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ESISTE ANCORA LA CRITICA NEL MONDO DELL’ENIGMISTICA?

Perché i fruitori del prodotto enigmistico e in particolare dei rebus, sono così poco propensi a promuovere o alimentare dibattiti sulla tecnica o l’estetica del gioco, o anche solo sulla sua accessibilità e godibilità da parte dei “non addetti ai lavori”? – Questo comparto non secondario della cultura ha bisogno, per crescere, di voci fuori dal coro

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Intervento di
Lucignolo (al secolo Luca Fiocchi Nicolai), pervenuta il 17 marzo 2025 – Dello stesso Autore v. in precedenza su questo sito In difesa del rebus ibrido [1]

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Non conosco il numero complessivo degli abbonati alle riviste di enigmistica cosiddetta classica ma presumibilmente, stando alla rara apparizione in esse di interventi di lettori su temi proposti dalle redazioni o dalle firme più autorevoli, e che non siano una semplice eco di quanto scritto da queste, la loro stragrande maggioranza, soprattutto degli appassionati di rebus, ché è la categoria che qui mi interessa, negli ultimi tempi pare non dimostrare il benché minimo interesse a partecipare proporre e alimentare dibattiti in modo attivo, con proprie idee originali o fuori del coro, lanciare o raccogliere provocazioni, discutere e riflettere sull’estetica o tecnica del gioco, produrre un lacerto di opinione, fosse pure frutto della più astrusa elaborazione. Senza fare nomi, la produzione, destinata a languire e sparire anzitempo dai radar in mancanza di reazioni, di articoli minisaggi contributi originali e stimolanti provocazioni sull’argomento enigmistico in riviste o siti del settore si deve a pochi enigmisti, sempre gli stessi, che oltre a comporre giochi mostrano un interesse spiccato per i problemi della disciplina, affrontandoli e abbracciandoli in una visione storica e culturale più ampia, anche laddove trattano di questioni particolari di natura tecnica. Non avendo questa pubblicistica lettori partecipi con proprie idee originali, dicevo, a saturare lo spazio nelle riviste restano quasi solo compiacenti recensioni, cronachette, curiosità erudite, commemorazioni, e concorsi, tanti concorsi. Troppi.

Ora, il lettore tipo lavora o, se anche in pensione, ha impegni o altri interessi tali da indurlo a ricercare nell’amata enigmistica un diletto, una consolazione, una corroborante evasione, un cimento forse, ma non una polemica; egli, che vuole essere in pace e amicizia con tutti, preferirà risolvere i giochi pubblicati, e, se è anche autore, comporli, e partecipare ai concorsi che gli si offrono in abbondanza, soprattutto se a tema obbligato.

Di là dalla parentesi scherzosa che non vuol essere irriverente, per ritrovare una qualche sapida lettera intrisa di sana e costruttiva vis polemica debbo risalire colla memoria ai Leonardo dei primordi o degli anni Novanta del secolo scorso. Allora potevano leggersi interessanti discussioni coinvolgenti autori, redattori, componenti di giurie concorsuali, semplici lettori, in cui vi era spazio per critiche impietose e relative repliche con tanto di rinuncia alla tessera di socio. Da tempo però si avverte appunto un calo di interesse da parte degli appassionati di enigmistica verso questioni teoriche, tecniche o semplicemente terminogiche e soprattutto una timidezza maggiore di fronte ai mostri sacri dell’enigmistica che scoraggia la critica come controproducente e invoglia o al silenzio o al cieco plauso. Ovvio, soprattutto se ci preoccupa solo di essere pubblicati.

Certo, gli enigmisti sono in buona compagnia se Il venerando Gabinetto Vieusseux ad esempio lamenta la scomparsa della stroncatura, il proliferare delle recensioni amiche anche in ambito accademico, le autopromozioni commerciali di libri ecc.. Se io volessi davvero rendermi la vita difficile nell’ambiente potrei proporre temi su:

1. la quasi totale assenza nell’ambiente enigmistico di critica franca e senza peli sulla lingua di eventi e pubblicazioni di enigmistica e al contrario, secondo punto,

2. il ricorso a recensioni di libri, raccolte di poetici o rebus, e cronache di eventi come convegni, congressi, tutte del medesimo tenore, dal frasario gonfio di aggettivi, ripetitivo e ristretto rigorosamente al campo semantico dell’encomio e dell’apprezzamento, con abbondanza di pronomi declinati al plurale, per cui questo “nostro” convegno ha deliziato i convenuti, quel libro di poetici del “nostro” autore è poesia di valore assoluto, la tal’altra raccolta di rebus è di gusto finissimo, le serate congressuali sono trascorse immancabilmente all’insegna della buona tavola e del sano divertimento dei partecipanti i quali tutti, nessuno escluso, hanno goduto di momenti indimenticabili finiti troppo presto ecc. ecc.(ci sarà stato, tra centinaia di eventi, raccolte e raccoltine qualche risultato infelice o no, si ha a che fare con un’infinita serie di risultati tutti straordinari oltre ogni dire ?);

3. un disinteresse crescente per l’autoriflessione estetica sulla prassi enigmistica e l’esclusivo e certo lodevole accento posto sugli aspetti organizzativi o la diffusione dell’enigmistica tra un pubblico più ampio;

4. la presenza immancabile in ogni trattazione sul rebus, onde elevare l’enigmistica ad arte, di un invariato e limitato repertorio di testimonianze e aneddoti riguardanti principalmente scrittori illustri, che per ben altro sono passati alla storia, la sopravvalutazione, in sede di ricostruzione storico-critica, dei momenti meno significativi della storia letteraria ma che hanno addentellati con la pratica enigmistica, la quale sopravvalutazione sembra tradire proprio la segreta convinzione in chi vi ricorre nella scarsa considerazione dell’arte enigmistica nell’ambito degli studi seri;

5. la caccia, in una versione più modesta della critica tematica, oggi in auge, a costanti storiche e tracce anche minime di forme enigmistiche rintracciabili nella biblioteca universale ivi setacciate col lanternino tra i testi letterari, le epigrafi, gli incunaboli, i quadri, tutte inezie e minutaglie che non hanno cambiato di una virgola la storia della letteratura o dell’arte e su cui ha indugiato semmai la ricerca erudita di piccolo cabotaggio – basterebbe per converso citare Croce e il suo giudizio liquidatorio del “perditempo insulso” a ricordarci che stiamo parlando di giochi e non di poesia;

6. il dilagare dei concorsi su vignetta preesistente, quasi a voler risparmiare soldi sui disegnatori, che avvicina l’attività enigmistica a pura ginnica, secondo una logica sportiva che con l’arte c’entra poco, impone l’ispirazione coatta e, anche per i rituali che ruotano attorno al rutilante moto perpetuo di congressi, gare, premiazioni, fa tornare alla mente la realtà storica dell’accademia dell’Arcadia romana settecentesca, o milanese dei Trasformati, quella per intenderci di Parini Ripano Eupilino i cui riti e regolamenti prevedevano appunto gare, pseudonimi pastorali, riunioni fisse annuali e all’interno delle quali vigeva un certo conformismo invitante all’unanimità di giudizio tra i membri;

7. la prevalenza nei congressi dei momenti ludici su quelli di discussione, che francamente fa sorgere la domanda, in chi bada al concreto, di quale sia il senso vero di questi annuali, obbligati appuntamenti festaioli in alberghi di lusso tra pranzi, cene, giochini, gite, risate non si sa quanto spontanee e finali foto di gruppo sorridente, con tanto di parenti al seguito, se non forse quello di cooptare in un clima familiare le nuove leve affinché affianchino prima, sostituiscano poi i venerandi o chi purtroppo è venuto a mancare nell’ingrato lavoro di redazione dell’unica rivista on line e delle tre cartacee;

8. le quali riviste poi, immutabili persino nel lessico (‘enimmistica’ dicono tutti i penombrini), forse per invogliare a sottoscrivere la quota e “fidelizzare” gli abbonati, indicono annualmente dei concorsi di fatto o di diritto riservati ad essi di cui nessuno, al di fuori del piccolo mondo dell’editoria enigmistica classica, è venuto in decenni a sapere l’esistenza;

9. l’eccessiva visibilità e pubblicità garantita agli autori dietro il cui pseudonimo si celano personaggi noti in altri ambiti (cantanti soprattutto) indipendentemente dal valore reale dei loro lavori, ad esibire un fiore all’occhiello nobilitante;

10. L’insistenza posta sul presunto desiderio degli enigmisti di firmarsi con pseudonimi (falso! si provino i colleghi a chiedere a una rivista di riportare dell’autore e per esteso nome e cognome);

11. la tendenza delle riviste di enigmistica per abbonati a vedere sé stesse come i depositari e custodi della vera enigmistica “classica”, resa immune poco gramscianamente ma molto snobbisticamente da contaminazioni popolari e genuine espressioni ludiche, come le parole crociate, per restare fedeli alla terminologia dell’amata Settimana Enigmistica, o i rebus in cui siano compresenti chiavi di denominazione e relazione; oppure a sentirsi una specie di avanguardia, fucina di sperimentazioni libere da schemi, in cui il gioco non è esaminato dal punto di vista del solutore, che non vorrebbe sconvolti i procedimenti di composizione e presentazione lessicali, di lettura, iconici, ma diviene puro pretesto per esibire il virtuosismo creativo dell’autore, in una gara alla più strana originalità.

Come si vede, a chi ha sincero spirito di osservazione e un minimo di senso critico non mancherebbero gli argomenti (e ce ne sarebbero altri) in grado, se trattati con la dovuta spregiudicatezza, non disgiunta da onestà intellettuale e rispetto della persona, di provocare salutari dibattiti e certo, perché no, repliche altrettanto nette ma scevre da difese corporative; credo tuttavia che al coraggioso, ipotetico polemista che volesse osare ciò verrebbe riservata un’eloquente indifferenza, data la tendenza (o pigrizia?) generale all’unanimismo delle opinioni, e la preferenza a lasciar morire nel silenzio ogni nota dissonante che possa anche per poco incrinare l’illusione di vivere in un mondo di fiaba, in cui si è tutti una sola, grande famiglia e ogni cosa è di gran valore.

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