Il mercato del lavoro italiano soffre di un difetto diffuso di senso civico, ma anche della diffusione di molti luoghi comuni, cui troppo sovente la stampa contribuisce acriticamente – Qui, pur nel contesto di una intervista del tutto corretta sul piano deontologico, l’esempio di due luoghi comuni che ricorrono con frequenza
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Intervista a cura di Danilo Renzullo pubblicata su il Tirreno il 9 ottobre 2022 – In argomento v. anche Quanti luoghi comuni sul lavoro dei rider
Per Ichino, docente di diritto del lavoro all’università statale di Milano, la legge serve a combattere il lavoro non regolamentato, ma non basta. Occorre anche una nuova cultura del lavoro. Accompagnata da misure, come la riduzione della circolazione del contante, che secondo il giuslavorista porterebbero a contrastare quasi «naturalmente» alcune storture del mercato del lavoro.
Professor Pietro Ichino, il lavoro nero sottopagato e non regolamentato è ancora una piaga. Cosa non ha funzionato nell’ordinamento italiano?
Il senso civico diffuso, nel nostro Paese, è a livelli nettamente inferiori rispetto al resto d’Europa. E a livelli inferiori è anche l’efficienza dei servizi ispettivi.
Leggi, sanzioni e controlli (scarsi) sono strumenti che possono combattere questi fenomeni?
La legge non può tutto. Però una misura efficacissima per combattere il lavoro nero e più in generale l’evasione fiscale ci sarebbe.
Quale?
Ridurre drasticamente la circolazione del contante abbassando progressivamente a 100 euro il limite dei prelievi Bancomat; imporre che qualsiasi salario od onorario venga pagato a mezzo bonifico; riconoscere a qualsiasi persona, anche agli immigrati, il diritto ad aprire un conto corrente bancario gratuito.
Ma siamo in Italia, non in Olanda o in Gran Bretagna.
Però dobbiamo allinearci al nord-Europa. Per questo occorre anche una grande campagna per convincere gli italiani che pagare tutto con la “moneta di plastica”, anche il caffè al bar e il giornale all’edicola, è un atto civico e di grande modernità, mentre l’uso del contante è roba del secolo scorso, che oggi serve solo ai malavitosi
Ieri, a Firenze, un gruppo di 22 lavoratori pachistani impiegati nella filiera del tessile ha protestato contro le grandi griffes a seguito di un licenziamento di massa. Protestavano per paghe più dignitose. Siamo al lavoro e ai lavoratori usa e getta?
Un licenziamento collettivo fa notizia; un’azienda che apre, no. È ora che anche la stampa incominci a fare la sua parte per evitare che si diffonda una visione distorta di quello che accade nel tessuto produttivo.
Intende dire che in Italia c’è anche un problema di cultura del lavoro?
Sì. E che i giornalisti ne hanno qualche responsabilità per il modo selettivo e superficiale con cui diffondono l’informazione sul lavoro.
Ieri a Firenze si sono svolti i funerali di Sebastian Galassi, 26 anni, l’ennesimo rider morto mentre consegnava pizze. Lei ha sottolineato che ci sono troppi luoghi comuni in questo settore e che non bisogna criminalizzare le piattaforme che somministrano questo tipo di lavoro.
Il caso di Galassi è tragico. Ma purtroppo non è una peculiarità del lavoro dei rider: metà degli infortuni sul lavoro accadono sulle strade. E poi, a proposito di luoghi comuni, lo è anche l’espressione “l’ennesimo rider morto mentre consegnava pizze”. Il solo altro caso che conosco riguardava un dipendente amministrativo dell’impresa titolare della piattaforma e non un rider.
Questo settore può rappresentare un’occasione per giovani e giovanissimi o anche per chi, in età avanzata, si trova improvvisamente senza un impiego?
Sì. Ma quello del rider è un lavoro con un bassissimo livello di professionalità e di produttività, quindi anche di retribuzione. La vera protezione per chi vi è coinvolto sta nel garantirgli il percorso efficace verso lavori più produttivi e quindi meglio retribuiti.
Perché in Italia, a differenza di altri Paesi europei, non si riesce a strutturare le prestazioni dei “fattorini del cibo” come lavoro dipendente?
Perché in Italia prevale ancora l’idea che il lavoro dipendente possa essere misurato soltanto sulla base della sua estensione temporale.
Come incide il fenomeno della Great Resignation sul cambiamento del mondo del lavoro?
L’aumento delle dimissioni spontanee è la conferma del fatto che il mercato del lavoro, nel XXI secolo, è un luogo dove sono anche le persone a scegliersi l’impresa, e non solo viceversa.
E il fenomeno dello smart working?
Lo smart working è solo un segmento di lavoro dipendente svolto secondo la struttura del lavoro autonomo.
Il Jobs Act ha precarizzato ancora di più il mondo del lavoro?
Il rischio di licenziamento per i lavoratori è rimasto del tutto invariato, rispetto a prima del 2015. Il lentissimo aumento dei contratti a termine, che restano comunque intorno al 15 per cento del totale della forza-lavoro, era incominciato molto prima del 2015. Ed è comunque un fenomeno che investe tutti i Paesi occidentali.
Chi ci ha guadagnato e chi ci ha perso, dunque, col Jobs Act?
L’Italia, nel suo complesso, ci ha guadagnato perché ha finalmente armonizzato il proprio ordinamento del lavoro a quello del resto della UE. Ci ha perso solo il ceto degli avvocati, cui appartengo: con la legge Fornero del 2012 e il Jobs Act del 2015 il contenzioso giudiziale in materia di licenziamenti e di contratti a termine si è più che dimezzato.