SE IL LINGUAGGIO DELLE POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO SI FA FUMOSO

Nei documenti ministeriali più recenti in tema di politiche attive del lavoro,  il riferimento all'”occupazione” (ovvero allo sbocco occupazionale effettivo ottenuto, come indice di buona qualità dell’intervento) sembra essere sostituito sempre più difffusamente dal riferimento all'”occupabilità” del beneficiario, che è concetto assai meno stringente

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Lettera di Danilo Guglielmetti, senior training director di GiGroup, pervenuta il 22 ottobre 2021 – Segue la mia risposta – Sul tema della rilevazione rigorosa del tasso di coerenza tra formazione impartita o assistenza fornita a chi cerca lavoro e sbocchi occupazionali effettivi v.  il mio intervento del 24 aprile scorso
Che cosa fare oggi per proteggere e promuovere il lavoro

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Buongiorno Professore. Con l’avvicinarsi dell’ erogazione dei fondi per la formazione, ho notato che la parola “occupabilità” prende sempre più spazio rispetto alla parola “occupazione”, si dice cioè che gli interventi formativi devono puntare ad aumentare la occupabilità del discente/lavoratore o ex lavoratore.
In sé, questo è ineccepibile; con il “solo” difetto di essere scarsamente misurabile e presumibilmente misurato.
Un’esperienza positiva è stata la “dote unica lavoro”  DUL della regione Lombardia perché  aveva il pregio di parametrare il rimborso o l’ammontare delle risorse da destinarsi ad ogni operatore, all’effettivo Placement delle persone prese in carico : ti pago una parte a processo (minimale) e il grosso solo a risultato ottenuto (l’occupazione appunto).
Qualsiasi corso di formazione aumenta l’occupabilità della risorsa: se faccio un corso di sommellier (o di solutore di rebus ????), innegabilmente avrò aumentato la mia occupabilità, ma di quanto? come posso misurarlo?? con uno e un solo strumento: il placement, l’occupazione.
Mi preoccupa che sul termine generico di occupabilità possa esserci una larga e non disinteressata convergenza da parte di molti soggetti del mercato del lavoro.
Grazie per l’attenzione, e mi scuso sin d’ora se lei ha già scritto in questo senso e me lo sono perso,
Danilo Guglielmetti

Mi sembra che D.G. abbia proprio ragione. Dello slittamento lessicale a cui questa lettera fa riferimento costituisce un nuovo esempio assai significativo il decreto interministeriale approvato il 28 settembre 2021 e in attesa di emanazione all’esito di un’intesa Stato-Regioni raggiunta assai difficoltosamente: un testo prolisso e assai poco incisivo, nel quale il termine “occupabilità” compare a ogni piè sospinto, ma manca qualsiasi riferimento alla rilevazione del tasso di coerenza tra formazione impartita (o assistenza fornita) e sbocchi occupazionali effettivi: ovvero al solo indice attendibile di cui disponiamo dell’efficacia dei servizi erogati a chi cerca lavoro. Nei documenti governativi in tema di politiche attive del lavoro questo slittamento lessicale ha un’implicazione pratica per nulla positiva sul versante dell’organizzazione del rapporto di cooperazione tra servizio pubblico e agenzie private per l’impiego seriamente.   (p.i.)

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