Il monitoraggio dei servizi mediante incrocio dei dati delle anagrafi del lavoro e della formazione è previsto da una legge del 2015; ma invece di occuparsi di attuarla il ministero vara una nuova norma “urgente”, che ricalca la vecchia
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Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 598, 28 ottobre 2024 – In argomento v. anche la mia intervista pubblicata su Il Giornale il 21 settembre 2024 su I difetti del decreto lavoro .
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Sul Sole 24 Ore del 18 ottobre scorso Vincenzo Caridi, responsabile delle politiche del lavoro presso il ministero di via Veneto, illustra una vera e propria palingenesi che dovrebbe determinarsi nella gestione dei servizi di collocamento in conseguenza dell’istituzione – con effetto dall’inizio di quest’anno – del SIISL, ovvero Sistema Informativo di Inclusione Sociale e Lavorativa, che ora il decreto-legge n. 60 del 2024 prevede sia potenziato dall’Intelligenza Artificiale per garantire non soltanto il migliore incontro fra domanda e offerta di lavoro, ma anche il monitoraggio capillare dei servizi di formazione professionale, con rilevazione del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi e conseguente attribuzione a ciascun centro di formazione di un punteggio di qualità. Nel suo intervento sul Sole 24 Ore, però, il responsabile delle politiche del lavoro e della sicurezza del ministero omette di spiegare perché il SIISL, che dovrebbe essere operativo dall’inizio di quest’anno, non lo sia affatto: a quanto risulta, nessun Centro per l’Impiego nella penisola oggi è posto in grado di avvalersene.
Quanto al monitoraggio capillare dell’efficacia dei servizi di formazione – che determinerebbe effettivamente una svolta epocale nel funzionamento dei servizi per l’impiego e quindi del nostro mercato del lavoro – l’alto dirigente del ministero non spiega perché questa materia sia stata fatta oggetto di un decreto-legge nel corso del 2024, considerato che quello stesso monitoraggio, attuato mediante l’incrocio dei dati di una anagrafe della formazione con tutti gli altri dati disponibili sui flussi di occupazione, è compiutamente previsto negli articoli da 13 a 16 di un altro decreto attuativo del Jobs Act, il n. 150 del 2015: articoli che sono rimasti, anche questi, per nove anni totalmente inattuati.
Certo, infilare la nuova norma in un decreto-legge consente di presentarsi all’opinione pubblica con il fiore all’occhiello della “provvedimento adottato”. Ma al buon funzionamento del mercato del lavoro non servono tanto nuove norme, quanto piuttosto l’implementazione di quelle già esistenti che sono rimaste per anni, talvolta decenni, lettera morta. Su questo terreno, non su quello della produzione di nuove norme legislative, si misura la bontà dell’azione svolta dal governo.
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