LA CAMPAGNA DI FAKE NEWS SULLA LEGGE BIAGI

La sua demonizzazione, scatenata già quando essa era ancora allo stato di progetto, ha costituito una bruttissima pagina della politica italiana: un caso di disinformazione di massa, sulla quale i terroristi hanno pensato bene di motivare un assassinio

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Articolo pubblicato sul dorso bolognese del
Corriere della Sera, 18 marzo 2022, in occasione del ventennale dell’assassinio di Marco Biagi – In argomento v. anche il mio articolo pubblicato sul settimanale Oggi, Quel terribile 19 marzo di vent’anni fa – Qui il link alla locandina-invito alla manifestazione che si svolgerà a Bologna, come ogni anno da vent’anni, il 19 marzo prossimo per ricordare il giuslavorista trucidato dalle Brigate Rosse

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Marco Biagi

La legge Biagi del 2003 è stata attaccata duramente da sinistra, nel decennio successivo alla sua emanazione, non per i suoi contenuti, ma soltanto perché essa violava una regola non scritta, in vigore nel nostro Paese da mezzo secolo: quella per cui in materia di lavoro non si poteva legiferare senza un preventivo accordo con tutte le confederazioni sindacali maggiori (a trasgredire quella regola non scritta ci aveva provato anche Bettino Craxi nel 1984, con l’accordo di San Valentino, e allora PCI e Cgil avevano tentato – senza successo – di sventare l’oltraggio promuovendo il referendum abrogativo).

I contenuti della legge Biagi, in realtà, si collocavano in perfetta continuità con quelli del “pacchetto Treu”: la riforma varata dal Governo Prodi sei anni prima: non per caso Marco Biagi era stato stretto collaboratore del ministro del Lavoro sia quando quella carica era rivestita da Tiziano Treu, nel 1996-97, sia quando essa era stata assunta da Roberto Maroni, nel 2001. La nuova legge perfezionava il meccanismo dell’accreditamento delle agenzie per l’impiego, la cui abilitazione a svolgere attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro era già stata prevista dalla legge n. 467/1997 (la stessa che aveva abrogato il regime di monopolio statale dei servizi di collocamento); perfezionava la disciplina della fornitura di lavoro da parte delle agenzie accreditate, che era già stata prevista dalla legge n. 196/1997; apportava soltanto marginali ritocchi alla disciplina del lavoro a tempo parziale, che era stata già fortemente snellita da questa legge appartenente al “pacchetto Treu”.

Nella campagna denigratoria contro la legge Biagi è stata diffusa la diceria secondo cui essa avrebbe enormemente dilatato le possibilità di assunzione con contratti di lavoro precari (si parlò allora, addirittura, di “precarizzazione selvaggia”). In realtà la legge Biagi non aveva istituito alcun tipo di contratto di lavoro che non esistesse già prima, tranne il cosiddetto “staff leasing”, ovvero una forma di organizzazione del lavoro in somministrazione che prevede l’assunzione a tempo indeterminato, per di più con una tutela rafforzata contro la possibilità del licenziamento collettivo. Quanto ai contratti di collaborazione continuativa autonoma (i “co.co.co.”), la loro previsione risaliva a una legge del 1959 ed era stata confermata dalla riforma del processo del lavoro del 1973: la legge Biagi non soltanto non li aveva introdotti, ma ne aveva ristretto drasticamente la fruibilità, limitandola al caso del “contratto a progetto” e consentendo al giudice – cosa in precedenza impossibile – di controllare la sussistenza del requisito introdotto.

Si può ben dire, in conclusione, che la demonizzazione della legge Biagi, scatenata già quando essa era ancora allo stato di progetto, ha costituito una bruttissima pagina della politica italiana: un caso di disinformazione di massa, sulla quale i terroristi hanno pensato bene di motivare un assassinio.

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