UN LETTORE CHIEDE COME POSSA GIUSTIFICARSI L’IMPOSIZIONE ALL’IMPRENDITORE DI UN “SEVERANCE COST”, ANCHE QUANDO IL LICENZIAMENTO E’ OGGETTIVAMENTE GIUSTIFICATO
Lettera pervenuta il 14 marzo 2010
Egregio Professore,
le sottopongo un dubbio, propostomi, in questi anni, da alcuni piccolissimi imprenditori(artigiani).
Premessa: in qualità di consulente di una associazione di artigiani, nella specifica veste di conciliatore, spesso mi trovo nella condizione di raccogliere gli “sfoghi” degli imprenditori che si trovano ad affrontare difficoltà mai incontrate nel passato.
A volte mi accorgo che più che un consulente mi scambiano per il proprio psicologo da passeggio ed io scherzando dico che alcune riunioni le devo fare nella stanza ove si trovano il divanetto, block notes e matita.
La domanda che mi rivolgono è : se la Costituzione tutela il diritto all’organizzazione d’impresa e si da per scontato che in presenza di crisi profonda ,come l’attuale, si deve riorganizzare l’attività produttiva sopprimendo dei posti di lavoro non più economicamente utili, perchè il licenziamento viene impugnato ed il giudice condanna l’azienda al risarcimento del danno? Se l’azienda è a carattere familiare (es. snc o impresa familiare pura), tra il non portare a casa lo stipendio per la famiglia ed il dover corrispondere una retribuziuone a chi non è più economicamente utile, quale diritto prevale? A ben vedere, sembrerebbe il secondo.
Detto questo e leggendo il contenuto di un suo scritto pubblicato sulla rivista ItalianiEuropei del 2009 ho compreso come il giustificato motivo oggettivo viva una esistenza, nel nostro diritto, non rispondente alle aspettative. Da tempo cerco di applicare il banale principio costi/benefici alle risoluzioni del rapporto di lavoro, cercando di anticipare, con incentivi all’esodo, le reazioni dei lavoratori posti di fronte alla cessazione del rappporto. Ma anche in questo caso la domanda che viene rivolta è: se è un dirittto riorganizzare, perchè devo pagare. Ovviamente da questo discorso sono escluse le situazioni di discriminazione o altro.
Risulta ovvio che a parità di diritti tutelati, quello con intensità di rischio discirminazione maggiore goda di una prevalenza sull’altro, ma può essere questa l’unica ragione che autorizza i giudici ad entrare nel merito dell’organizzazione dell’azienda?
Se ha tempo e soprattutto voglia, mi piacerebbe approfondire questo tema.
Giovanni Francesco Cassano
La risposta a questo interrogativo va cercata nella natura (in parte) assicurativa che la legge impone al contratto di lavoro subordinato: il datore di lavoro non è obbligato dal contratto soltanto al pagamento della retribuzione, ma anche, entro un certo limite, ad accollarsi il rischio delle sopravvenienze negative. La misura della copertura assicurativa che il contratto offre al lavoratore è data proprio dal severance cost, cioè dal costo che l’ordinamento accolla – più o meno esplicitamente – al datore di lavoro per il suo recesso dal rapporto. D’altra parte, per questa copertura il prestatore paga al datore di lavoro – in modo implicito, ma non per questo meno concreto – un premio assicurativo in termini di minore retribuzione. L’entità di questo “premio” implicito nelle aziende di piccole dimensioni è oggetto di misurazione nello studio di cui danno sinteticamente conto Marco Leonardi e Giovanni Pica nell’articolo pubblicato ieri su lavoce.info e disponibile anche su questo sito. Rinvio in proposito anche alla trattazione che ho proposto della natura in parte assicurativa del rapporto di lavoro subordinato nel capitolo X del mio libro Lezioni di diritto del lavoro. Un approccio di labour law and economics, Giuffrè, 2004, disponibile anche nell’Archivio dei miei scritti.