PERCHÉ I REFERENDUM SUL LAVORO SONO SBAGLIATI

I quattro quesiti referendari non promettono niente di veramente utile per la quasi totalità dei lavoratori, mentre distolgono l’attenzione dai veri grandi problemi del nostro mercato del lavoro

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Intervista
a cura di Micol Maccario, pubblicata sul sito Pagella Politica il 19 marzo 2025 – In argomento v. anche la scheda pubblicata il 25 gennaio scorso Sette buone ragioni per non sostenere il referendum contro il Jobs Act

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Professor Pietro Ichino, che idea si è fatto dei referendum promossi dalla Cgil?
A me sembra che non portino benefici nelle materie a cui si riferiscono, mentre hanno l’effetto di distogliere l’attenzione dai problemi più gravi del nostro mercato del lavoro.

Quali sono i problemi più gravi?
La bassissima presenza delle donne nel tessuto produttivo, la difficoltà di incontro fra domanda e offerta di manodopera, l’alto tasso di disoccupazione giovanile, la stagnazione delle retribuzioni medie e della produttività media del lavoro.

Entriamo nel merito dei singoli quesiti referendari. Incominciamo da quello sui licenziamenti nelle imprese maggiori, che mira ad abrogare il d.lgs. n. 23/2015.
Se vincesse il “sì”, la Legge Fornero tornerebbe ad applicarsi a tutti i rapporti di lavoro. La novità di maggior rilievo sarebbe una riduzione del limite di indennizzo per i licenziamenti ingiustificati a 24 mensilità. Non mi sembra un gran guadagno per i rapporti di lavoro costituiti dopo il 7 marzo 2015, ai quali oggi si applica il limite di 36 mensilità previsto dal d.lgs. n. 23/2015.

Passiamo al referendum sul licenziamento nelle imprese di piccole dimensioni, fino a 15 dipendenti.
Se è paradossale che l’effetto più rilevante del primo referendum consista in una riduzione del limite di indennizzo nelle imprese maggiori, ancora più paradossale è l’effetto del referendum sul licenziamento nelle imprese più piccole, che elimina il limite: se vincesse il “sì” giudice che ritenesse il licenziamento ingiustificato potrebbe condannare il piccolo imprenditore anche a un indennizzo miliardario.

Il terzo referendum promosso dalla Cgil riguarda i contratti a termine.
Questo mira a correggere la norma, contenuta in un altro dei decreti attuativi del Jobs Act (il d.lgs. n. 81/2015), che consente il contratto a tempo determinato per i primi 12 mesi senza necessità di una “causale”. Se vincesse il “sì”, si tornerebbe alla norma del 2001, che imponeva sempre una “causale”. Ne trarrebbero certamente un beneficio gli avvocati, poiché il contenzioso giudiziale su questa materia tornerebbe a salire ai livelli molto elevati dei primi anni del nuovo secolo; ma non i lavoratori, poiché dal 2015 a oggi la quota dei contratti a termine sul totale dell’occupazione è rimasta stabile.

Infine c’è il referendum che mira a estendere la responsabilità dell’impresa committente agli infortuni sul lavoro che accadono nell’impresa appaltatrice.
Questa estensione della corresponsabilità solidale tra committente e appaltatrice sarebbe sensata e utile se limitata ai casi in cui la appaltatrice è in posizione di dipendenza economica dalla committente, cioè lavora soltanto (o quasi soltanto) per quest’ultima. Ma imporre alla committente di controllare il rispetto delle misure di sicurezza nei confronti dei dipendenti di una appaltatrice che opera in condizione di effettiva indipendenza, per un gran numero di committenti, non mi sembra sensato.

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