LAVORO: UNA DOMANDA AL M5S SUL PROGRAMMA

Come possono i Cinquestelle riproporre la riduzione dell’orario a parità di retribuzione, già promessa nel 2018, dopo che per una intera legislatura, pur avendo il ministero competente, non ne hanno fatto nulla?

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Fondo pubblicato il 4 settembre 2022 sulla Gazzetta di Parma – In argomento v. anche
La politica del lavoro del M5S: lavorare meno a parità di retribuzione

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La ex-ministra del Lavoro Nunzia Catalfo

Il M5S rinnova la promessa di ridurre per legge l’orario normale di lavoro da 40 a 36 ore settimanali, beninteso a parità di retribuzione: è l’antica parola d’ordine “lavorare meno per lavorare tutti”. Poiché questa stessa idea era presente nel suo programma elettorale del 2018, e nella legislatura che si sta chiudendo i pentastellati sono sempre stati al governo e hanno avuto per ben tre anni il ministero del Lavoro, viene spontaneo chieder loro conto della promessa mancata.

Poiché è assai improbabile che trovino il tempo per rispondere, proviamo noi a spiegare il motivo per cui, al dunque, non se ne è fatto niente. Il fatto è che una riduzione per legge dell’orario di lavoro è stata decisa in Francia nel 1981, poi di nuovo nel 2001. Gli studi in proposito indicano risultati occupazionali intorno allo zero; e ne spiegano i molteplici motivi. Se si costringono gli occupati regolari a lavorare di norma per un’ora in meno, le imprese cercano per prima cosa di far fare loro lo stesso lavoro di prima in un’ora di meno; e se non ci riescono, non assumono certo un disoccupato per quell’ora mancante: semmai chiedono al già occupato un’ora di straordinario. Anche perché si è constatato che se i già occupati lavorano meno, non è affatto agevole sostituirli immediatamente assumendo dei disoccupati: nella maggior parte dei casi, infatti, questi sono tali proprio perché mancano loro le competenze che gli occupati hanno. In altre parole, la causa della disoccupazione oggi non va cercata tanto in una carenza della domanda di lavoro, quanto in un difetto di qualificazione dei disoccupati rispetto alle esigenze del tessuto produttivo.

È probabile che queste cose siano state spiegate al ministro del Lavoro Luigi Di Maio fin dal suo esordio in questa funzione, nell’estate 2018, poi alla on. Nunzia Catalfo che gli è succeduta nel settembre 2019, inducendo entrambi a rinunciare alla preannunciata riduzione autoritativa dell’orario di lavoro. Ma se è così, come si spiega che questo stesso punto programmatico venga riproposto ora pari pari, come se nulla fosse, nel nuovo programma elettorale del M5S?

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