pragmaticamente la fondatezza dell’assunto fondamentale: quello secondo cui il nuovo regime è un gioco a somma positiva, dal quale entrambe le parti traggono vantaggio. D’altra parte, non è senza significato che, a seguito della presentazione del disegno di legge n.1481, manifestazioni di forte interesse per il progetto siano venute da parte da parte di molte associazioni di giovani (tra cui quella del Pd lombardo, che ha fatto proprio il progetto), oltre che da parte di Cisl, Uil e alcuni settori della Cgil; e che ben 75 imprese, di tutte le dimensioni e di vari settori, abbiano rivolto un appello al Parlamento per la sua rapida approvazione (tutta la relativa documentazione è disponibile sul mio sito, attraverso il Portale della semplificazione e della flexsecurity).
            A questa prospettiva, Marco Leonardi e Massimo Pallini obiettano che dal mio  progetto deriverebbe un nuovo dualismo, questa volta tra vecchi rapporti di lavoro, che resterebbero protetti dall’articolo 18, e rapporti costituiti dopo l’entrata in vigore della legge, soggetti al nuovo regime. Questa obiezione si riferisce evidentemente soltanto al d.d.l. n. 1873 (nuovo Codice del lavoro semplificato)  e non al d.d.l. sperimentale n. 1481. Anche in riferimento al d.d.l. n. 1873, comunque, a questa critica possono essere opposti due argomenti: innanzitutto, che il dualismo attuale del nostro mercato del lavoro vede contrapposti un vecchio regime di protezione e un nuovo regime di non protezione o protezione fortemente ridotta, mentre la riforma da me proposta vedrebbe convivere due regimi dei quali è ragionevolmente sostenibile che il nuovo offra una protezione migliore o comunque non inferiore rispetto alla parte “forte” del vecchio; e ai lavoratori assoggettati al vecchio regime sarebbe data la possibilità di optare, mediante contratto collettivo aziendale, per la transizione al nuovo. Il d.d.l. n. 1873 non dà luogo, dunque, a un apartheid tra protetti e non protetti, ma a un dualismo tra regime di protezione vecchio e nuovo, destinato progressivamente scomparire, anche solo per effetto del turnover dei lavoratori.
            Quanto alla proposta degli stessi Leonardi e Pallini, di riprendere in mano il disegno di legge Treu Morando Salvati del 2000 (che lasciava al giudice la scelta tra la reintegrazione e il risarcimento monetario, nel caso di licenziamento illegittimo), tanto la condivido che proposi un compromesso politico-sindacale negli stessi termini in un editoriale pubblicato sul Corriere della Sera il 25 marzo 2002, sia pure nel quadro di un discorso più ampio. Questa soluzione, tuttavia, lascia irrisolto il problema di garantire un’assistenza efficace nel mercato ai lavoratori che perdono il posto: introduce un po’ di flex, ma manca ancora la security.

 

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