Incisore, pittore, scultore, ceramista, cantautore, artista rinascimentale nella sua capacità poliedrica di esprimere il proprio modo di vedere il mondo, si è spento nella sua Milano a 92 anni
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Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 9 dicembre 2024 – Sulla sua arte e la sua storia v. Il segreto del Naviglio grande
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Si è spento ieri a 92 anni nella sua casa al Lorenteggio. La sua è la storia di una vita per diversi aspetti avventurosa; e di una città, Milano appunto, che lo ha accolto orfano di entrambi i genitori a due anni, lo ha istruito e aiutato a coltivare il suo talento con la rete delle sue scuole pubbliche e istituti religiosi negli anni ’30 e ’40; poi negli anni ’50 e ’60 gli ha offerto un apprendistato straordinario a contatto con i migliori designer italiani e stranieri. È la storia della città della quale negli anni ’70, già in età matura, ha scoperto un tesoro nascosto: il respiro profondo di un quartiere, quello dei Navigli, custode di un intreccio secolare di cultura artistica e artigiana e al tempo stesso di tradizioni popolari non ancora travolte dalla modernizzazione. Un quartiere col quale Gigi Pedroli è entrato in una sintonia totale, riuscendo a esprimerne l’anima nelle sue acqueforti, nei suoi olii e nelle sue canzoni, tutte in un misto originalissimo di italiano e di dialetto milanese.
Qui cinquant’anni fa, tra l’Alzaia e la Ripa del canale di origine medievale che attraversa la parte meridionale della città, nasce per opera sua e di sua moglie Gabriella il Centro dell’Incisione, che da allora custodisce gelosamente e fa vivere la magia di una Milano senza tempo in un edificio antico, che si dice sia stato il casino di caccia di Ludovico il Moro dove Leonardo ritrasse Cecilia Gallerani, la Dama con l’ermellino.
Pedroli non raffigura i suoi personaggi secondo i canoni della bellezza correnti, bensì in una loro quieta, normale e accettata deformità: teste, braccia asimmetriche e grandi mani, membra non tra loro proporzionate perché non cercano una bellezza convenzionale; non sono “copie dal vivo”, ma prodotti dell’immaginazione di un pittore che ama le persone per quel che sono intimamente e non per la loro corrispondenza a questo o quel modello. Lui, poi, non li ritrae nelle situazioni in cui siamo soliti vederli superficialmente giorno per giorno: li ritrae in una visione onirica, nella quale la forza di gravità non agisce ed è normale che persone, animali e cose possano librarsi nell’aria sotto lo sguardo interrogativo, ammirato o adorante di chi si trova sotto, talora suonando una tromba, talora porgendo un fiore.
Nascono così le sue coppie di amanti sereni nei loro surreali lineamenti asimmetrici, in bicicletta o in monopattino, o sospesi su di un mare metafisico, magari seduti su di una chitarra volante; oppure pensosi, seduti a un tavolo con gli occhi persi nel vuoto, sotto una lampadina che dà luce all’intero loro mondo interiore; i suoi bambini e ragazzi dalle teste enormi, per lo più con le rotelle ai piedi: l’oggetto del desiderio del Gigi bambino, che ora diventa il segno dell’era del benessere accessibile a tutti; le sue indossatrici alla sfilata di moda, anch’esse con le rotelle ai piedi. In altre incisioni par di vedere il ceto medio milanese laborioso e tranquillo che alle dieci di sera è già pronto ad andare a dormire, ma che ogni tanto spicca il volo: non per fuggire lontano, soltanto per seguire qualche sogno.
Qui nascono anche gli animali di Pedroli: gatti sornioni che sorvegliano un mondo di cui si sentono i veri padroni, oppure colti nell’atto di saltar giù dal cornicione, anzi dal cielo, sulla testa di due amanti che brindano; cavalli e asini mansueti; pollastri in volo tenuti al guinzaglio da uno stralunato padrone; api, farfalle, ranocchie, lucertoloni, serpenti e altri animali strani che popolano l’albero della vita. Qui nasce anche il suo tema della nave con le rotelle, o di quella che al posto dell’albero ha una quercia radicata nella sua stiva: dove la nave sul mare è la vita e l’albero ciò che le dà un senso legandola all’eternità.
Nella sua stagione più matura Gigi Pedroli incomincia a praticare anche la tecnica del mosaico e quella dell’affresco. Nonché la decorazione e cottura della terra creta. Incomincia dunque a frequentare l’antichissima Fornace Curti, che da secoli è al servizio della bellezza di Milano e dintorni (da qui vengono le formelle rosse che rivestono la Ca’ Granda di via Festa del Perdono). Qui piatti e vasi li fa modo suo: rotondità stupendamente irregolari, che rompono gli schemi, impreziosite dalle sue figure fantastiche.
Lungo tutto l’arco della sua vita quasi centenaria Gigi Pedroli non ha soltanto raffigurato la Milano della ligiera e dei Navigli, ma la ha anche cantata, ovviamente in milanese. E negli ultimi anni le sue canzoni hanno anche commentato ironicamente le novità tecnologiche che via via facevano la loro comparsa, con le loro pretese di progresso, dal cecùp sanitario al fésbuc, dal Viagra al telefonino. Lui non ha la pretesa di ergersi a giudice delle novità tecnologiche, e neppure si ripiega in una laudatio temporis acti. Osserva il mondo che cambia con simpatia, usando il suo straordinario umorismo per avvertire che, nonostante cecùp e fésbuc, cellulari e Viagra, in realtà il nostro animo resta sempre quello, con le sue ansie e il suo desiderio di amore.
L’amore singolare di Gigi Pedroli per l’umanità e il mondo che la contiene è un amore semplice, mansueto e intelligente, non possessivo, nutrito dell’umorismo e dell’autoironia di chi sa che l’assoluto non è di questa terra e neppure dei sentimenti umani. Nella vita sua e di sua moglie Gabriella, si esprime una laica povertà evangelica: distacco dalle ricchezze apparenti che nasce da una serenità profonda e ispira serenità al prossimo; attaccamento alle ricchezze vere della vita, quelle per le quali gli occhi di Gigi Pedroli si illuminano e ridono: l’affetto per gli amici e degli amici, la grandezza nascosta degli ultimi (persone vere, che la città relega ai propri margini estremi e di cui egli ci insegna a vedere e amare l’umanità nelle sue canzoni), la bellezza della natura. Nulla è più lontano da lui che il predicare una qualche verità, un qualche comandamento morale, un qualche credo politico che non sia lo stare dalla parte dei semplici e guardare il mondo con i loro occhi. Ma sono la sua stessa vita straordinaria e la sua stessa persona – come quelle dei veri profeti – che senza bisogno di teorie ti insegnano e ti inducono a cogliere il senso profondo del nostro essere, a discernere ciò che di questo mondo conta veramente e resta per sempre (quante, infinite cose, piccole o immense!) da tutto ciò che non conta ed è destinato a perdersi, travolto dal tempo.