Perché è assurda la pretesa che 50 milioni di italiani capiscano significato e implicazioni di cinque quesiti come quelli che ci sono stati sottoposti – Il motivo per cui, tuttavia, sono andato a votare
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Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 568, 13 giugno 2022 – In argomento v. anche la scheda analitica sul contenuto dei cinque quesiti sui quali si è votato (pochissimo) ieri
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Sono stato tentato fino all’ultimo di non andare al seggio. Per protesta contro l’uso sconsiderato dello strumento referendario: è insensato pretendere che quasi cinquanta milioni di italiani arrivino a capire il significato pratico immediato e le implicazioni mediate di cinque quesiti complessi come questi che ci sono stati sottoposti, difficili anche per uno come me che al diritto e alla giurisdizione ha dedicato una vita di studio. A meno che – ma l’ipotesi è ancor peggiore – l’intendimento dei promotori fosse quello di sollecitare un voto “di pancia” che prescindesse dal contenuto specifico dei singoli quesiti. Non è questa la democrazia diretta; non è questo l’uso corretto della consultazione referendaria. E la responsabilità di coloro che hanno promosso quest’ultima è ancora più grave ove si consideri che, se la Consulta li avesse lasciati fare, tra i quesiti ci sarebbe stato anche quello intitolato all’eutanasia ma formulato in modo tale da legittimare persino un contratto col quale una persona sacrificasse la propria vita in cambio di denaro, o anche solo per gioco in una scommessa.
Alla fine, a votare ci sono andato. Perché a metà giornata il dato sull’affluenza ai seggi era talmente basso (il 5 per cento alle 12!) da poter essere interpretato addirittura come manifestazione di un disinteresse di nove italiani su dieci per una riforma seria della Giustizia; dunque come un messaggio favorevole allo sciopero dei magistrati contro la riforma che la ministra Marta Cartabia sta conducendo in porto tra mille difficoltà. I miei due “sì” e tre “no” hanno voluto significare che, nonostante l’inopportunità di un referendum così male impostato, tuttavia la riforma dell’amministrazione giudiziaria – oggetto di un capitolo del PNRR, sul quale abbiamo assunto un impegno verso la UE – è non solo necessaria ma urgente, per responsabilizzare i singoli magistrati sul corretto e tempestivo esercizio della loro funzione, per dare al Paese un’amministrazione della Giustizia più rapida, più incisiva e più trasparente.
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