Nell’immediato, le sole misure efficaci sono quelle che favoriscono la migrazione dei lavoratori dalle imprese meno produttive a quelle più efficienti, anche attraverso interventi di formazione mirata; ma decisivo sul piano strategico è migliorare profondamente soprattutto il sistema scolastico, oltre a quello della formazione
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Intervista a cura di Gianluca Cavicchioli, in corso di pubblicazione sull’organo dell’Unione Provinciale Agricoltori di Siena, ottobre 2022 – In argomento v. anche l’intervista In che cosa si concreta oggi l'”intelligenza del lavoro”
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Professor Ichino, è un onore avere la possibilità di discorrere con Lei su alcuni temi a noi cari. Entriamo subito nel merito. La copiosa normativa regolante il lavoro subordinato è sufficientemente in linea, o meglio, risponde bene alle necessità delle aziende e dei lavoratori?
Ne vedo alcuni difetti su singoli punti; ma il suo difetto principale sta nel fatto che essa è troppo complessa ed è espressa in un modo che la rende poco leggibile, non risponde ai requisiti del Decalogue for Smart Regulation europeo. Nel corso della XVI e della XVII legislatura mi sono battuto con molta determinazione per la sua sostituzione con un Codice del lavoro semplificato, sul quale avevo raccolto anche molte adesioni. Il cosiddetto Jobs Act del 2014-2015 ne ha ripreso – molto positivamente, a mio avviso – diverse parti; ma non altre.
Il costo del lavoro è impegnativo, e soprattutto il percettore finale, il lavoratore, riceve importi decisamente ridotti rispetto alla spesa iniziale. Se concordiamo, unanimemente, sull’opportunità di ridurre drasticamente il c.d cuneo fiscale, perché fino ad oggi questo non è accaduto?
Alcune riduzioni dell’aliquota contributiva sono state operate negli ultimi anni; resta il fatto, però, che la contribuzione previdenziale media in Italia è nettamente superiore rispetto a quella tedesca e anche a quella francese, per non parlare di quella britannica. Per altro verso, anche il contenuto delle protezioni previdenziali il Italia è nettamente più generoso rispetto a quei Paesi: basti pensare ai permessi retribuiti per l’assistenza a parenti disabili o anche soltanto anziani previsti dalla legge n. 104/1992.
Cambiando argomento, altro tema che spesso abbiamo dibattuto, cercando di definirlo anche contrattualmente è quello della produttività. Dai dati in nostro possesso, il nostro sistema produttivo risulta essere poco performante rispetto altri Paesi europei. Concorda?
I dati in proposito sono inequivoci: in Italia la produttività non è aumentata negli ultimi ventanni, mentre è aumentata del 20 o 30 per cento negli altri maggiori Paesi dell’Europa occidentale, per non parlare di quelli dell’Europa orientale che si sono staccati dal sistema sovietico.
Dove possiamo incidere per risolvere questo problema?
Innanzitutto sul sistema scolastico e su quello della formazione professionale, che in Italia sono governati prioritariamente in funzione degli interessi degli addetti e non degli interessi degli utenti. Un intervento incisivo su questi due sistemi, però, non può dare risultati apprezzabili a breve termine.
Dobbiamo dunque rassegnarci a tenerci il problema ancora a lungo?
Ciò che potrebbe aumentare la produttività media del lavoro in Italia anche in tempi più brevi sarebbe un insieme di provvedimenti volti a favorire la migrazione delle persone dalle aziende meno produttive a quelle più produttive. È l’esatto contrario di quello che fanno usualmente i pubblici poteri, i quali troppo sovente incoraggiano le persone a difendere con le unghie e coi denti le imprese decotte, invece che incoraggiarli e sostenerli anche economicamente nello spostamento verso quelle che potrebbero valorizzare meglio il loro lavoro. Inoltre dovremmo aprire molto di più il nostro Paese agli investimenti delle imprese multinazionali, che sono mediamente più capaci di valorizzare il lavoro dei propri dipendenti.
La previdenza privata, ancorché limitata, potrebbe essere un elemento d’aiuto al sistema previdenziale e più fruttuosa per il lavoratore?
Sì, in Italia la previdenza complementare è ancora molto meno sviluppata di quanto potrebbe e dovrebbe essere.
Esiste davvero un problema di salari troppo bassi?
Le retribuzioni in Italia sono mediamente inferiori rispetto a quelle degli altri grandi Paesi europei perché in Italia più bassa è la produttività media del lavoro. È il problema di cui abbiamo parlato poc’anzi. Per altro verso, in Italia funziona troppo poco e male la mobilità delle persone verso le aziende che potrebbero valorizzare meglio il loro lavoro: prova ne sia che queste nel 40 per cento dei casi trovano difficoltà a reperire il personale qualificato o specializzato di cui avrebbero bisogno. Questo significa che abbiamo degli enormi giacimenti occupazionali inutilizzati; e si tratta di occupazione di alta qualità, che offrirebbe a moltissime persone la possibilità di migliorare il reddito.
Ci sarebbero ancora tante domande ma le rimandiamo ad un prossimo appuntamento; non vogliamo approfittare e desideriamo mantenere in “caldo” un po’ di curiosità così da rivederci presto.
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