NO, innanzitutto, a un cattivo uso della democrazia diretta, quale rischia di essere questa consultazione; nel merito dei cinque quesiti, NO a quello sul “decreto Severino”; SÌ a quello sulla valutazione dei magistrati; SÌ a quello sulla separazione delle carriere, anche se sul punto è meglio la riforma attualmente in discussione in Parlamento
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Scheda tecnica sul contenuto dei cinque quesiti referendari, nella quale indico molto sinteticamente il motivo del mio orientamento su ciascuno di essi – Sul quesito referendario in materia di eutanasia, che la Corte costituzionale ha bocciato nel febbraio scorso, v. Ma quale eutanasia? Il (colpevole) inganno referendario …
Una premessa necessaria
Questo referendum è stato caricato di attese indebite. I suoi promotori vorrebbero farne una sorta di ariete capace di travolgere le resistenze a una seria riforma dell’amministrazine giudiziaria. Lo considero un grave errore. Questo strumento di democrazia diretta funziona solo se il quesito cui gli elettori sono chiamati a rispondere è semplice e comprensibile da chiunque; ma i cinque quesiti cui dovremo rispondere i 12 giugno sono lontanissimi da questi requisiti. Ne deriverà probabilmente una scarsa partecipazione alla consultazione e il non raggiungimento del quorum: ciò che sarà di per sé un male, perché darà un segnale di scarso interesse per una seria riforma della Giustizia. Ma ne deriverà anche il rischio della trasformazione del referendum in un confronto rozzo tra “garantisti” (che dovrebbero votare cinque “Sì”) e “giustizialisti” (che dovrebbero votare cinque “no”). Raccomando dunque a tutti di andare a votare, ma al tempo stesso di sottrarsi a questo gioco politico, nel quale vedo una caricatura pericolosa della democrazia diretta. Come? Rifiutando l’alternativa garantisti vs. giustizialisti ed esprimendo su ciascun quesito un voto il più possibile informato e ragionato.
Il referendum propone l’abrogazione del decreto legislativo 31 dicembre 2012 n. 235 (di cui fu promotrice, in veste di ministro della Giustizia del Governo Monti), che prevede una serie di misure per escludere le persone che hanno commesso determinati reati dalle cariche pubbliche elettive. In virtù di questa legge Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale, nel 2013 venne fatto decadere dalla carica di senatore.
Poiché sono favorevole a questa norma – che, si osservi, prevede la decadenza dalla carica solo a seguito di condanna passata in giudicato, cioè definitiva – in questo referendum voterò NO.
Il referendum propone una modifica dell’articolo 274 del Codice di procedura penale mirata a limitare i casi in cui il giudice penale può disporre l’applicazione delle misure cautelari (custodia preventiva, divieto di lasciare il domicilio, divieto di avvicinarsi alla persona offesa, divieto di esercitare una determinata professione, sospensione della potestà genitoriale, ecc.) prima della sentenza di condanna, in considerazione del pericolo di fuga dell’imputato, del rischio che questi possa inquinare le prove del reato, o del pericolo che la persona «commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede» (dunque, pericolo di reiterazione del delitto).
La limitazione dei casi perseguita dal referendum determinerebbe l’impossibilità per il giudice penale di disporre non solo la misura della custodia preventiva, ma anche altre misure che possono essere indispensabili per proteggere persone minacciate, per esempio figli e mogli di uomini violenti. Per questo motivo voterò NO.
- Separazione della carriera dei magistrati addetti alla funzione requirente da quella dei magistrati addetti alla funzione giudicante (scheda gialla)
Il referendum propone l’abrogazione delle numerose disposizioni che consentono ai magistrati di passare dalla funzione requirente alla funzione giudicante, o viceversa.
La funzione requirente è quella del pubblico ministero, che nel processo penale rappresenta l’accusa. La funzione giudicante è quella del giudice, che è invece chiamato a decidere l’assoluzione o la condanna, del quale deve essere garantita la “terzietà” fra accusa e difesa. Oggi, nel corso della carriera, i magistrati possono passare da una funzione all’altra con alcune limitazioni e non più di quattro volte; ma è in fase avanzata di elaborazione e approvazione in Parlamento la riforma promossa dalla ministra Cartabia, che limita a una sola volta, nell’arco dell’intera vita professionale del magistrato, il passaggio dall’una funzione all’altra.
La mia opinione è che la soluzione prevista dalla riforma in discussione in Parlamento sia tutto sommato migliore rispetto a quella che risulterebbe dal prevalere del SÌ nel referendum: essa infatti produce l’effetto di rendere del tutto eccezionali quei passaggi da funzione requirente a funzione giudicante (che peraltro già oggi sono poco frequenti), evitando così – a mio avviso – in modo più che sufficiente il determinarsi di un intreccio di percorsi professionali fra l’una e l’altra. D’altra parte, non mi sembra che la possibilità di uno (e uno solo) passaggio nell’arco della vita da giudice ad accusatore o viceversa leda significativamente il principio della separazione tra le due funzioni. Sta di fatto, però, che la riforma Cartabia non è ancora legge; e se in questo referendum prevalesse il NO, questo potrebbe pregiudicarne l’iter parlamentare, almeno per questa parte, dando un segnale politico nella direzione che considero sbagliata. Poiché questo è un rischio che credo debba essere prioritariamente evitato, pur con qualche dubbio sono orientato a votare SÌ.
Questo referendum è mirato a far sì che la componente “laica” del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari (costituita principalmente da avvocati e professori universitari di materie giuridiche) non sia esclusa dalle discussioni e dalle valutazioni circa la performance e la professionalità dei magistrati.
I magistrati sono soggetti con cadenza quadriennale a una valutazione dal Csm, sulla base di pareri motivati ma non vincolanti espressi dal Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dai Consigli giudiziari dei vari distretti di Corte d’Appello. Entrambi questi organi hanno composizione mista: oltre ai membri che ne fanno parte per diritto, sono formati, oltre che da alcuni magistrati, anche da avvocati e docenti che partecipano come gli altri membri all’elaborazione di pareri su diverse questioni tecniche e organizzative. Oggi, però, questi ultimi sono esclusi dai giudizi sull’operato dei magistrati, in base ai quali il Csm procede alle valutazioni individuali. Solo i magistrati, dunque, hanno il compito di giudicare gli altri magistrati.
Se vince il “sì”, anche i membri laici avranno diritto di voto in tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari su questa materia.
Questa modifica della norma vigente va nella direzione dell’assoggettamento dell’operato dei magistrati a un controllo complessivo di qualità ed efficienza che ritengo auspicabile; mentre mi sembra molto sopravvalutato, da parte di chi a questa modifica si oppone, il rischio che essa possa produrre una distorsione dell’operato del magistrato nei confronti di un avvocato il cui giudizio potrà in futuro influire sulla sua valutazione. Per questo motivo, pur non considerando questa modifica di grande rilievo, sono orientato a votare SÌ.
Il referendum propone la soppressione del requisito di un certo numero di firme per la candidatura di un magistrato: l’intendimento è quello di ridurre il ruolo delle “correnti” (cioè le associazioni di magistrati) nell’elezione di questa componente del CSM.
La mia perplessità, a questo riguardo, nasce innanzitutto dalla considerazione che, quando l’elettorato attivo è costituito da migliaia di persone, il requisito di un certo numero di firme per la candidatura costituisce un filtro indispensabile per evitare un numero eccessivo di candidati e la conseguente dispersione dei voti. Ritengo comunque che la modifica proposta non avrebbe alcuna rilevante efficacia nel ridurre l’influenza delle “correnti” nell’elezione di questa componente del CSM.
Per questo motivo, pur senza particolare enfasi, sono orientato a votare NO.