La contestatissima “riforma del lavoro accessorio” contenuta nella legge finanziaria 2023 non tocca per niente la struttura del contratto di lavoro occasionale: non reintroduce il voucher cartaceo; resta l’obbligo della procedura informatica con l’INPS; cambiano, ma non di molto, ke soglie numeriche
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Bollettino n. 139 di Mercato del Lavoro News, organo della Fondazione Anna Kuliscioff, 11 dicembre 2022, a cura di Claudio Negro – In argomento v. anche l’articolo della professoressa Lucia Valente pubblicato sul sito lavoce.info il 2 dicembre 2022: Il pendolo dei voucher e il metodo sperimentale
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Come prevedibile, l’ipotesi di reintroduzione nella Legge di Bilancio dei Voucher Lavoro, aboliti dal governo Gentiloni sull’onda di una feroce campagna della CGIL, ha scatenato un tripudio di slogan antischiavisti e anticapitalisti. La CGIL si oppone alla “reintroduzione dei voucher, che rappresentano una vera e propria mercificazione del lavoro senza diritti e senza tutele, oltre a riproporre un modello che deprime l’economia”; alcuni si accodano. In realtà nella versione definitiva non si tratta della reintroduzione dei voucher cartacei, quelli che si compravano in tabaccheria e che poi venivano dati a chi aveva prestato un lavoro occasionale, il quale li scontava all’INPS o nelle rivendite autorizzate.
Opportuno fare un po’ di storia. Allorchè si decise di abrogare i voucher lavoro, si pensò bene di sostituirli con una forma contrattuale ad hoc, sostanzialmente equivalente ma munita dell’altisonante denominazione di “contratto di prestazione occasionale”, che fa meno mercato degli schiavi. Nella sostanza la novità consistette nell’introduzione di una forma più complessa di attivazione del rapporto di lavoro, che non si sostanzia più nell’acquisto e nella consegna al lavoratore del voucher, ma richiede una procedura telematica con l’INPS, che rende difficili le cose soprattutto alle famiglie come datrici di lavoro.
A parte questa differenza strutturale, rispetto ai vecchi voucher sono cambiate più volte le “soglie” per l’utilizzo di questa forma di lavoro. Attualmente le imprese possono usare il Contratto di Lavoro occasionale solo se non hanno più di 5 dipendenti in forza. Ogni azienda non può pagare più di 5.000 € annui di prestazioni occasionali, e ciascun lavoratore non può incassare più di 5.000 € annui di compensi per lavoro occasionale. Un’ora di lavoro vale 9 € lordi (quello prestato alle famiglie vale 10€).
L’esecrata riforma del lavoro accessorio prevista nella legge finanziaria non tocca per niente la struttura del Contratto Occasionale: non si reintroduce il voucher cartaceo, resta l’obbligo della procedura informatica con l’INPS. Cambiano (ma non di molto) i limiti numerici: ad ogni prestatore d’opera viene consentito di incassare fino a 10.000 € lordi all’anno, dei quali però non più di 2500 dallo stesso datore di lavoro. Inoltre possono utilizzare il lavoro occasionale le aziende fino a 10 dipendenti, comprese quelle del comparto turismo (per le quali vigeva il limite di 8 dipendenti) e dell’agricoltura senza i vincoli di età o condizione soggettiva (p.es. disoccupati) con il solo obbligo di non superare le 45 giornate in un anno e che la retribuzione giornaliera non sia inferiore a tre ore.
Cambia invece il valore dell’ora lavorata: da 9€ netti per le aziende e 10€ netti per le prestazioni a una famiglia, a 10 € lordi per tutti. Il netto è di 7,5€ mentre la differenza copre i contributi INPS e INAIL. C’è da dire che con la precedente normativa, fermo restando che la retribuzione non è tassata, i contributi venivano versati a parte dal datore di lavoro.
Come si vede non si tratta di cambiamenti epocali ma di aggiustamenti, sui quali ovviamente è lecito discutere, ma non, come pavlovianamente fa il sindacato, far le barricate. E’ opportuno notare che nel secondo trimestre del 2022 l’utilizzo del Contratto di Prestazione Occasionale è rimasto in linea con i valori del 2021 coinvolgendo mediamente, ogni mese, circa 15 mila lavoratori. Nello stesso periodo del 2022, il Libretto Famiglia registra in media mensile circa 12 mila prestatori. Le novità introdotte dalla Legge di Bilancio potrebbero far lievitare questi numeri, ma non di molto, dato che i limiti e gli obblighi cambiano di cifra ma non strutturalmente. Ed evidentemente non siamo di fronte ad una catastrofe dei diritti del lavoro o al lavoro precario di massa.
Un’obiezione fondata era che con il voucher cartaceo l’utilizzatore poteva usare il nero e mettersi in regola all’ultimo momento, in caso di ispezione, staccando un voucher che aveva tenuto nel cassetto per ogni evenienza: tuttavia già dal 2017 è obbligatorio comunicare all’INPS tramite SMS l’attivazione del contratto.
Altra obiezione è che si va ad incrementare il lavoro povero. Per verificare quest’osservazione vale la pena fare un raffronto con il trattamento “corretto”: quello di un CCNL che abbia al suo interno un profilo professionale paragonabile a quelli cui normalmente appartengono le figure che fanno prestazioni occasionali; ho scelto Pubblici Esercizi, Ristorazione Collettiva e Commerciale e Turismo (Confcommercio). Per il 7° livello (il più basso) e prestazione discontinua (ossia con le caratteristiche tipiche del lavoro occasionale) la paga oraria lorda è di 6,9€; per il livello superiore (sesto) è di 7,26 €. Per il lavoro occasionale è di 10€ lordi, 7,5 netti.
Vero è che nel caso di contratto a termine alla paga oraria vanno aggiunti i ratei di 13esima, 14esima, ferie e TFR, che determinano un aumento della retribuzione oraria di circa 1,5€, ma anche che vanno sottratti i contributi a carico del lavoratore: nel caso del settimo livello arriveremmo ad un netto orario di 7,6€, sostanzialmente uguale a quello della prestazione occasionale. Ovviamente la differenza, pur piccola, tende a dilatarsi all’aumentare delle ore lavorate: ma date che il massimo raggiungibile per una prestazione occasionale è di 250 ore presso lo stesso utilizzatore, il paragone va fatto sul differenziale di paga oraria netta su 250 ore, che è veramente esiguo.
Dunque il lavoro occasionale dal punto di vista retributivo non è più “povero” di quanto non lo sia il corrispondente trattamento di un normale contratto a termine. Peraltro non può essere reiterato dopo 6-7 settimane: da escludere il suo utilizzo in vece di un posto di lavoro stabile. Del resto fin dall’inizio era una formula pensata non per flessibilizzare il lavoro stabile ma per offrire un’alternativa al lavoro nero. Nella sua formulazione (peraltro più macchinosa di quella dei voucher cartacei, soprattutto per le famiglie come datori di lavoro) non si presta assolutamente a sostituire il lavoro regolare; può essere elusa? Certamente, con il lavoro nero, come qualunque altro rapporto di lavoro.
Si tenga presente che eliminare questo tipo di rapporto non determinerà il passaggio dei lavoratori interessati al contratto stabile, e nemmeno a quello a termine, ma solo al lavoro nero. L’occupazione stabile per legge non l’ha mai realizzata nessuno, e l’imponibile di mano d’opera appartiene ad una passato che non tornerà.
C’è solo un modo per fare sì che i CCNL stipulati da CGIL CISL e UIL assumano valore cogente: l’attuazione piena dell’art. 39 della Carta Costituzionale: nel frattempo sarà giocoforza accontentarsi del possibile. Se poi il Sindacato ritiene opportuno mascherare la realtà con slogan e invettive, come ormai da tempo sta facendo, non resterà che prendere atto della sua incapacità di svolgere un ruolo non da spettatore.
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