Fissare uno standard minimo europeo di trattamento del lavoro su piattaforme potrebbe essere l’occasione per introdurre una figura intermedia tra lavoro dipendente e autonomo – Ma la proposta di direttiva lascia troppo margine di manovra agli Stati
.
Articolo di Lucia Valente, docente di Diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma, pubblicato sul sito lavoce.info il 16 dicembre 2021 – In argomento v. anche Il ruolo insostituibile della contrattazione per risolvere la questione dei rider (ivi i link ad altri miei interventi precedenti sullo stesso tema) .
.
Nuove regole per distinguere il lavoro dipendente da quello autonomo
La proposta di direttiva europea sulle condizioni del lavoro svolto mediante piattaforma digitale fornisce un primo contributo per una nuova classificazione.
La Commissione, dopo un faticoso processo di consultazione delle parti sociali durato più di un anno, prende atto dell’attenuazione della tradizionale linea di demarcazione tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi e anche della crescente eterogeneità tra i lavoratori autonomi. E punta a riconoscere tutele minime a una categoria di lavoratori particolarmente vulnerabili, fin qui prevalentemente inquadrati come autonomi: i rider. Di regola, la piattaforma organizza il lavoro tramite dispositivi elettronici e abbina la domanda del servizio con l’offerta di manodopera da parte di un soggetto disponibile a svolgere la consegna. Il servizio può includere altre attività, come la gestione dei pagamenti da parte degli acquirenti.
La direttiva, partendo dai procedimenti amministrativi e giudiziari che hanno interessato diversi stati membri, tra cui il nostro, stabilisce che se un rapporto di lavoro è subordinato o no dipende dal modo in cui si è svolta effettivamente la prestazione e dall’intensità del controllo esercitato dalla piattaforma, e non dal tipo di contratto stipulato dal lavoratore. Nessuna rilevanza ha invece la durata del rapporto: anche uno di brevissima durata può essere qualificato come subordinato.
Inoltre, conta il diritto nazionale e la giurisprudenza della Corte di giustizia che, però, non si è mai interessata a tracciare il confine tra subordinazione e autonomia, ma si è sempre limitata a delimitare la sfera di operatività di alcune norme comunitarie: in particolare quelle sulla libera circolazione dei lavoratori.
La proposta di direttiva intende agevolare il lavoratore per quel che riguarda l’onere della prova della subordinazione, di regola molto difficile. Per vincere la causa basterà dimostrare la sussistenza di almeno due di cinque criteri, attraverso i quali la piattaforma può esercitare il suo potere di controllo sulla prestazione: le modalità di determinazione del compenso; l’imposizione di obblighi riguardanti la cura del proprio aspetto, la condotta nei confronti del destinatario del servizio o l’esecuzione del lavoro; il fatto che l’esecuzione del lavoro o la qualità dei risultati del lavoro siano oggetto di controllo diretto, anche per via elettronica; l’imposizione di limiti alla libertà di organizzare il proprio lavoro, in particolare la discrezionalità di scegliere l’orario di lavoro o i periodi di assenza, di accettare o rifiutare compiti o di avvalersi di subappaltatori o sostituti; l’imposizione di limiti alla possibilità del prestatore di crearsi una base di clienti propri o di svolgere prestazioni lavorative per terzi. A seconda della pervasività del controllo, scatta la presunzione di subordinazione e, in questo caso, la piattaforma è considerata come datore di lavoro: al lavoratore spettano tutti i diritti che tale status comporta, come previsto dalla legge, dai contratti collettivi e dalle prassi nazionali e dell’Unione per quel che riguarda per esempio i contributi previdenziali e le tutele lavoristiche nel rapporto di lavoro. Ovviamente, la piattaforma ha la possibilità di provare che non sussiste alcun rapporto di lavoro subordinato.
Nuove protezioni estese a tutto il settore
In aggiunta alle tutele previste per il lavoro subordinato da ogni stato membro, il progetto di direttiva impone in ogni caso la trasparenza dell’algoritmo. Il lavoratore, sia autonomo sia subordinato, ha il diritto di conoscere sin dal primo giorno di lavoro come l’algoritmo procede a controllare o valutare le prestazioni lavorative e a formulare il cosiddetto ranking reputazionale; ha inoltre il diritto di conoscere modalità e criteri di distribuzione degli incarichi di lavoro nonché di determinazione dei guadagni, di protezione della sicurezza e salute sul lavoro, di determinazione dell’orario di lavoro, delle promozioni e dell’eventuale sospensione o la chiusura dell’account personale da parte della piattaforma.
È garantita la riservatezza dei dati personali e un adeguato sistema di protezione della salute e sicurezza sul lavoro che tenga anche conto dei rischi sulla salute e sullo stress derivante dai sistemi automatizzati di monitoraggio e decisionali; la protezione contro possibili rischi di infortuni sul lavoro e contro i rischi psicosociali ed ergonomici. Nessun dato può essere trattato in riferimento allo stato emotivo o psicologico del lavoratore della piattaforma o al suo stato di salute che non rilevi ai fini della prestazione, né si possono trattare i dati personali in relazione a conversazioni private, compresi gli scambi con i rappresentanti dei lavoratori della piattaforma; o raccogliere dati personali al di fuori del tempo di lavoro. Le disposizioni sulla gestione algoritmica connesse al trattamento dei dati personali devono applicarsi anche ai lavoratori (correttamente inquadrati come) autonomi e alle altre persone che svolgono un lavoro su piattaforma, anche se non titolari di un rapporto di lavoro. Le organizzazioni sindacali e le autorità nazionali devono avere accesso ai dati dell’algoritmo.
Un’opzione ancora aperta: quella del tertium genus
Ora la proposta di direttiva deve passare il vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio. Non è detto che al termine si arrivi ad avere una legislazione protettiva adeguata che valga per la galassia di lavoratori che operano tramite piattaforma e per tutti gli stati membri, perché la direttiva non sembra in grado di risolvere tutti i problemi di classificazione dei lavoratori delle piattaforme nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Meglio sarebbe stato introdurre a livello di Unione un tertium genus tra quelli di lavoratore subordinato e di lavoratore autonomo, per riempire in modo adeguato il vuoto creato dalla rapida trasformazione digitale del tessuto produttivo. Ma può farlo il legislatore italiano, dando seguito alle indicazioni di quella parte della nostra giurisprudenza, che, con riferimento al caso dei rider Foodora, aveva ipotizzato l’esistenza di una figura intermedia tra quelle del lavoro subordinato e della collaborazione autonoma.
.
.