LA SETTIMANA CORTA DEI BELGI E I CONFINI DEL LAVORO DIPENDENTE

La proposta del Governo di Bruxelles di consentire la ripartizione dell’orario normale in quattro giorni è solo una parte, e probabilmente non quella di maggiore impatto, di un pacchetto di misure che riguarderanno anche le nuove forme di organizzazione, nelle quali il tempo di lavoro non ha più rilievo

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Articolo pubblicato il 18 febbraio sul sito 
lavoce.info – In argomento v. anche il mio articolo sull’accordo interconfederale in materia di smart working 7 dicembre 2021, Un protocollo poco innovativo, ma non inutile

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Pierre-Yves Demargne, ministro del Lavoro belga

La settimana lavorativa di quattro giorni

La proposta dal Governo belga della “settimana corta a parità di retribuzione” ha suscitato molto interesse; ma il clamore è prematuro e probabilmente anche sproporzionato rispetto alla portata effettiva della notizia. Innanzitutto perché si tratta, appunto, ancora soltanto di una proposta in attesa di essere tradotta in un disegno di legge, che conterrà diverse altre misure in materia di lavoro e che dovrà essere discusso e approvato dal Parlamento; ma anche, soprattutto, perché la proposta, esaminata più da vicino, risulta assai meno innovativa di quanto possa apparire a prima vista.

Il ministro del Lavoro Pierre-Yves Demargne ha spiegato l’iniziativa del Governo in questi termini: il lavoratore potrà chiedere di concentrare il proprio orario settimanale normale – oggi di 38 ore, secondo la legge belga – in quattro giorni, impegnandosi dunque a lavorare per una media di nove ore e mezza al giorno, restando la retribuzione invariata; il datore di lavoro potrà respingere questa richiesta, ma soltanto fornendo solide ragioni di carattere organizzativo a sostegno del rifiuto, ragioni che presumibilmente dovranno essere oggetto di un vaglio giudiziale. Si può dunque osservare subito che la proposta del Governo belga non ha per oggetto una riduzione dell’estensione temporale della prestazione lavorativa, bensì soltanto una modifica della sua collocazione temporale nell’arco della settimana, che dovrà comunque di regola essere oggetto di un accordo tra datore e prestatore di lavoro.

La portata effettiva di questa proposta del Governo belga si riduce ulteriormente se si considera l’evoluzione che sta subendo gran parte del lavoro inserito in una organizzazione aziendale. Esso è di fatto sempre meno assoggettato a un rigido coordinamento spazio-temporale, perché il suo coordinamento con il resto dell’organizzazione aziendale è sempre più diffusamente assicurato dal collegamento in rete a mezzo di un terminale mobile: il “lavoro agile” o smart working costituisce ormai una forma normale di organizzazione del lavoro dipendente, per lo più – ma non sempre – in alternanza con la forma di organizzazione tradizionale. È, inoltre,  in costante aumento la frazione degli occupati il cui inserimento nell’organizzazione aziendale si realizza mediante il collegamento a distanza con una piattaforma digitale che mette in contatto diretto il fornitore di un servizio con il fruitore: lo stesso pacchetto di misure messo a punto dal Governo belga contiene nuove disposizioni in riferimento al c.d. platform work e la Commissione UE ha aperto il cantiere di una direttiva per la promozione e il coordinamento delle discipline nazionali di questa forma nuova di organizzazione del lavoro.

La distinzione sempre più evanescente tra lavoro subordinato e autonomo

La realtà è che – se si eccettuano le attività direttamente manifatturiere e alcuni servizi come quelli di custodia e vigilanza, reception o centralino telefonico, magazzino – il coordinamento spazio-temporale, che per l’intero secolo passato ha costituito un tratto essenziale del lavoro subordinato, sta perdendo peso effettivo ogni giorno che passa nell’organizzazione del “lavoro nell’impresa”. E con esso sta perdendo peso l’orario di lavoro, inteso sia come estensione temporale che misura la quantità di lavoro, sia come collocazione temporale necessaria per il coordinamento della prestazione con il resto dell’attività aziendale. Per questo aspetto sta diventando nei fatti sempre più evanescente la distinzione fenomenologica tra il lavoro autonomo e gran parte del lavoro dipendente; al tempo stesso sta diventando sempre meno cruciale la disciplina dell’estensione e della collocazione temporale della prestazione lavorativa dipendente. Viceversa, sempre più si avverte la necessità di nuove tecniche normative – che spetta soprattutto alla contrattazione collettiva elaborare e sperimentare – per la protezione di chi lavora in posizione di sostanziale dipendenza da un’impresa dallo sfruttamento eccessivo sempre in agguato, per un verso, ma anche per la difesa del riposo giornaliero, settimanale e annuale dall’“assedio” di un lavoro che non ha più confini temporali precisi.

L’evanescenza sempre più marcata della linea di confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, poi, riproporrà con sempre maggior forza la necessità di attribuire valore, ai fini dell’applicazione almeno delle protezioni essenziali dell’ordinamento lavoristico, alla nozione di “dipendenza economica” del prestatore dall’impresa.

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