L’obbligo della certificazione imposto per legge è la conseguenza dell’incapacità del sistema delle relazioni industriali di adottare autonomamente la misura necessaria per far fronte all’emergenza sanitaria nelle aziende (e della sua acritica sudditanza nei confronti di una posizione gravemente errata dell’Autorità per la Privacy)
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Intervista a cura di Alessandra Ricciardi, pubblicata su Italia Oggi il 14 ottobre 2021 – In argomento v. anche, tra i miei numerosi interventi e interviste, l’Appello a Draghi sulla vaccinazione nelle scuole, dell’estate scorsa
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Domanda. Professore, domani scatta l’obbligo di green pass per accedere ai luoghi di lavoro pubblici e privati. Contemporaneamente il ministro Brunetta ha rimandato in presenza i dipendenti pubblici. È finita la stagione dello smart working?
R.No: al contrario, si può dire che la vera stagione del lavoro agile incomincia ora.
D. In che senso?
R. Finora, se si esclude una minoranza di casi, nelle amministrazioni pubbliche non si è visto del vero smart working: basti considerare che nella maggior parte dei casi non si dava la possibilità di accesso da remoto al gestionale né ai data-set dell’amministrazione. Ora invece, finalmente, si incomincia a ragionare su come sperimentare il lavoro agile per davvero, partendo però dalle situazioni in cui ce ne sono effettivamente i presupposti indispensabili.
D. Vuole dire che fin qui il lavoro agile è stato sinonimo di fannullismo nella pa?
R. Non ho detto questo: nel 2020 si è fatto fronte a una gravissima emergenza sanitaria come si è potuto. Se moltissimi dipendenti da casa non hanno lavorato, non è per colpa loro: è perché non ce n’erano le condizioni; altri hanno fatto alla benemeglio quello che hanno potuto. L’errore è stato chiamarlo smart working.
D. Cosa è mancato perché, complice l’esperienza della pandemia, nascesse un nuovo modello di organizzazione del lavoro, più attento ai risultati e meno al luogo fisico della prestazione?
R. I requisiti indispensabili quattro. Del primo, costituito dall’accessibilità da remoto del gestionale e dei data-base dell’amministrazione, ho già detto. Poi occorre che la persona interessata abbia la disponibilità del pc adatto e di una buona connessione alla rete. Ma occorre anche la disponibilità di uno spazio adatto per svolgere il proprio lavoro in modo professionale, sufficientemente isolato rispetto alla vita e alle attività degli altri familiari.
D. E il quarto requisito?
Un rapporto di lavoro strutturato in modo che la prestazione lavorativa possa non essere misurata solo in relazione all’estensione temporale, ma anche in relazione al risultato. Nel settore pubblico quest’ultimo requisito è, per lo più, di fatto lontanissimo dall’essere soddisfatto.
D. Torniamo all’obbligo del green pass: un’imposizione così ampia, che riguarda tutti i lavoratori, ha precedenti?
Certo che sì. Sono più di una dozzina le malattie infettive per debellare le quali lo Stato impone la vaccinazione a tutti i cittadini: basti pensare alla poliomielite, alla difterite, alle malattie esantematiche. E in questi casi è stato imposto a tutti i cittadini un obbligo, non soltanto una condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro.
D. Appunto: i sindacati confederali rimproverano a Governo e Parlamento di aver scelto la via indiretta del green pass, invece che la via maestra dell’obbligo generalizzato.
R. Cgil Cisl e Uil sono le ultime a poter muovere questa critica: esse infatti quest’estate hanno lasciato cadere, colpevolmente e senza alcun motivo plausibile, la proposta di Confindustria di aggiornare i protocolli del marzo 2020, introducendo nei luoghi di lavoro l’obbligo per tutti di vaccinarsi, in ottemperanza agli articoli 2087 del Codice civile e 15 e 279 del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Come possono ora credibilmente imputare al Governo un eccesso di timidezza su questo terreno?
D. Landini ha sostenuto che l’obbligo di vaccinazione può essere imposto soltanto da una legge, non è materia contrattuale.
R. Ma la previsione legislativa c’è già, e anche molto specifica, nelle norme che ho appena citato. Al punto che la vaccinazione, non appena resa effettivamente disponibile a tutti, avrebbe potuto e dovuto, sulla base di quelle norme, essere richiesta direttamente dal datore di lavoro. Infatti, molte imprese hanno avuto il coraggio di farlo, precedendo il decreto-legge n. 127/2021. Questo coraggio lungimirante, invece, le grandi confederazioni sindacali non l’hanno avuto.
D. Perché, allora, la maggior parte delle imprese non lo ha fatto di propria iniziativa?
R. Per via dello sciagurato intervento del Garante della Privacy, che si è messo di traverso fin dall’inizio, sostenendo il divieto per il datore di lavoro di chiedere al dipendente l’informazione circa il suo essere vaccinato o no. Dimenticando la norma generale che esenta dalla disciplina della protezione dei dati personali qualsiasi flusso di informazioni tra le parti di un contratto, strettamente funzionale all’attuazione del rapporto contrattuale stesso.
D. Se è così, perché il Governo ha imboccato la strada indiretta del green pass, invece che quella dell’obbligo generale? Ha ragione chi per questo accusa il Governo di ipocrisia?
R. Se fosse stato adottato l’obbligo generalizzato, sicuramente avremmo sentito proteste ancora più vibrate perché si sarebbe esteso l’obbligo di vaccinarsi anche per chi vive isolato e non espone altri al rischio di contagio. La norma che richiede il green pass è meno intrusiva, meno limitativa della libertà degli individui. Può infatti riassumersi così: “libero chiunque di non vaccinarsi; ma non di contagiare i compagni di lavoro: se vuoi esercitare questa tua libertà, fai pure ma resta a casa tua, o trova un’occupazione che ti consenta di lavorare per conto tuo, in isolamento”. Nessuna ipocrisia, dunque, ma un contemperamento ragionevole tra libertà individuale e protezione della salute di tutti.
D. Obiettano, però, che il vaccino è ancora in fase sperimentale.
R. Sì: una sperimentazione che ha già coinvolto quasi tre miliardi di persone, con un esito universalmente e univocamente positivo: è ormai dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che i rischi da Covid-19 sono incomparabilmente più gravi dei rischi di effetti collaterali di uno qualsiasi dei vaccini utilizzati oggi in Italia. Detto questo, credo anch’io che l’anno prossimo, se la pandemia non potrà considerarsi debellata, sarà bene arrivare all’obbligo di vaccino per tutti, come per poliomielite, difterite e le altre malattie infettive. Tra l’altro, l’anno prossimo la modestissima incidenza degli effetti collaterali indesiderati del vaccino anti-Covid sarà ancora più evidente di quanto non sia già oggi.
D. Per gestire il green pass per i lavoratori privi di vaccinazione servirebbero un milione di tamponi al giorno. C’è chi chiede, in politica lo fa la Lega e anche M5s, che se ne faccia carico lo Stato.
R. Ecco, questa rivendicazione potrebbe costituire un motivo in più per il passaggio dal regime del green pass all’obbligo generalizzato di vaccinazione, almeno per chi lavora. Non possiamo permetterci di sperperare il denaro pubblico.
D. I tamponi gratuiti, però, potrebbero forse servire a disinnescare le proteste di piazza.
R. No. La guerriglia dei giorni scorsi nei centri di Roma e di Milano non è legata alla rivendicazione dei tamponi gratuiti: è l’opera di qualche centinaio di estremisti violenti di destra, che cercano solo l’occasione di una protesta di piazza per menare le mani e fare danni, sperando di apparire molto più numerosi di quello che sono.
D. Vede il rischio di una escalation eversiva?
Qualche rischio c’è, ma non per via del green pass.
D. Per via di che cosa allora?
R. Le occasioni più gravi di tensione sociale su cui le forze eversive potrebbero far leva, in prospettiva, sono il rincaro delle bollette del gas e dell’elettricità, la fiammata inflattiva che si sta profilando all’orizzonte, gli infarti di un mercato del lavoro nel quale centinaia di migliaia di persone devono affrontare la perdita della vecchia occupazione, perantro del tutto fisiologica, mentre enormi giacimenti occupazionali restano inutilizzati.
D. Non vede neppure, nei disordini di questi giorni, l’anticipo di quell’autunno caldo che alcuni avevano previsto con la fine degli ammortizzatori sociali su vasta scala legati alla pandemia?
R. La temuta ondata di licenziamenti non c’è stata. E comunque il problema più grave non sta tanto in qualche possibile decina di migliaia di licenziamenti in più rispetto all’ordinario, quanto nelle centinaia di migliaia di posti che restano scoperti perché le imprese non riescono a trovare le persone che cercano. La debolezza del lavoro non è causata tanto dalla carenza della domanda di manodopera, quanto dalla carenza dei servizi al mercato del lavoro che dovrebbero creare i percorsi sicuri necessari per mettere in comunicazione la domanda con l’offerta.
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