“SILVIO, ‘FARE ECCEZIONI PER CHI PORTA BELLE RAGAZZE’ SIGNIFICA TOLLERARE LA TRATTA DI SCHIAVE”

LETTERA APERTA DELLA SCRITTRICE ALBANESE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ITALIANO SULLA BATTUTA DA LUI PRONUNCIATA DURANTE L’INCONTRO CON IL PREMIER ALBANESE: DOPO AVERE CHIESTO ALL’ALBANIA MAGGIORE VIGILANZA CONTRO GLI SCAFISTI, IL PREMIER HA AGGIUNTO: “FAREMO ECCEZIONI PER CHI PORTA BELLE RAGAZZE” 

Merid Elvira Dones, autrice del libro  Sole bruciato (Feltrinelli, 2007), ha scritto questa lettera aperta a Silvio Berlusconi il 12 maggio 2010

Egregio Signor Presidente del Consiglio, le scrivo su un giornale che lei non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humor ha toccato persone a me molto care: “le belle ragazze albanesi”. Mentre il premier del mio paese d’origine, Sali Berisha, confermava l’impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che “per chi porta belle ragazze possiamo fare un’eccezione.”

Io quelle “belle ragazze” le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate. A Stella i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana. Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e chissà quanti altri. E’ solo allora – tre anni più tardi – che le incisero la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio.

Ai tempi era una bella ragazza, Stella. Oggi è solo un rifiuto della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre né nonna. Quel “puttana” sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell’uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l’utero.

Sulle “belle ragazze” scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo Sole bruciato. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera: andai in cerca di un’altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a te sta in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a sperare, sogna il miracolo. E’ una storia lunga, Presidente… Ma se sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l’avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio.

In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche righe gliele dovevo. In questi vent’anni di difficile transizione l’Albania s’è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa alta. L’Albania non ha più pazienza né comprensione per le umili azioni gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci.

Questa “battuta” mi sembra sia passata sottotono in questi giorni in cui infuria la polemica Bertolaso , ma si lega profondamente al pensiero e alle azioni di uomini come Berlusconi e company, pensieri e azioni in cui il rispetto per le donne è messo sotto i piedi ogni giorno, azioni che non sono meno criminali di quelli che sfruttano le ragazze albanesi, sono solo camuffate sotto gesti galanti o regali costosi mi vergogno profondamente e chiedo scusa anch’io a tutte le donne albanesi

Merid Elvira Dones

 

Il libro di M.E.D., Sole bruciato (Feltrinelli, 2001) racconta la vita di uomini e donne smarriti dopo il crollo del regime comunista albanese e i sogni distrutti sui marciapiedi d’Europa da un male che nessuno pensava di avere dentro. Un male che esplode quando le speranze si infrangono definitivamente, con la violenza senza limiti, la follia dei soldi facili, l’annullamento di qualsiasi etica umana. La voce narrante che apre il romanzo è quella di Leila, una giovane donna covinta a venire in Italia per diventare stilista e obbligata a prostituirsi. Leila torna a casa morta, rinchiusa in una bara, dopo tre anni di scomparsa misteriosa (per i suoi parenti) e di martirio. Come nei racconti epici, è lei a tirare le fila delle numerose storie che si intersecano: la sua e quelle di Soraja, di Elena, di Laura e di altre ragazze, tutte con lo stesso destino.

 

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