L’ALLIEVO DI MARCO BIAGI REPLICA AL MIO INTERVENTO SUL CORRIERE DELLA SERA NELL’OTTAVO ANNIVERSARIO DELL’ASSASSINIO, RIVENDICANDO UNA PIU’ AUTENTICA INTERPRETAZIONE DELL’EREDITA’ DEL PENSIERO E DELL’OPERA DEL GIUSLAVORISTA BOLOGNESE
L’articolo di Michele Tiraboschi è pubblicato in www.adapt.it, 20 marzo 2010. V. anche il mio articolo del 19 marzo , cui questo si riferisce. Ho risposto a questo intervento con la Lettera aperta a Michele Tiraboschi da un avvelenatore di pozzi.
In un articolo sul Corriere di venerdì 19 marzo 2010 il senatore-editorialista Pietro Ichino ricorda il“collega” Marco Biagi. E lo ricorda sostenendo – giustamente – che il grande merito di Marco Biagi è consistito nella sua capacità di guardare al nostro sistema di relazioni industriali con un occhio attento alla comparazione internazionale e profondamente libero da conformismi vecchi e nuovi. «È troppo chiedere» – incalza il senatore-editorialista – «che nell’ottavo anniversario del suo assassinio ci fermiamo tutti almeno un giorno per cercare di recuperare quell’apertura di orizzonti e quella libertà?».
No, non è troppo caro Pietro. A condizione però che ci fermiamo tutti. Nessuno escluso. Te compreso.
E invece tu non ti sei fermato questo 19 marzo. Anzi, con il cappello di senatore della Repubblica hai utilizzato lo spazio offerto dal Corriere per ricordare Marco Biagi, nell’ottavo anniversario del suo assassinio, per dare lezioni politiche a tutti. Alla destra, che ha il torto di aver coltivato la progettualità di Marco. Al sindacato e alla vecchia sinistra, come la chiami tu, che non ha capito lo spirito conservatore e le rigidità (così dici!) della Legge Biagi. Se non capisco male dal tuo intervento sul Corriere, solo l’abolizione dell’articolo 18 è per te la frontiera della modernità e, cioè, il passaggio obbligato per il superamento del dualismo del mercato del lavoro, quando oramai l’agenda politica e sindacale si è orientata sui temi, assai più strategici, della occupabilità, della produttività e della formazione. È di articolo 18 che vogliamo parlare oggi, giorno del ricordo di Marco Biagi?
Con il cappello del “collega” affermi poi che Marco Biagi, che certo era un paladino del rilancio dell’arbitrato, mai avrebbe scritto le nuove norme del “collegato lavoro”, che pure sono state accolte con favore dalle parti sociali, con la dichiarazione comune dell’11 marzo scorso e con la sola eccezione della CGIL. Ma come? Non sei tu per il cambiamento e contro la conservazione? E più ancora, non era tua intenzione svelenire il dibattito sulla sua eredità? Non avevi detto di fermarci tutti e riflettere almeno un giorno senza alimentare polemiche? E magari riflettere che, solo pochi giorni fa, in Parlamento, hai tenacemente sostenuto che Marco fosse contrario all’arbitrato e che nei suoi appunti e scritti (come nel disegno di legge 848 del novembre 2001) non v’era nulla in materia, salvo poi essere smentito dal corposo saggio apparso il 18 marzo sul Sole 24 Ore?
Con il cappello del professore universitario bacchetti infine – come oramai è tua abitudine e come hai fatto a partire dalla legge di Marco Biagi – ogni riforma che non sia la tua. Abbiamo capito: solo le tue sono leggi perfette. E allora le aspettiamo. Ti promettiamo lo sforzo di una valutazione di sostanza e costruttiva, non la critica facile con l’argomento più scontato e stantio che esista, quello della legge malfatta. Sai infatti bene anche tu che rilevare a ogni piè sospinto imperizia e debolezza tecnica è sintomo della mancanza di argomenti di merito. Non ti ricordi di quando Gino Giugni, al tempo della entrata in vigore dello «Statuto dei lavoratori», si dovette difendere da una campagna diffusa contro la “legge malfatta”? Quella legge che pure oggi tutti esaltano e richiamano comeesempio inarrivabile per coerenza sistematica e chiarezza concettuale.
Quello che più sorprende, però, è il tentativo di avvelenare i pozzi. Come spiegare, altrimenti, la tua maliziosa, quanto infondata, interpretazione di quella norma del “collegato lavoro” che parla di interesse oggettivo d’impresa? Sai bene che quella norma è voluta dal legislatore per arricchire i 2 parametri con cui valutare, da parte dei giudici, la giustificazione di un licenziamento per colpa, mentre tu proponi ora di estenderla ai licenziamenti per motivi oggettivi palesando così – come già avevi sostenuto con le norme sul contratto a termine volute da Marco – nuove rigidità e un nuovo strapotere dei giudici. Eppure, proprio nel momento in cui adombri questa interpretazione, sei tu che apri la strada alla conservazione e crei l’appiglio per un possibile ulteriore irrigidimento del quadro legale, che pure dichiari di voler semplificare.
È questa l’apertura di orizzonti di cui parli e di cui abbiamo bisogno? Non credo. Perché il riformista, il vero riformista, ha l’umiltà e la passione per costruire il nuovo, anche se quel nuovo non lo ha fatto lui. Altrimenti si è solo prime donne.