Il livello di occupazione è fermo, la ripresa rallenta, ma cresce la stabilizzazione di assunzioni a termine – Il Recovery Plan potrebbe permettere un balzo in avanti
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Numero 124 del bollettino Mercato del Lavoro News, organo della Fondazione Anna Kuliscioff, 11 marzo 2022, a cura di Claudio Negro – In argomento v. anche il n. 118 dello stesso bollettino, Perché il contratto a termine non è necessariamente sinonimo di precarietà .
L’osservatorio ISTAT “Occupati e Disoccupati” con i dati di gennaio 2022 non mostra novità significative, ma alcuni particolari meritano di essere presi in considerazione. Vediamo: il livello di occupazione resta sostanzialmente fermo, come già negli ultimi due mesi del 2021. Si tratta del segnale che la corsa alla ripresa ha rallentato nell’ultimo scorcio del 2021? In realtà il PIL atteso per il 2022 è superiore al 4%, e a Gennaio l’aumento già acquisito per l’anno è già del 2,4%. Tuttavia l’indice di fiducia delle imprese continua a scendere, come già a dicembre, mentre l’inflazione sale. Non è fuori luogo pensare ad un rallentamento della crescita nei prossimi mesi, anche drammatico se gli scenari di guerra dovessero diventare dominanti.
In ogni caso, e questo è il primo particolare che vale la pena osservare, il sostanziale consolidamento dei numeri dell’occupazione (appena 7.000 unità in meno del mese di dicembre) vede però una redistribuzione al suo interno: scendono gli occupati a termine (meno 32.000) e aumentano quelli a tempo indeterminato (più 23.000). Impossibile, finchè non verranno comunicati i dati delle Comunicazioni Obbligatorie, stabilire se si tratti di nuove assunzioni o di stabilizzazioni di contratti a termine, ma è molto probabile che in maggioranza si tratti di questa seconda ipotesi; in ogni caso è un segnale abbastanza rilevante che nelle imprese si inizia a pensare ad un consolidamento delle posizioni lavorative acquisite più che ad un’ulteriore crescita. Il che, se è vero, è un segnale per un verso positivo ma d’altra parte sembra alludere ad un tetto di occupazione ormai raggiunto, al netto degli apparentemente incomprimibili posti vacanti (quasi 350.000 a fine 2021).
Un altro indizio che sia possibile una stasi occupazionale è nella combinazione del numero di inattivi (più 73.000) e dei disoccupati (meno 51.000). Dati che indicano come meno persone cerchino attivamente lavoro (inattivi) e di conseguenza diminuiscano i disoccupati (coloro che cercano lavoro e non lo trovano), in conseguenza di una minore aspettativa per gli inoccupati di trovare lavoro.
Per capire se le cose stiano effettivamente così occorre aspettare ulteriori dati sulle ore lavorate (pro capite e monte ore), sulla produzione industriale e sui flussi di mano d’opera avviamenti-cessazioni) anziché sullo stock.
Restano comunque sull’orizzonte due questioni problematiche: le trasformazioni dell’automotive che rischiano di cominciare a produrre contraccolpi nell’occupazione di tutta la filiera; la progressiva digitalizzazione che determinerà un crescente bisogno di nuove figure professionali, per il quale va ancora sperimentato se gli strumenti di aggiornamento formativo (in primis il Fondo Nuove Competenze) siano adeguati.
Infine è opportuno tener presente che i significativi investimenti del Recovery Plan potrebbero avere un significativo impatto sull’occupazione nel comparto delle costruzioni, della sanità e della pubblica amministrazione.
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