APPRENDISTATO DEL REBUS – 12. IL DIVIETO DELLA STESSA RADICE LESSICALE IN PRIMA LETTURA E SOLUZIONE

La regola generale la proibisce; però non è così assoluta come sembra: con le lettere di una parola ben può costruirsene un’altra cha abbia la stessa origine etimologica, ma un significato profondamente diverso

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Dodicesima lezione, 24 gennaio 2022 – Nell’epigrafe della penultima lezione si trovano i link a ciascuna delle lezioni precedenti

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Appunto di Giancarlo Brighenti per un collaboratore, 1980, tratto da L’estro e il maestro. Omaggio a Briga, a cura de La Settimana Enigmistica, 2006

Giancarlo Brighenti, allora responsabile della sezione rebus della Settimana Enigmistica, in un appunto del 1980 avvertiva un collaboratore di questa regola: tra una parola che compare nella prima lettura (“chiave”) e una che compare nella soluzione, costruita per mezzo del materiale testuale fornito dalla prima, non può esserci una radice etimologica comune e quindi una parte di significato comune. Il Briga avverte che la comunanza di radice e di significato, indicata nel linguaggio degli addetti ai lavori col termine equipollenza, “è un errore tecnico rebussistico da evitare nel modo più assoluto. Quando una parola deriva da un’altra – es. forza leonina (e si fa leoni) impuntarsi (e si fa punta) con la stessa radice etimologica non va. È accettabile invece il netto bisenso: es. diligenza, credenza, folle, ecc.”.

A questo proposito ho osservato però a suo luogo che «l’origine etimologica lontana comune a due parole […] non impedisce che una delle due compaia in prima lettura e l’altra nella soluzione, se i rispettivi significati sono molto diversi e la divaricazione tra di essi è antica. Così, per esempio, “commessa” può comparire in prima lettura con il significato di “addetta alle vendite in un negozio”, poi nella soluzione con quello di “ordine di fornitura di un bene o servizio”, nonostante entrambi i significati siano riconducibili all’etimo latino cum mittere-missum. Non mancano, ovviamente, i casi dubbi. […] Il problema può essere sintetizzato così: in alcuni casi, come quelli di “commessa”, “credenza”, “diligenza”, “lega”, “legge”, “mostro” o “pesto”, le parole simili o identiche nella composizione letterale e con un’origine etimologica comune, ma con due significati molto allontanatisi fra loro, possono essere viste come gli estremi dei due bracci di una Y, dove il gambo rappresenta l’origine delle due parole, cioè l’etimo da cui esse derivano. La possibilità che in un rebus una di queste parole compaia con un significato in prima lettura e con l’altro significato nella soluzione […] dipende… dalla lunghezza delle braccia, quindi dalla divaricazione dei significati, rispetto alla lunghezza del gambo della Y: se le braccia sono troppo corte, quindi il punto di divaricazione dei loro percorsi evolutivi è troppo vicino, non si può. Ma quale sia il limite, l’esatto confine, a quanto mi consta nessuno lo ha ancora stabilito in modo preciso.»

Esaminiamo, per esempio, questo rebus di Cantachiaro (Michele Farano), pubblicato a suo tempo sulla Settimana Enigmistica e ripreso ne L’ora desiata vola (dove compare col n. 70). Osserviamo preliminarmente che manca qualsiasi grafema: è quello che nel linguaggio tecnico viene indicato come un “rebus muto”, nel quale cioè la prima lettura si trasforma nella soluzione senza che alle “chiavi” si aggiungano delle lettere (indicate da grafemi) ma solo in virtù della diversa cesura tra le parole.

Qui la prima chiave è chiaramente costituita dai due religiosi; e se si considerano le capanne primitive in secondo piano, è facile giungere alla conclusione che essi sono probabilmente dei “missionari”. I due portano tra le braccia dei solidi geometrici; atteggiamento che nei rebus assai frequentemente si esprime semplicemente mediante la preposizione “con” seguita dall’oggetto o gli oggetti tenuti in mano o recati: dunque “con solidi”. A questo punto la difficoltà della soluzione sta soltanto nella necessità dell’inversione tra soggetto e complemento, per ottenere la prima lettura suscettibile di trasformarsi nella soluzione mediante la diversa cesura tra le parole:

Con solidi missionari = Consoli dimissionari.

Per tornare al problema del divieto di “equipollenza” tra parola della prima lettura e parola della soluzione, dal quale siamo partiti, osserviamo che anche la parola “missionario” viene dalla radice latina mittere-missus-missio; e questa è la stessa radice da cui derivano le parole “dimissioni” e “dimissionario”, nelle quali alla radice missio si aggiunge il prefisso “de” che indica allontanamento, abbassamento o privazione. Ciononostante la Settimana Enigmistica – i cui criteri selettivi sono severissimi – ha approvato e pubblicato questo rebus: donde la conferma che, nonostante l’origine etimologica comune, è consentito utilizzare in prima lettura la parola “missionari” per costruire nella soluzione la parola “dimissionari”, perché la divergenza dei significati delle due parole è molto netta e molto antica. Ovvero: le due braccia della Y sono sufficientemente divaricate e lunghe rispetto al suo gambo.

Dunque il divieto della radice etimologica comune, tra chiave appartenente alla prima lettura e parola appartenente alla soluzione non è così assoluta, come potrebbe apparire dalla regola enunciata dal grande Briga. Del resto, due degli stessi bisensi da lui citati nell’appunto del 1980 riportato sopra – diligenza e credenza – mostrano che una una radice etimologica lontana comune non è vietata: ciascuno di essi ha, sì, due o più significati tra loro diversissimi, ma anche quei significati diversi derivano pur sempre da una radice etimologica comune: il latino diligo, cioè “amo”,  nel primo caso, e il latino credo, nel senso di “affido”, nel secondo. Il punto è che i due o più significati hanno incominciato a separarsi tra loro in epoca molto lontana, al punto che quell’origine comune si perde nella notte dei tempi; dunque la presenza del bisenso, in due significati tra loro molto lontani, nella prima lettura e nella soluzione del rebus diventa ammissibile. La questione sta tutta nell’entità della divaricazione e della lunghezza delle due braccia della Y.

Su questo tema si vedano anche i pareri di due illustri rebussisti riportati in un articolo pubblicato ultimamente sul sito dell’Associazione Rebussistica Italiana. Tornerà su questo tema anche Guido Iazzetta, direttore de La Sibilla, che in proposito proprio in questi giorni mi ha scritto: “L’equipollenza non va considerata confrontando l’etimologia, bensì l’uso odierno dei vocaboli da studiare. Mi spiego: BALENA e BALENO hanno la stessa radice etimologica (come i famosi arma e armadio), ma non per questo sono equipollenti”.

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