IL TELEFONO DELL’ENTE PUBBLICO

Per troppe amministrazioni pubbliche italiane, soprattutto tra quelle statali, facilitare la vita al cittadino non solo non costituisce una priorità, ma è cosa da evitare, in quanto fa aumentare il flusso delle pratiche

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Editoriale pubblicato sui quotidiani Gazzetta di Parma, l’Adige e Alto Adige il 27 novembre 2022 – Tutti gli articoli e interviste in tema di funzionamento delle amministrazioni pubblicati su questo sito sono reperibili nella sezione Lavoro pubblico  

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Al termine di una serie di dotte quanto intricate lezioni su come si distingue un ente pubblico da un ente privato, l’illustre professore che insegnava diritto amministrativo all’Università di Milano quando a me toccava studiarlo fulminò la platea degli studenti con questa affermazione: “voi, però, potete anche fare a meno di applicare tutti i criteri che vi ho esposto, perché vi basta procurarvi il numero di telefono dell’ente e chiamarlo; se risponde, l’ente è privato, se non risponde, o la linea è sempre occupata, è pubblico”.

Ripensavo a questo insegnamento nei giorni scorsi, quando mi è accaduto di compilare il modulo semplicissimo necessario per ottenere la fornitura di un servizio da una impresa di comunicazione (“per il resto pensiamo a tutto noi: per ogni informazione questo è il numero di cellulare del responsabile della pratica”) e al tempo stesso di dover compilare quello complicatissimo destinato a un’istanza rivolta a un ente pubblico, nel quale occorreva indicare una gran quantità di dati dei quali l’ente stesso già dispone, e di doverli documentare con una serie ingente di allegati su carta, dei quali pure in gran parte l’ente stesso già dispone o potrebbe agevolmente disporre online: una gimkana la cui sola funzione sembra essere quella di far fare meno fatica possibile all’ufficio. E sì che è in vigore un divieto per gli enti pubblici di richiedere al cittadino dati e documenti di cui già essi dispongono! Su questo terreno il colmo di cui sono stato testimone è stato sentirmi chiedere il certificato di morte da parte dell’amministrazione cimiteriale stessa cui stavo facendo istanza di consegna delle ceneri di un congiunto che,  cura della stessa, era stato cremato nei giorni immediatamente precedenti.

Oggi i sindacati del settore pubblico rivendicano a gran voce che tornino ad essere ampliati gli spazi per lo smart working. Se fossi il ministro della funzione pubblica condizionerei l’accoglimento di questa richiesta alla disponibilità degli interessati a rendersi direttamente raggiungibili, almeno in orario di lavoro, dagli utenti sul cellulare e per posta elettronica, ovviamente con l’obbligo di rispondere. E all’introduzione di una voce retributiva commisurata al gradimento da parte degli utenti delle modalità di svolgimento del servizio. Ma è difficile che queste condizioni vengano accolte, perché per troppe amministrazioni pubbliche italiane – soprattutto tra quelle statali – facilitare la vita al cittadino non solo non costituisce una priorità, ma è cosa da evitare, in quanto aumenta il flusso delle pratiche e dunque il carico di lavoro dei dipendenti. Il cui interesse viene prima di quello della cittadinanza.

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