L'”ora che fugge” e la vita che non viene travolta dal tempo
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Testo dell’augurio che ho rivolto alla mia nipote Martina Ichino e al suo sposo Filippo Villa durante il rito del loro matrimonio, il 25 maggio 2024, nel parco Mediceo di Vaglia
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Cari sposi, non so se amate la musica e in particolare l’opera lirica; ma poiché siamo nel centenario di Giacomo Puccini prendo spunto per questo augurio a voi da una sua opera portentosa: la Tosca. Protagonista dell’opera è Cavaradossi, il pittore un po’ bohémien, che ama Tosca come piaceva a Puccini: à la bohème. Nel terzo atto Cavaradossi è imprigionato e condannato a morte dal perfido Scàrpia (che vuole prendersi lui la ragazza) e canta un’aria struggente in cui ricorda appassionatamente quel po’ di vita e di amore che ha potuto vivere con lei, per poi concludere sconsolato:
“L’ora è fuggita, io muoio disperato”.
Ora, io non ho proprio nulla contro gli amori à la bohème, che hanno molti pregi apprezzabilissimi. Traggo però spunto dal melodramma pucciniano per dirvi quello che, nella mia esperienza, è invece il matrimonio. Che può anche presentare talvolta qualche analogia con l’amore bohémien, ma è una cosa intimamente diversa. Il mio è durato 47 anni, per poco non siamo arrivati, Costanza e io, alle nozze d’oro; ma non è questo il punto. Non è la durata che conta: avrebbero potuto anche essere solo venti anni, o dieci, o uno solo. Conta il fatto che abbiamo scelto di vivere ogni giorno della nostra vita insieme, che fosse allegro o triste, fortunato o segnato dal dolore, come il mattone di una costruzione destinata a durare. Tutto – certo – è passato; ma, nonostante la morte di Costanza, ogni giorno che abbiamo vissuto insieme è rimasto vivo, attuale; nulla si è perduto. Nulla di noi è stato effimero, nulla è stato travolto dal tempo. Nessuna nostra “ora” è “fuggita”. E dunque nulla di ciò che siamo stati ci viene tolto.
Ecco: la mia esperienza mi fa dire che questo è il matrimonio: è il costruire insieme – ne abbiamo noi il potere – qualche cosa che il tempo non ha il potere di travolgere. Che il matrimonio sia incominciato con un rito in chiesa o con un rito civile, la cosa ha un’importanza scarsissima o nulla (il Buon Dio benedice tutti gli sposi). Che sia un matrimonio vero dipende essenzialmente da come lo vogliono e lo costruiscono gli sposi stessi. Due vite impegnate a costruire insieme qualcosa che non è intaccato dallo scorrere inesorabile del tempo, qualcosa che non teme neppure la morte.
A ogni anniversario del nostro matrimonio, la cui data cadeva il 15 dicembre, regalavo a Costanza un’agendina per l’anno che stava per incominciare, sulla quale scrivevo una dedica in versi. Su una di queste agendine ho trascritto una poesia che in qualche modo avevamo composto insieme. Ve la leggo.
POESIA PER UN MATRIMONIO
Due vite ci ha dato il Signore
da vivere, a scelta:
una vita che passa, che muore,
divelta dal tempo, perduta,
una vita che resta.
Con te l’ho vissuta;
con te la vivrò, se mi è dato,
perché, passato, il tempo ritorni
e le opere e i giorni
non scorrano invano.
Questo è il mio augurio a voi, Martina e Filippo: che anche la vostra “ora” non “fugga” mai, non vada mai perduta. Che la vita che scegliete di vivere insieme sia quella che resta, per voi e per chi metterete al mondo, per chi vi starà intorno. Qualsiasi cosa accada.