RISPOSTA ALLE CRITICHE DELLA CGIL SUI PROGETTI PER SUPERARE L’APARTHEID NEL MERCATO DEL LAVORO

IL MIO PROGETTO PER LA TRANSIZIONE A UN REGIME DI FLEXSECURITY, COSI’ COME IL PROGETTO NEROZZI NON MODIFICA IN NULLA IL REGIME DI PROTEZIONE DEGLI ATTUALI LAVORATORI REGOLARI, MA OFFRE UNA PROTEZIONE UNIVERSALE E MODERNA A TUTTI I NUOVI RAPPORTI DI LAVORO, SUPERANDO RADICALMENTE L’ATTUALE REGIME DI APARTHEID FRA PROTETTI E NON PROTETTI

Articolo pubblicato su l’Unità dell’11 aprile 2010, insieme a una lettera a Michele Tiraboschi e a me di un giovane lavoratore a progetto – In argomento v. anche la lettera  di un operaio metalmeccanico, del 7 aprile, ai senatori firmatari del mio d.d.l. n.1481, con la mia risposta

Caro Direttore, intervengo per rispondere sia alla lettera a Michele Tiraboschi di m.m.v., sia all’articolo di Davide Imola pubblicato sull’Unità di giovedì scorso.
            Nessun dubbio sul fatto che dobbiamo inscrivere le riforme della regolazione dei rapporti di lavoro dentro una più generale “strategia alta” di crescita dell’Italia. Ma come possiamo pensare a una “strategia alta” che sostanzialmente rinunci a superare il dualismo del nostro mercato del lavoro?

            La lettera a Tiraboschi di m.m.v., lavoratore “di serie B”, e ancor più le analoghe lettere che potrebbero scriverci i milioni di giovani lavoratori di serie C (“partite iva” economicamente dipendenti, ecc.), ci pongono questa domanda: “quale posizione ci riservate nel vostro progetto per dare maggior valore al lavoro degli italiani”? La risposta che finora siamo riusciti a dare a questa domanda è: parificazione dei costi del lavoro “atipico” rispetto a quelli del lavoro subordinato regolare e un modesto trattamento di disoccupazione in caso di cessazione del rapporto; ma, per il resto, mantenimento dell’esclusione dal campo di applicazione del diritto del lavoro. Come se trent’anni fa in Sud Africa si fosse risposto ai neri offrendo un ampliamento delle zone riservate a loro negli autobus e un miglioramento dei sedili, ma mantenendo per il resto il regime di apartheid.
              Questa è sostanzialmente la risposta che diamo a milioni di “atipici”, alle nuove generazioni di lavoratori, se rimaniamo fermi sulle vecchie posizioni. Qualche piccola concessione, ma non la soluzione del problema.
              Il disegno di legge di Paolo Nerozzi (n. 2000/2010) e i miei (n. 1481 e 1873/2009) si propongono invece proprio questo: un diritto del lavoro per le nuove generazioni che segni la fine del regime di apartheid. Non toccano l’articolo 18 per chi oggi ne gode: nessuno vedrà modificato il regime di tutela oggi goduto. Questi progetti intervengono soltanto sui rapporti di lavoro destinati a costituirsi da qui in avanti, offrendo a tutti i lavoratori in posizione di dipendenza economica (proprio tutti, compresi quelli che oggi sono a “partita iva”) l’articolo 18 contro le discriminazioni e contro il licenziamento disciplinare ingiustificato, e ridisegnando soltanto la tecnica di protezione per il licenziamento di natura economica od organizzativa. Il progetto Nerozzi applica questo regime per il licenziamento economico soltanto nei primi tre anni del rapporto; il mio progetto lo applica invece stabilmente, ponendo a carico dell’impresa una protezione economica per il lavoratore licenziato, ai livelli massimi che si offrono oggi nello scenario internazionale. Dunque, drastico ampliamento del campo di applicazione dell’articolo 18 per la parte relativa a discriminazioni e licenziamento disciplinare, e introduzione, nello stesso campo allargato, di una protezione forte contro la perdita del posto di lavoro per ragioni economico-organizzative; davvero possiamo chiamare questo, come fa Davide Imola, “una nuova forma di precarietà”? Come si fa a sostenere che questa scelta comporterebbe una riduzione dei diritti per chi oggi ne gode, quando invece queste posizioni non verrebbero neppure toccate? E come si fa a sostenere che non ne deriverebbe alcun vantaggio per gli attuali “atipici”, quando invece d’ora in poi essi, tutti, si vedrebbero estendere un insieme di protezioni che si colloca ai livelli più alti su scala mondiale? Ogni progetto è perfettibile, ovviamente; ma occorre che incominciamo a discuterne in modo più sereno.
              Un’ultima osservazione, questa riferita soltanto al mio progetto di riforma e non al progetto Nerozzi. Uno dei problemi cruciali per il rilancio dell’economia italiana è quello di favorire lo spostamento di investimenti e lavoro dai settori in declino a quelli che hanno maggiori potenzialità di sviluppo, azzerando i costi sociali di questo trasferimento. La riforma che propongo mira ad agevolare la scelta di ristrutturazione (sottraendola a una verifica giudiziale dall’esito comunque aleatorio e della durata di molti anni), ma mira al tempo stesso a responsabilizzare fortemente l’impresa circa il sostegno del reddito dei lavoratori coinvolti e la loro ricollocazione. I lavoratori di Termini Imerese, o di Eutelia, e i tanti altri che oggi rischiano di perdere il posto per chiusura o ridimensionamento della loro azienda, ma anche tutti gli attuali lavoratori di serie B o di serie C, sono più garantiti dal regime attuale, o da un regime che offre a tutti una protezione forte contro le discriminazioni e, in caso di licenziamento per motivi economici, senza bisogno di giudici e avvocati, obbliga in ogni caso l’impresa a offrire loro servizi efficienti per la ricollocazione e comunque a erogare loro un trattamento complementare di disoccupazione di livello scandinavo, che copra fino a tre anni dal licenziamento?

 

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