IN DIFESA DEL “DECALOGO” PROPOSTO DA STEFANO FASSINA PER LA POLITICA DEL LAVORO DEL PARTITO DEMOCRATICO: “NON E’ VERO CHE QUESTO DOCUMENTO LASCIA IN VITA IL DUALISMO DEL SISTEMA”
Articolo di Marianna Madia, membro della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, pubblicato il 21 maggio 2010 su Europa, in risposta al mio editoriale del giorno prima – In argomento v. anche il mio intervento all’Assemblea nazionale, del giorno successivo
Il senatore Pietro Ichino pone, giustamente, la necessità di unificare un mercato del lavoro lacerato da un ingiusto dualismo, tra garantiti e non garantiti. Non è certo l’unico apartheid del mondo del lavoro. Esistono tante altre disparità. Tra lavoratori e lavoratrici, tra Nord e Sud, giovani e adulti, persino all’interno stesso dei lavoratori “garantiti” (la vicenda Eutelia sta lì a dimostrarlo). Disparità che vanno affrontate di petto. Il Pd propone oggi un “decalogo” per superarle, attraverso un “diritto del lavoro unico”. Il documento è frutto di un percorso collettivo tra i gruppi nelle commissioni di Camera e Senato e i responsabili lavoro regionali e del territorio; un’elaborazione che ha raggiunto una larga maggioranza dei consensi. Il “decalogo” valorizza due anni di lavoro parlamentare.
E raccoglie le sfide poste dai diversi progetti in campo sul “contratto unico” (di una delle proposte di legge sono prima firmataria, insieme a tanti altri colleghi). Se le idee del Pd divenissero legge, chi oggi è precario potrà ricevere tutte le tutele che non ha, come malattia, maternità, indennità di disoccupazione; con la giusta retribuzione, la formazione continua e una giusta pensione. La principale obiezione che Ichino fa a questo documento è che venga eluso il problema dei lavoratori in condizione di dipendenza economica. Penso sia vero il contrario. L’obiettivo da raggiungere è che non esista più un lavoro parasubordinato che nasconda una condizione di dipendenza.
Come ci si arriva nella strategia del Pd?
1) Eliminando alcune forme contrattuali (ad esempio, il lavoro in partecipazione con solo apporto di lavoro, di cui Ichino parla come rischio di dipendenza economica);
2) limitando altre tipologie contrattuali (in particolare, il lavoro a progetto) proprio negli ambiti di applicazione dove oggi si nasconde la condizione di dipendenza economica;
3) creando convenienza economica per l’utilizzo del lavoro subordinato (oggi, siamo l’unico paese europeo dove il lavoro flessibile costa meno di quello subordinato).
Inoltre, rimangono le vere collaborazioni (non in condizione di dipendenza economica) per le quali comunque derivano, con l’armonizzazione contributiva, diritti che oggi non ci sono. Se non affrontiamo la questione della dipendenza economica in questo modo, il rischio è irrigidire (rischio che proprio Ichino non credo voglia correre) quel segmento di “veri” collaboratori che non desiderano una posizione di lavoro subordinato. In casi di abuso, con la verifica di una posizione economicamente dipendente, il contratto diventa – come è giusto che sia – di natura dipendente. A tutto questo si aggiunge l’introduzione di nuovi diritti di cittadinanza, che prescindono dal rapporto di lavoro (come la maternità e il reddito di solidarietà attiva).
Altro che apartheid che continua! Queste proposte vanno in senso inverso: unificano, includono e affrontano il lavoro come diritto, non come merce. È un documento importante per il nostro progetto alternativo. Da discutere insieme nei prossimi congressi territoriali e nella stagione delle feste.