È UN BEL REBUS! – 30. LA DILIGENZA È ANCHE L’AMORE PER IL PROPRIO LAVORO

Dalle esigenze didattiche del corso sul rebus come strumento per l’insegnamento dell’italiano nasce un gioco contenente ben sei coppie di bisensi, ciascuna delle quali ha radice etimologica comune ma con divaricazione netta dei significati – E uno dei bisensi offre l’occasione per una lezione di vita

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Trentesima puntata della rubrica che compare ogni due domeniche sulla 
Gazzetta di Parma,  14 maggio 2023 – Qui il link alla ventinovesima puntata della rubrica, dalla quale si può risalire a ciascuna delle precedenti  .

I lettori di questa rubrica sanno ormai bene (v. la 18ma e la 19ma puntata), che nei rebus possono comparire, in prima lettura e nella soluzione, degli omonimi, cioè delle parole scritte allo stesso modo (omografe) e talora anche con radice etimologica comune, purché con significati nettamente divaricati: per questo motivo le si indicano anche come parole “bisenso”. Per il corso destinato agli insegnanti di scuola media e primaria Il rebus come strumento per la didattica dell’italiano, che uscirà dall’Editrice Giunti a giugno, dovevo realizzare un rebus che ne costituisse un esempio. Da questa esigenza didattica è nato il gioco che segue (disegnato come sempre da Laura Neri) nel quale le parole bisenso non sono soltanto una o due, ma addirittura sei.

Il primo bisenso è “tempera”, che è voce del verbo “temperare”, dal quale anche “ottemperare”, ed è al tempo stesso un sostantivo indicante un colore per la pittura preparato con una mescola di pigmenti diversi in una soluzione acquosa. La radice etimologica comune a ciascuno di questi significati si trova nel verbo latino temperare, derivato da tempus, tempo, forse anche nel significato antico di “taglio”: quindi, originariamente, “tagliare”.  In questo caso la prima lettura è “O T tempera”; e poiché dal diagramma sappiamo che per completare la prima parola della soluzione mancano due lettere, possiamo far conto che queste siano “r e”, necessarie per formare la voce verbale “ottemperare”.

Il secondo bisenso è “diligenza”, che può significare “carrozza” trainata da cavalli, in passato usata per il servizio di linea di trasporto di persone e cose; ma al tempo stesso può significare “cura” attenta e scrupolosa nello svolgimento di un compito. Una chiave del rebus è dunque “L A diligenza”, nel significato di “carrozza”, che il diagramma indica come quinta e sesta parola. Dobbiamo trovare la quarta, di 4 lettere. Se per la prima abbiamo “O T tempera re… = ottemperare”, visto che in questa carrozza viaggia un re con tanto di insegna reale sulla portiera, si può provare a combinare il sostantivo “diligenza” con l’aggettivo “reale” (terzo bisenso) troncato in “real”, per la soluzione “OT tempera, real LA diligenza = Ottemperare alla diligenza…”.

Qui l’ètimo comune ai due significati di “diligenza” va individuato nel verbo latino diligere, che significa “amare”.

Superata la difficoltà della “real diligenza”, la prima lettura del rebus prosegue facilmente con l’individuazione delle chiavi “impósta D” (quarto bisenso, dal latino imponere, cioè “porre sopra”, “imporre”), “AL lana”, “TU rade” (quinto bisenso, dal latino radére, cioè “radere”, “rasare”), “L compìto” (sesto bisenso, dal latino complère, cioè “compiere”, “adempiere”), per la soluzione Ottemperare alla diligenza imposta dalla natura del cómpito.

Ciascuno bisenso presente in questo rebus ha una radice etimologica comune a entrambi i significati della parola. Ma in tutti questi casi la divaricazione dei significati stessi – “le due braccia della ipsilon” di cui abbiamo parlato nella 19ma puntata è abbastanza netta per legittimare la comparsa della stessa parola nella prima lettura e nella soluzione.

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L’identificazione della radice etimologica del bisenso “diligenza” nel verbo latino che significa amare” offre all’insegnante anche l’occasione per impartire ai propri allievi una importante lezione di vita. Il codice civile – sulla scorta dell’antico diritto romano – stabilisce che la diligenza dovuta non e soltanto quella “imposta dalla natura del compito” (cioe la cosiddetta “diligenza  tecnica”: articolo 2104), ma anche quella “del buon padre di famiglia” (articolo 1176); in altre parole, il diligere, cioè l’“amare” (ancora un bisenso!), insito nel dovere di diligenza, deve essere assimilabile a quello che anima un buon genitore nei confronti dei figli!

Ma c’è di più. Il dovere di diligenza implica che si “ami” non soltanto la persona al cui servizio si sta operando, ma anche – al pari di un buon genitore – ciò che si sta facendo: cioè il proprio stesso lavoro.

Qui viene alla mente l’insegnamento di Primo Levi, secondo il quale (La chiave a stella, 1978) “il poter svolgere un lavoro che si ama” – che sia lavoro intellettuale o manuale, anche il più umile – “è la migliore approssimazione alla felicità su questa terra”. Obbligo giuridico, dunque, per il datore come per il prestatore di lavoro; ma anche segreto per vivere felici.

(www.pietroichino.it – La prossima lezione sarà pubblicata domenica 28 maggio 2023)

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