DIPENDENZA ECONOMICA E DIPENDENZA ORGANIZZATIVA COME CRITERI PER LA DELIMITAZIONE DEL CAMPO DI APPLICAZIONE DELLA REGOLA DELLA COOBBLIGAZIONE SOLIDALE PER I DEBITI DI LAVORO
Comunicazione al convegno dell’Associazione Giuslavoristi Italiani – Lucca, 20 novembre 2009
Sommario – 1. Necessità di una distinzione tra gli appalti in cui si manifesta la specializzazione produttiva delle imprese e appalti mirati all’elusione degli standard. – 2. Il criterio di distinzione del 1960, l’abbandono di ogni distinzione nel 2004 e la disordinata stratificazione legislativa degli anni successivi. – 3. Una possibile reimpostazione e soluzione ragionevole della questione. – 4. La combinazione dei criteri della dipendenza economica e della “dipendenza organizzativa” nel progetto per un nuovo Codice del lavoro (d.d.l. n. 1873/2009). – 5. Due obiezioni e le rispettive risposte. – Appendice. Disciplina dell’appalto dipendente e dell’appalto interno secondo il disegno di legge presentato al Senato da Ichino e altri l’11 novembre 2009, n. 1873. – Bibliografia.
1. – L’appalto è nella maggior parte dei casi la forma giuridica in cui si manifesta la specializzazione produttiva delle imprese: quando di questo si tratta, la segmentazione del tessuto produttivo consente lo sviluppo di imprese tecnologicamente ed economicamente più forti, capaci di valorizzare il lavoro dei loro dipendenti meglio di quanto esso non potrebbe essere valorizzato nell’azienda committente.
In non pochi altri casi, invece, l’appalto è la forma giuridica in cui si attua l’elusione delle garanzie o delle protezioni poste dalla legge o dal contratto collettivo a vantaggio dei lavoratori. Qui accade il contrario di quel che accade nel primo caso: la segmentazione del tessuto produttivo non serve al committente per trovare lavoro tecnologicamente più avanzato o meglio organizzato di quanto potrebbe essere nella sua azienda, ma per abbassare lo standard di trattamento di una parte dei lavoratori dei quali egli si avvale. Qui il lavoro appaltato diventa un lavoro di serie B.
Il nostro diritto del lavoro deve imparare distinguere meglio il secondo caso dal primo; imparare, cioè, a intervenire con efficacia per prevenire e correggere ogni forma di evasione o elusione perseguita attraverso la segmentazione del tessuto produttivo, evitando però di porre remore ingiustificate agli appalti che non presentano alcuna pericolosità sociale, bensì al contrario sono frutto di innovazione positiva nel tessuto produttivo.
2. – La prima versione di questa distinzione è stata quella contenuta nell’articolo 3 della legge n. 1369/1960, che per un quarantennio ha imposto – pur con la serie di eccezioni elencate nell’articolo 5 della stessa legge – la corresponsabilità solidale fra committente e appaltatore, nonché la parità di trattamento fra i dipendenti del primo e quelli del secondo, nel caso in cui l’appalto dovesse essere eseguito “all’interno” dell’azienda del committente. I fatti si incaricarono di mostrare come quel criterio topografico non fosse del tutto congruo rispetto alla ratio legis; ma alcune gravi incongruenze si ravvisano anche nel criterio che gli è stato sostituito nel 2003, e ancor più nella disciplina risultante dall’abbandono drastico di qualsiasi criterio di distinzione, incomprensibilmente disposto nel 2004. Vediamo più da vicino come sono andate le cose.
Con la legge Biagi nella sua formulazione originaria del 2003 il “criterio topografico” della legge del 1960 è stato sostituito con un criterio legato al puro e semplice oggetto dell’appalto: a norma del secondo comma dell’articolo 29, la regola della coobbligazione solidale tra committente e appaltatore era destinata ad applicarsi in tutti e soltanto i casi di appalto di servizi. Vi è da dubitare non soltanto dell’opportunità di questo ampliamento del campo di applicazione della norma, ma anche della possibilità pratica effettiva dell’applicazione stessa. Basti considerare, in proposito, che è appalto di un servizio anche il contratto di abbonamento al servizio telefonico che milioni di soggetti stipulano con questa o quella grande compagnia del settore, oppure il contratto che milioni di soggetti stipulano con un provider per poter usare la posta elettronica e navigare in Internet. Perché mai ciascuno di questi committenti dovrebbe essere responsabile in solido con una Telecom o una Tiscali per il pagamento delle retribuzioni o dei contributi previdenziali di un suo qualsiasi dipendente?
Con l’aggiustamento della legge Biagi dell’anno successivo (d.lgs. n. 251/2004), poi, si è addirittura rinunciato a qualsiasi distinzione in seno alla grande categoria degli appalti: la regola della coobbligazione di cui all’articolo 29 ha preso a essere applicata a qualsiasi appalto, che avesse per oggetto servizi od opere; determinandosi così un contesto nel quale appare del tutto pleonastico il comma 6 aggiunto all’articolo 2112 del codice civile dallo stesso d.lgs. n. 251/2004, che sancisce la corresponsabilità tra committente e appaltante quando tra di essi vi sia stata in precedenza una cessione di ramo d’azienda: quella corresponsabilità sussisterebbe comunque, anche senza questo comma aggiuntivo, in forza dell’articolo 29 della legge Biagi.
Con un intervento di due anni dopo (l. n. 296/2006) si è poi estesa la corresponsabilità del committente anche ai crediti retributivi e contributivi dei collaboratori – apparentemente, senza distinzione tra subordinati e autonomi – dei subappaltatori. Così, per esempio, ora l’impresa che chieda l’intervento di un’altra impresa per l’installazione di un impianto elettrico, o per l’esecuzione di una ricerca di mercato, è coobbligata con quest’ultima per tutti i crediti dei suoi collaboratori; e ciò anche se, trattandosi di appalto avente per oggetto un opus perfectum, quindi di un contratto a esecuzione istantanea, è impossibile stabilire una corrispondenza tra la (inesistente) “durata” dell’appalto stesso e un periodo di tempo entro il quale limitare la maturazione del debito solidale.
Un altro intervento ha aggiunto una ulteriore incongruenza: il ventottesimo comma dell’articolo 35 della legge n. 248/2006 (ovvero l’unico comma dedicato a questa materia sopravvissuto alle abrogazioni disposte dal d.-l. n. 97/2008, convertito con la l. n. 129/2008) ha introdotto la corresponsabilità solidale dell’appaltatore per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali e i contributi previdenziali da parte del subappaltatore per i suoi dipendenti. Questa particolare corresponsabilità non riguarda dunque, apparentemente, il committente per i debiti fiscali del subappaltatore; né – a quanto sembra – essa riguarda i debiti fiscali e contributivi relativi a rapporti di collaborazione autonoma.
L’articolo 7, comma 4-bis, della legge n. 31/2008 ha poi disposto che al licenziamento derivante dalla cessazione di un appalto, anche se i lavoratori coinvolti sono più di 4 nell’arco di 120 giorni nella stessa provincia, non si applichi la procedura prevista per i licenziamenti collettivi, a condizione che l’appaltatore subentrante riassuma tutti i lavoratori e offra loro condizioni conformi al contratto collettivo nazionale applicabile. Disposizione, questa, che presenta non pochi problemi di applicazione pratica: basti considerare il caso in cui la procedura sia stata omessa a seguito di un accordo tra l’appaltatore uscente e il subentrante, ma poi quest’ultimo ometta l’assunzione di uno o più lavoratori interessati, oppure uno o più di questi rifiuti l’assunzione.
L’ultimo intervento legislativo in ordine di tempo è poi consistito nell’articolo 26 del d.lgs. n. 81/2008, che ha imposto al committente la corresponsabilità solidale con appaltatore e il subappaltatore, ma anche con il collaboratore autonomo, per tutti i danni per i quali il lavoratore dipendente degli stessi non venga indennizzato dall’Inail. Ma qui, assai opportunamente (a differenza degli interventi del periodo 2004-2006), il legislatore è tornato ad applicare un criterio distintivo che – guarda caso – richiama da vicino quello dell’articolo 3 della legge del 1960: la corresponsabilità solidale scatta soltanto quando l’opera o il servizio oggetto dell’appalto debbano essere eseguiti “all’interno della … azienda [del committente], o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che [il committente] abbia la disponibilità dei luoghi in cui si svolge l’appalto”. Si ristabilisce così, se non altro, un nesso tra la responsabilità imposta al committente e la possibilità effettiva di controllo da parte sua sui fatti potenzialmente generatori del debito che in tal modo gli viene accollato.
3. – Appare indispensabile un riordino della legislazione stratificatasi in quest’ultimo decennio, su questa materia, in modo tanto disordinato: innanzitutto per semplificare una normativa che – fatta salva la disposizione del 2008 in materia di sicurezza del lavoro – è divenuta troppo complessa, foriera di costi di transazione e incertezze del diritto in larga parte evitabili. Ma il riordino deve essere anche l’occasione per recuperare la ragion d’essere originaria di questa normativa: cioè la protezione dei lavoratori contro la segmentazione “cattiva” del processo produttivo, contro l’uso dell’appalto al fine di deprimere gli standard di trattamento e di sicurezza.
La segmentazione del processo produttivo non è “cattiva” in sé: come si è detto all’inizio, quando corrisponde a una positiva specializzazione produttiva delle imprese essa non presenta alcun profilo di pericolosità sociale, ma al contrario consente di valorizzare meglio il lavoro dei collaboratori dell’appaltatore, quindi crea le condizioni per un miglioramento dei loro standard di trattamento e di sicurezza. In questi casi, quando l’appaltatore opera in condizione di effettiva indipendenza e totale autonomia organizzativa rispetto al committente, imporre a quest’ultimo una corresponsabilità solidale per i debiti retributivi o contributivi del primo mi sembra – absit iniuria – insensato. E tale appare anche ad alcuni giuslavoristi stranieri coi quali ho avuto occasione di discuterne, quando essi si sono imbattuti in questo recente risvolto del nostro ordinamento.
Il problema invece si pone – eccome – quando difetta quella condizione di indipendenza e di totale autonomia organizzativa. In particolare, quando tra committente e appaltatore si determina un rapporto di dipendenza economica e/o di dipendenza organizzativa. Esaminiamo partitamente le due situazioni e i criteri che possono essere proposti per farvi fronte in modo appropriato.
4. – La situazione di dipendenza economica è uno squilibrio di potere contrattuale tra le due parti determinata dal carattere continuativo della collaborazione e dalla condizione di “monocommittenza”. Quest’ultima – come è messo in rilievo dalla teoria economica – è causa al tempo stesso di una concentrazione del rischio per l’appaltatore e di una specializzazione della sua struttura produttiva, per lo più non suscettibile di essere valorizzata altrettanto bene in rapporti con committenti diversi: donde l’insorgere, in qualche misura, di difficoltà per l’appaltatore stesso di avvalersi delle occasioni diverse che il mercato potrebbe offrirgli (situazione che si presenta tipicamente – ma non soltanto – nel caso contemplato dal comma 6 dell’articolo 2112 c.c., di cui si è detto sopra), quindi di una maggiore fragilità dell’impresa, la quale può essere facilmente “messa in ginocchio” dal committente con una riduzione o interruzione della commessa.
Questo, dunque, può essere opportunamente assunto come primo criterio di delimitazione del campo di applicazione della regola della coobbligazione solidale tra committente e appaltatore per i debiti retributivi, contributivi e fiscali relativi ai rapporti di lavoro alle dipendenze del secondo. Nel progetto del nuovo Codice del Lavoro semplificato, presentato al Senato nei giorni scorsi (disegno di legge 11 novembre 2009 n. 1873, dove la materia è collocata nel nuovo articolo 2128 del codice civile) la situazione di dipendenza economica è definita come “quella dell’imprenditore che nell’ultimo semestre abbia tratto più di due terzi del proprio fatturato dai rapporti di appalto con una sola azienda committente”; e si attribuisce al committente stesso il diritto di avere dall’appaltatore l’ultimo bilancio e la documentazione relativa all’andamento del fatturato, in modo che egli possa, ricorrendo gli estremi della dipendenza, procurarsi di volta in volta dall’appaltatore anche la documentazione relativa all’adempimento dei suoi obblighi retributivi, contributivi e fiscali.
Solitamente la condizione di dipendenza economica dell’appaltatore dal committente si determina in appalti di servizi la cui esecuzione si colloca fisicamente all’interno del perimetro aziendale del committente stesso: la dipendenza economica, cioè, si accompagna a una dipendenza organizzativa. È quanto accade, per esempio, in molti appalti di servizi di manutenzione ordinaria, di pulizia, o di guardiania o custodia. Ma può anche non esservi coincidenza tra queste due circostanze: si pensi, per esempio, al caso della c.d. “esternalizzazione” di un servizio informatico, mediante cessione del relativo ramo d’azienda e stipulazione del contratto di appalto con il cessionario. Fino a quando quest’ultimo continui a svolgere la propria attività esclusivamente o quasi esclusivamente per il cedente-committente, sussiste la situazione di dipendenza economica che giustifica l’applicazione della disposizione protettiva, anche se la sede dell’attività viene a trovarsi al di fuori del perimetro dell’azienda principale e non si configura quindi una situazione di dipendenza organizzativa (è ancora il caso contemplato nel nuovo comma 6 dell’articolo 2112 c.c.).
Viceversa, va considerato anche il caso in cui il servizio appaltato sia svolto all’interno del perimetro dell’azienda del committente, ma l’appaltatore non sia in posizione di dipendenza economica: si pensi, per esempio, a un servizio di manutenzione, di pulizia, o di mensa aziendale gestito da impresa che svolga lo stesso servizio anche presso numerose altre aziende. In questo caso può venire meno la ragion d’essere della regola della coobbligazione solidale costituita dalla posizione di dipendenza economica dell’appaltatore dal committente; ma emerge una ragion d’essere diversa di quella stessa regola, ovvero la dipendenza organizzativa del singolo segmento dell’azienda appaltatrice: cioè lo stretto intreccio che di fatto si instaura tra l’organizzazione aziendale del committente e la parte dell’organizzazione aziendale dell’appaltatore impegnata nell’appalto “interno”; donde la maggiore facilità con cui il committente può di fatto, per un verso, avvalersi direttamente dei dipendenti dell’appaltatore, per altro verso controllare lo svolgimento delle prestazioni lavorative e l’adempimento degli obblighi corrispettivi da parte di quest’ultimo.
Queste ragioni hanno ispirato la proposta, contenuta nel citato disegno di legge n. 1873/2009, di identificare il campo di applicazione della regola della coobbligazione solidale con l’unione dei due insiemi – in larga parte tra loro sovrapposti – della situazione di dipendenza economica dell’appaltatore (o del subappaltatore) e della collocazione fisica del servizio appaltato (o subappaltato) all’interno dell’azienda del committente.
Nello stesso disegno di legge, infine, viene equiparato all’appalto di servizi il contratto di trasporto, al quale si propone pertanto di applicare la stessa disciplina protettiva, ricorrendone i requisiti oggettivi e soggettivi di cui si è detto (articolo 2128, ultimo comma).
5. – La proposta qui illustrata è stata criticata per l’ampiezza del campo di applicazione della regola protettiva, ritenuta eccessiva da un commentatore di parte imprenditoriale. È facile replicare che si tratterà comunque di una riduzione notevole rispetto alla legislazione attualmente vigente, nella quale quella regola è applicata – irragionevolmente, a mio avviso – a qualsiasi appalto che veda come committente un’impresa o una persona fisica esercente una attività professionale, senza alcuna distinzione.
Vi è poi obiezione di segno opposto: quella di chi contesta la limitazione della disciplina protettiva alla regola della coobbligazione solidale e l’esclusione della regola della parità di trattamento fra i dipendenti dell’appaltatore e quelli del committente. Il motivo – certo opinabilissimo, ma non irragionevole – di questa scelta sta nell’esigenza di graduare la protezione tra il caso dell’appalto, nel quale il servizio dedotto in contratto deve sempre essere caratterizzato da un apporto rilevante di organizzazione e di know-how imprenditoriale, e il caso della somministrazione di manodopera, nel quale invece oggetto del contratto è la pura e semplice prestazione lavorativa, la quale viene direttamente inserita nell’organizzazione aziendale dell’utilizzatore, determinandosi in tal modo pienamente i presupposti del co-employment. Qui dunque la proposta del nuovo Codice del lavoro mantiene la scelta compiuta con la Legge Biagi, di riservare al rapporto di somministrazione la doppia protezione (coobbligazione più parità di trattamento fra dipendenti del somministratore e dell’utilizzatore: articolo 2127, commi 4 e 6), applicando al rapporto di appalto di servizi dipendente o interno la sola regola della coobbligazione solidale (articolo 2128, commi 1, 2 e 4).
È ben vero che, come ho osservato sopra, nelle pieghe degli appalti interni si nascondono sovente rapporti di vera e propria somministrazione di lavoro, dove il committente in realtà utilizza direttamente la prestazione lavorativa dirigendola come se fosse svolta da un proprio dipendente. Ma in questi casi, qualificabili in termini di somministrazione irregolare, al dipendente è data l’azione per il riconoscimento del rapporto di lavoro alle dirette dipendenze dell’utilizzatore (articolo 2127, commi 10 e 11, dove è ripresa senza mutamenti sostanziali, ma soltanto con una semplificazione del testo, la disposizione contenuta nell’articolo 27 della legge Biagi).
Altrettanto ragionevole – come mi proposi di mostrare nella relazione introduttiva alle giornate di studio dell’Aidlass del 1999 – sarebbe anche la scelta di unificare in un unico sistema protettivo gli appalti di servizi labour intensive e i rapporti di somministrazione di lavoro regolare, fondendo le due fattispecie in un tipo legale unico ispirato al concetto di labour contract in uso negli ordinamenti anglosassoni. E credo che, quando ci arriveremo, avremo fatto un passo avanti più compiuto di quello qui illustrato, sulla via di una revisione in chiave pragmatica di vecchi concetti propri della nostra cultura giuslavoristica. Ma ho la percezione che i tempi della politica non siano ancora maturi per un passo così radicale: accontentiamoci, dunque, di un significativo passo avanti nella direzione della necessaria razionalizzazione della disciplina della segmentazione del processo produttivo.
Appendice – Disciplina dell’appalto dipendente e dell’appalto interno secondo il disegno di legge presentato al Senato da Ichino e altri l’11 novembre 2009, n. 1873. Lo stesso disegno di legge prevede l’abrogazione dell’art. 29 della Legge Biagi e di tutte le disposizioni che lo hanno modificato, escluso l’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008 in materia di sicurezza del lavoro. Il testo integrale del disegno di legge, con la relazione introduttiva, può essere scaricato dal sito www.pietroichino.it).
Articolo 2128 – Appalto dipendente e appalto interno
1. Ferma l’azione di cui dispongono in ogni caso i dipendenti dell’appaltatore nei confronti del committente a norma dell’articolo 1676, quando l’appaltatore di un servizio a carattere continuativo operi in condizione di dipendenza economica da una azienda committente, come definita nel comma 2, il titolare di quest’ultima è responsabile in solido con l’appaltatore per tutti i suoi obblighi retributivi nei confronti dei dipendenti che non siano utilizzati esclusivamente in servizi svolti in favore di terzi; inoltre per tutti i suoi obblighi contributivi nei confronti dell’istituto previdenziale competente e per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali sulle stesse retribuzioni. La stessa regola si applica nel caso in cui il servizio a carattere continuativo oggetto dell’appalto sia eseguito all’interno dello stabilimento o degli uffici dell’impresa committente, in riferimento ai rapporti di lavoro inerenti all’esecuzione del servizio stesso. La disposizione contenuta in questo comma non si applica al committente persona fisica che non stipuli il contratto di appalto in funzione dell’esercizio di una attività professionale o imprenditoriale.
2. La condizione di dipendenza economica di cui al comma 1 è quella dell’imprenditore che nell’ultimo semestre abbia tratto più di due terzi del proprio fatturato dai rapporti di appalto con una sola azienda committente. L’appaltatore è tenuto a fornire al committente, dietro sua richiesta, il proprio ultimo bilancio e la documentazione concernente l’andamento del proprio fatturato, nonché bilancio e documentazione del fatturato dei propri subappaltatori.
3. L’obbligazione solidale del committente può essere fatta valere dai creditori entro il termine di decadenza di due anni dalla cessazione dell’appalto.
4. Qualora l’appaltatore in posizione di dipendenza economica, od operante all’interno dell’azienda del committente, conferisca in subappalto il servizio a un terzo che a sua volta versi in posizione di dipendenza economica, il committente e l’appaltatore sono coobbligati in solido con il subappaltatore, secondo quanto disposto nello stesso comma 1.
5. I committenti possono liberarsi della responsabilità solidale di cui ai commi 1 e 4 acquisendo ed esibendo la documentazione scritta dell’adempimento delle obbligazioni retributive, contributive e fiscali da parte dell’appaltatore o del subappaltatore, che questi ultimi sono obbligati a fornire.
6. Le disposizioni contenute in questo articolo si applicano anche ai contratti di trasporto, che si svolgano nelle condizioni di cui al comma 1.
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