BICI IN CITTA’: UNA FILOSOFIA PRIMA ANCORA CHE UN MODO DI MUOVERSI

IN ATTESA DI UN’AMMINISTRAZIONE COMUNALE PIU’ ATTENTA ALLE ESIGENZE DI QUESTO MEZZO DI LOCOMOZIONE GENIALE, IL CICLISTA URBANO DEVE ATTREZZARSI CON UN ADEGUATO KNOW-HOW

Articolo pubblicato sul Corriere di Milano il 1° luglio 2010

     I nemici della bicicletta in città sono molti: il traffico dei veicoli a quattro ruote, innanzitutto, poi il caldo d’estate e il freddo d’inverno, l’inquinamento dell’aria, il fondo stradale (pericolosi soprattutto il pavé e le rotaie del tram); infine, non ultimi per importanza, i perfidi e onnipresenti ladri di biciclette.
     Giravo sulle due ruote a Milano da quando avevo dodici anni; e ho continuato fino a quando le minacce dei brigatisti mi hanno obbligato a muovermi sotto la protezione della Guardia di Finanza. La usavo tutti i giorni, con qualsiasi tempo: sole, pioggia e persino neve. Nel corso di decenni di pedalate mi sono convinto che — almeno fino a quando l’amministrazione cittadina continua a essere sorda ai nostri problemi — il ciclismo urbano richiede, per poter essere praticato da (quasi) tutti, la diffusione di un know how specifico. Se si impara a evitare il traffico, a riconoscere ed evitare qualche trappola, a dotarsi di una attrezzatura antipioggia efficace e di un buon antifurto, non esiste un modo per andare a scuola o al lavoro meno costoso e più piacevole, salutare per sé ed ecologico per la comunità. E più saremo numerosi, più l’amministrazione sarà costretta a fare spazio alle nostre esigenze, che del resto collimano perfettamente con quelle dell’intera città.
     Il nemico numero uno è senza dubbio il traffico a motore. Qui a Milano, all’interno della circonvallazione esterna (quella, per intenderci, della linea 90/91), evitare di pedalare di fianco a una serie ininterrotta di tubi di scappamento è quasi sempre possibile, a condizione che si sappia disegnare l’itinerario migliore: esiste spesso un percorso che passa per le vie minori e che sfrutta al meglio i pochi spazi chiusi alle auto. Certo, la prima volta il percorso ideale va studiato bene; e presuppone la disponibilità ad allungare un po’ la strada.
     Qui si manifesta la filosofia essenziale del ciclismo cittadino: quei cinque o dieci minuti di più che si devono spendere per evitare le strade trafficate non sono «tempo perso», ma tempo riservato a una piacevole pedalata. Col passare dei mesi, il ciclista urbano elabora e perfeziona la propria rete di percorsi anti-traffico. Ma dovrebbe essere compito dell’amministrazione comunale individuarli, promuoverli, segnalarli e attrezzarli. Se si volesse fare le cose bene, basterebbe interrompere ciascuna di queste vie minori con dei piloncini, in modo che vi accedano soltanto le auto di chi ci abita o ci lavora; comunque dotarle di dissuasori di velocità, con opportuno varco per le bici. Limite di velocità: 15 o 20 chilometri all’ora.
     Una adeguata pubblicizzazione della rete dei «percorsi ciclistici protetti» invoglierebbe sicuramente un gran numero di milanesi, di tutte le età, a tirar fuori la bicicletta dalla cantina.

 

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