I SALARI E LE DIFFERENZE REGIONALI DI COSTO DELLA VITA

È paradossale che un sindacato interessato a proteggere il potere d’acquisto dei salari da variazioni dei prezzi nel tempo (ossia dall’inflazione), sia indifferente, anzi contrario, alla necessità di proteggere i salari anche dalle variazioni dei prezzi nello spazio

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Intervista a cura di Claudia Marin ad Andrea Ichino, professore di Economia del Lavoro all’Istituto Universitario Europeo di Firenze, pubblicata sui quotidiani del gruppo
QN, Il Giorno, la NazioneIl Resto del Carlino il 20 gennaio 2023 In argomento, oltre allo studio dello stesso A.I. con Tito Boeri ed Enrico Moretti il cui link compare nel testo,  v. anche l’intervista della stessa giornalista a me pubblicata sugli stessi quotidiani il 10 gennaio precedente

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Andrea Ichino

I salari continuano a pesare e valere in maniera largamente differente a seconda delle aree geografiche del Paese: l’inflazione ha accentuato quello che lei già indicava e denunciava qualche anno fa nella ricerca con Boeri e Moretti?
Dato che il livello dei prezzi è diverso tra le province italiane e, in particolare mediamente più alto al nord, l’incomprensibile rivendicazione sindacale di mantenere i salari “nominali” uguali in tutto il paese comporta che i salari “reali” siano invece molto diversi. Quindi a fronte di una inutile equità nominale, il risultato è che lo stesso bene (la casa prima di tutto) costa molto di più in alcune zone del paese che in altre, e quindi il potere d’acquisto dei salari non è uniforme nelle diverse zone. Il caso riportato recentemente da Il Giorno della bidella che preferisce pendolare tra Napoli e Milano piuttosto che trasferirsi nel capoluogo lombardo dove gli affitti sono più alti è una conferma dei risultati econometrici che ho ottenuto nella ricerca da lei citata con Boeri e Moretti.
Purtroppo, però, mi sembra che l’ISTAT non abbia ancora iniziato a seguire il nostro suggerimento di produrre indici dei prezzi locali, che consentano di misurare efficacemente le differenze geografiche di costo della vita.
In assenza di questi indici dei prezzi locali, è quindi impossibile stabilire se l’inflazione (ossia la variazione dei prezzi nel tempo) colpisca in modo diverso le regioni Italiane. Non sono quindi in grado di dire se l’inflazione, che negli ultimi mesi è tornata ad affliggere il nostro paese (e molti altri), abbia accentuato il problema delle differenze geografiche di potere d’acquisto dei salari. Mi sembra però difficile immaginare ragioni per le quali l’inflazione possa aver ridotto il problema.

Sono passati anni dalla sua e vostra indagine, ma la situazione, dunque, è rimasta analoga, se non è peggiorata. Che cosa, allora, come oggi, servirebbe per ridare maggiore equità alle retribuzioni reali?
Quello che servirebbe è rendere più simile la produttività del lavoro tra le diverse zone del paese: ma questo è un problema che affligge la realtà italiana da molto tempo e sul quale sono stati scritti fiumi di parole, ma poco o nulla è stato fatto di efficace.
Tuttavia, il nostro non è l’unico paese caratterizzato da ampie differenze geografiche di produttività. Per esempio, differenze simili esistevano anche tra la Germania dell’Est e dell’Ovest subito dopo la caduta del muro di Berlino. Ma lì queste differenze sono state affrontate in modo molto diverso.

Che cosa accadde in Germania al momento della riunificazione e dopo?
È successo che in attesa di poter ridurre le differenze di produttività tra Est e Ovest, la contrattazione collettiva in Germania ha consentito alle aziende di utilizzare “clausole di uscita” dagli accordi raggiunti a livello nazionale, al fine di differenziare i salari nominali in modo opportuno. In questo modo in Germania non accade quel che invece osserviamo in Italia, dove un insegnante di scuola elementare arriva a guadagnare il 34% in più a Ragusa rispetto a Milano in termini reali.

Eppure,ogni volta che i casi di cronaca mettono in risalto la grande variabilità del costo della vista, c’è chi torna a evocare il rischio delle gabbie salariali. Perché la sua indicazione non significa un ritorno alle vecchie formule?
Perché noi non stiamo proponendo di sostituire tante gabbie locali all’unica gabbia che il sindacato impone su tutto il territorio nazionale. Stiamo solo proponendo che sia dato più spazio ad una contrattazione locale, che possa consentire differenze geografiche di salario nominale. Queste differenze però non risusciterebbero le vecchie gabbie salariali, perché potrebbero variare nel tempo, oltre che nello spazio, mantenendo i salari reali in linea con i rispettivi livelli di produttività del lavoro. E allora, naturalmente, qualora questi livelli di produttività diventassero più simili geograficamente, anche i salari reali (ossia quelli che contano davvero) si aggiusterebbero di conseguenza. Quindi tutt’altro che rigide gabbie.
È comunque paradossale che un sindacato che vuole proteggere il potere d’acquisto dei salari da variazioni dei prezzi nel tempo (ossia dall’inflazione), sia indifferente, anzi contrario, alla necessità di proteggere i salari anche dalle variazioni dei prezzi nello spazio.

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