SU CHE COSA SALVINI, LANDINI E BOMBARDIERI VANNO D’ACCORDO

Il ministro delle Infrastrutture si è battuto per modifiche della legge finanziaria che vanno nella stessa direzione di quelle chieste da Cgil e Uil: superamento (all’indietro) della riforma Fornero delle pensioni, aumento della spesa corrente, aumento del debito pubblico a costo di litigare con l’UE

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Intervista a cura di Claudia Marin pubblicata sui quotidiani del Gruppo Quotidiano Nazionale (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione) il 15 novembre 2023 – In argomento v. anche la mia intervista comparsa lo stesso giorno su Italia Oggi

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Professor Ichino, che idea si è fatto dello scontro fra il ministro Salvini e Cgil-Uil sullo sciopero generale proclamato per domani?
L’aspetto curioso della vicenda è che nelle settimane passate Salvini si è battuto per modifiche di questa legge finanziaria che vanno sostanzialmente nella stessa direzione di quelle chieste da Cgil e Uil: “superamento” della riforma Fornero delle pensioni, ovviamente nel senso di un ritorno all’indietro, aumento a manetta della spesa corrente, aumento del debito pubblico e conseguente scontro con Bruxelles.

Però adesso tra loro è scontro a fuoco sulle modalità dello sciopero.
In realtà questo scontro serve a entrambi, per riprendersi la scena: Salvini in seno alla maggioranza, Landini come vero leader dell’opposizione.

Passando all’aspetto tecnico-istituzionale della questione, come valuta la decisione del ministro di ridurre lo sciopero dei trasporti precettando i lavoratori?
Il ministro ha il potere di farlo; e l’Autorità Garante gliene ha offerto un buon motivo, negando che quello di domani possa considerarsi “sciopero generale”.

Secondo lei questa delibera dell’Autorità è giuridicamente corretta?
La delibera si fonda su un precedente del 2003, la delibera n. 03/134, in tema appunto di “sciopero generale”, che è sempre stata applicata pacificamente. La questione delicata, e molto opinabile, è se quello di domani possa considerarsi “generale” o no. A me sembra che possa esserlo per il Centro Italia, dove riguarderà quasi tutti i settori, non per il Nord e il Sud, dove lo sciopero è limitato alle sole amministrazioni pubbliche e ai trasporti.

I leader di Cgil e Uil parlano di atto politicamente gravissimo, di squadrismo istituzionale e di violazione della Costituzione, salvo poi di fatto – notizia dell’ultima ora – rispettare il provvedimento.
In realtà è una questione di interpretazione della legge n. 146/1990 che regola la materia, sul piano tecnico giuridico molto opinabile. Può porsi un problema di correttezza dell’applicazione di quella legge, su cui dovrebbe pronunciarsi il TAR Lazio; non certo una questione di costituzionalità, dal momento che è la stessa Costituzione, all’articolo 40, a prevedere che sia la legge ordinaria a disciplinare l’esercizio del diritto di sciopero. Se la mettiamo sul piano sostanziale, però, mi sembra che dovrebbero essere soprattutto Cgil e Uil a spiegare qualcosa a questo proposito.

Che cosa dovrebbero spiegare?
Per quale motivo ci tengono tanto a che lo sciopero, proclamato per gli altri settori solo per una volta nell’arco delle prossime settimane, blocchi invece i trasporti pubblici per due giornate.

Lei come lo spiega?
Col fatto che se i trasporti pubblici sono paralizzati, tutti sono impossibilitati ad andare al lavoro: anche coloro che non aderiscono allo sciopero. Insomma, lo sciopero dei trasporti come “sostegno tecnico” allo sciopero negli altri settori. In questo modo, però, si lede la libertà di autodeterminazione delle persone e il loro diritto al lavoro: che sono anch’essi diritti costituzionali. E questo in qualche misura spiega la decisione dell’Autorità garante.

Che cosa è diventato lo sciopero oggi?
È un fatto che in Italia nell’ultimo ventennio la frequenza complessiva degli scioperi è stata la metà rispetto alla Spagna e alla Francia, ma anche il doppio rispetto al Regno Unito e il quintuplo rispetto alla Germania. Ma la vera anomalia è un’altra.

Quale?
Il fatto che in Italia sul totale degli scioperi due terzi riguardano il settore dei trasporti pubblici. E l’anomalia raddoppia se si considera che in questo settore lo sciopero non produce alcun danno alla datrice di lavoro, al contrario: durante lo sciopero, mentre gli abbonamenti non si riducono, si azzerano i costi per retribuzioni, carburante, energia e usura dei mezzi. Per l’impresa è una boccata di ossigeno: tutto il danno è a carico dei viaggiatori, della collettività.

Lei ha parlato a questo proposito di uno snaturamento di questa forma di lotta.
Sì: uno snaturamento che costa carissimo al movimento sindacale sul piano del prestigio e della saldatura tra mobilitazione dei lavoratori e interessi della collettività. Nuoce al prestigio sociale dello sciopero anche l’abuso che se ne fa, e proprio nel settore dei trasporti: lo stillicidio degli “scioperi del venerdì” è l’esatto contrario della solennità e gravità di questa forma di lotta di cui parlava Giuseppe di Vittorio all’Assemblea costituente.
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