GREEN PASS: L’ACCUSA DI IPOCRISIA MOSSA ALLA NUOVA NORMA

Questa critica alla scelta governativa di imporre la certificazione invece di obbligare alla vaccinazione viene curiosamente mossa dal leader sindacale che per primo ha respinto l’invito di Confindustria a introdurre quell’obbligo nei protocolli per la sicurezza nelle aziende, come peraltro sarebbe stato già previsto dalla legge vigente

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Intervista
a cura di Alessandro Rossi pubblicata sul settimanale Mondo Padano il 15 ottobre 2021 – In argomento v. anche la mia intervista a Italia Oggi del giorno precedente e, tra gli altri miei numerosi interventi, l’Appello a Draghi sulla vaccinazione nelle scuole, dell’estate scorsa

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L’introduzione obbligatoria del Green pass in tutti i luoghi di lavoro a partire dal 15 ottobre sta suscitando reazioni importanti in diversi ambiti lavorativi, soprattutto per gli aspetti organizzativi legati ai controlli (sono previste sanzioni molto pesanti sia a carico del lavoratore che a carico del datore di lavoro). Un aspetto cruciale, anche in ragione del fatto che, ad oggi, nonostante l’ottima progressione della campagna vaccinale (Cremona risulta fra le province più virtuose d’Italia, Paese che a sua volta risulta fra i migliori a livello europeo), sono ancora molti i cittadini/lavoratori non vaccinati. A livello nazionale, secondo quanto pubblicato dal Sole 24 Ore, si stima un 60 per cento di lavoratori senza copertura nel comparto sicurezza, un terzo nell’agricoltura, il 50 per cento nel settore colf e badanti, fra il 10 e il 20 per cento nel trasporto pubblico e il 30 per cento nella logistica e nei trasporti. Numeri significativi, che rischiano di bloccare il sistema-Paese dato che tutte queste persone, in attesa del vaccino, dovranno necessariamente passare dal tampone per poter ottenere il “lasciapassare”. Di questa situazione, del tutto inedita, abbiamo discusso con il professor Pietro Ichino, giuslavorista, uno dei massimi esperti in Italia di queste materie.

Professor Pietro Ichino, dal 15 ottobre entra in vigore l’obbligo di esibire il green pass in tutti i luoghi di lavoro. È una norma che non ha precedenti nel nostro Paese e che anche all’estero ha pochi termini di paragone. Un suo giudizio preliminare come cittadino, prima ancora che come giuslavorista: è d’accordo?
Fin dall’anno scorso ho sostenuto la necessità dell’adozione di questa misura non appena le dosi di vaccino necessarie fossero state disponibili per tutti. Di più: ho sostenuto che diverse norme legislative già vigenti legittimerebbero i datori di lavoro ad adottare questa misura anche in assenza del decreto-legge che la ha introdotta esplicitamente.

Quali norme?
L’articolo 2087 del codice civile, innanzitutto, che obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure suggerite dalla scienza e dall’esperienza per rendere più sicuri possibile i luoghi di lavoro. Ma anche l’art. 15 del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, che obbliga l’imprenditore a non limitarsi alle misure protettive (nel nostro caso: mascherine, divisori in plexiglass, distanziamento) quando si può eliminare o ridurre drasticamente la presenza stessa del fattore patogeno nel luogo di lavoro, se non addirittura eradicarlo.

E perché, a suo giudizio, all’estero non hanno adottato un provvedimento così esteso?
In alcuni Paesi, tra i quali Francia, Israele e Portogallo, hanno adottato provvedimenti analoghi. Resta poi comunque il fatto che l’Italia è stato il Paese occidentale colpito prima di tutti e più pesantemente di tutti dal Covid-19; e al tempo stesso, anche a causa della virulenza con cui è stato colpito dalla pandemia, il Paese che ha fatto registrare lo squilibrio più grave fra domanda e disponibilità delle strutture di terapia intensiva.

Chi ha contestato e critica questa norma ha sollevato soprattutto due ordini di problemi: il primo riguarda il fatto che sarebbe una norma ipocrita, in quanto introdurrebbe un obbligo surrettizio a vaccinarsi, creando peraltro una disparità irragionevole fra chi il green pass può procurarselo e chi non può pur essendo vaccinato. Il secondo, avanzato ad esempio dal vicequestore di Roma Nunzia Schilirò, riguarda una possibile incostituzionalità di questa norma. Qual è il suo giudizio, da tecnico, rispetto a queste due osservazioni?
Incominciamo dall’accusa di ipocrisia, curiosamente mossa al decreto dallo stesso Maurizio Landini, che è stato il primo leader confederale a respingere la proposta di Confindustria di introdurre l’obbligo di vaccinazione nei protocolli per la sicurezza, salvo poi chiederlo al Governo. Questa ipocrisia, nel decreto varato nei giorni scorsi, io non la vedo proprio. Imporre il green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro è una cosa ben diversa dall’imporre la vaccinazione a tutti, come si fa per la poliomielite, la difterite, il morbillo e alcune altre malattie infettive. La norma che richiede il green pass è molto meno intrusiva, meno limitativa della libertà degli individui, perché può riassumersi così: “libero chiunque di non vaccinarsi; ma non di contagiare i compagni di lavoro: se vuoi esercitare questa tua libertà, fai pure ma resta a casa tua, o trova un’occupazione che ti consenta di lavorare in isolamento”. Nessuna ipocrisia, dunque, ma un contemperamento molto ragionevole tra libertà individuale e protezione della salute di tutti.

E gli sfortunati che si sono vaccinati con Sputnik o un altro vaccino praticato all’estero, e ora non possono rivaccinarsi in Italia, ma non possono neanche avere il Green Pass?
Questo caso particolare deve essere oggetto di una apposita disciplina speciale, che va emanata con urgenza. Mi risulta che il ministro della Salute ci stia lavorando già dal mese scorso: vedremo nei giorni prossimi quale soluzione sarà stata trovata.

Resta l’accusa di incostituzionalità sollevata dal vicequestore di Roma Nunzia Schillirò.
Ho sentito il suo comizio. Il solo argomento che ha portato a sostegno della tesi dell’incostituzionalità dell’obbligo del green pass è davvero debolissimo, per non dire peggio. Sostiene che violerebbe il “diritto al lavoro di cui all’articolo 4 della Costituzione”; ma da che mondo è mondo il diritto al lavoro va coniugato e contemperato con tutti gli altri diritti e principi di rango costituzionale, e in primo luogo con il principio di protezione della salute pubblica, sancito dall’articolo 32. E abbiamo visto prima le norme legislative che obbligano il datore di lavoro, e di riflesso anche il prestatore, a rispettare le misure necessarie per proteggere la salute di tutti in azienda. E poi, sulla “disobbedienza civile” di questa poliziotta romana avrei qualche cosa da dire…

La dica.
È già assai discutibile l’obiezione di coscienza contro una legge che non impone un obbligo, ma si limita a condizionare l’accesso a luoghi chiusi all’esibizione del green pass, per la tutela della salute di tutti. Una cosa, però, è certa: l’obiezione di coscienza a part-time, limitata al tempo libero, è una caricatura della “disobbedienza civile”. Nunzia Schilirò è retribuita per far applicare la legge; se vuole praticare questa forma di lotta contro la legge sul green pass, o contro qualsiasi altra legge, rinunci alla funzione e allo stipendio di vice-questore. Altrimenti fa grave danno non soltanto alla funzione stessa, ma anche alla battaglia che si propone combattere. Perché la rende ridicola.

La campagna vaccinale sta progredendo molto bene: l’Italia è uno dei Paesi che presenta la più alta percentuale di vaccinati sul totale della popolazione; questo dimostra che vi è stato un grado di adesione volontaria da parte della popolazione molto importante, segno di una condivisione di fondo della necessità di vaccinarsi. Rimane, però, una quota considerevole di persone non ancora vaccinate. Considerando che le vaccinazioni obbligatorie esistono già da molti anni e che molto probabilmente – è notizia di questi giorni – il prossimo anno si andrà verso una terza vaccinazione estesa a tutti, non sarebbe più lineare, più comprensibile per l’opinione pubblica e accettabile da parte di tutti, che venisse introdotto l’obbligo vaccinale fino a quando l’epidemia legata al covid non sarà stata debellata?
Secondo logica, in presenza di una frazione rilevante di cittadini renitenti alla vaccinazione, dovrebbe essere più facilmente accettabile l’obbligo del green pass che l’obbligo diretto di vaccinazione. Se fosse stato adottato quest’ultimo, sicuramente avremmo sentito vibrate proteste per il fatto che si sia esteso l’obbligo di vaccinarsi anche per chi vive isolato e non espone altri al rischio di contagio. Detto questo, credo anch’io che l’anno prossimo, se la pandemia non potrà considerarsi debellata, sarà bene arrivare all’obbligo di vaccino per tutti, come per poliomielite, difterite e le altre malattie infettive. Tra l’altro, la modestissima incidenza degli effetti collaterali indesiderati del vaccino anti-Covid sarà ancora più evidente di quanto non sia già oggi.

L’introduzione del Green pass nei luoghi di lavoro suscita critiche e perplessità anche per tutta una serie di questioni pratiche: chi farà i controlli in azienda, la gestione dei tamponi per chi non è ancora vaccinato, le possibili sanzioni per chi non avrà il green pass, più difficili da applicare nelle realtà economiche più piccole e meno strutturate, ma anche per chi non effettuerà i controlli (i datori di lavoro). Qual è il suo giudizio a riguardo?
Nello Studio legale di cui sono contitolare lavorano a vario titolo un centinaio di persone. Abbiamo affrontato i problemi organizzativi per tempo, abbiamo avvertito tutti – compresi i clienti che accederanno allo Studio occasionalmente – della necessità di esibire il green pass con congruo anticipo, abbiamo esaminato i due casi di giustificato motivo di esenzione, ci siamo dotati della applicazione messa a disposizione dal Governo per la verifica del green pass rapida e rispettosa della privacy; non mi è parso che si siano presentati problemi insuperabili. Viceversa, dall’esperienza nostra e da quella delle aziende clienti abbiamo avuto conferma del fatto che con questa misura la “sacca” dei renitenti si sta riducendo molto rispetto alle previsioni.

Sindacato e datori di lavoro, sin da subito, si sono detti d’accordo con il green pass obbligatorio sul luogo di lavoro che, invece, è stato molto contestato da una parte della politica e anche da una – fino ad ora – piccola parte di cittadini. Negli ultimi giorni, tuttavia, si sono registrare violente proteste di piazza e anche attacchi preoccupanti: vedi ad esempio quello alla sede della Cgil. Questa situazione rischia di esplodere, oppure crede che questo momento così particolare possa essere gestito?
A Roma e a Milano i violenti sono stati poche centinaia di persone. E fra questi i veri no-vax sono una frazione trascurabile: la stragrande maggior parte dei violenti sono estremisti di destra che si mescolano alle manifestazioni no-vax nella speranza di apparire molto più numerosi di quello che sono. Le vere occasioni di tensione sociale, oggi, non hanno niente a che vedere con l’obbligo di green pass: sono il rincaro delle bollette del gas e dell’elettricità, la fiammata inflattiva che si sta profilando all’orizzonte, gli infarti di un mercato del lavoro nel quale centinaia di migliaia di persone devono affrontare la perdita della vecchia occupazione mentre le imprese non trovano il personale che cercano ed enormi giacimenti occupazionali restano inutilizzati. Più che dei renitenti alla vaccinazione, mi preoccuperei di queste altre “bombe” innescate e a rischio, queste sì, di esplodere facendo danni gravi.

Che cosa dovrebbe fare, a suo giudizio, il Governo, per evitare che il clima possa esasperarsi ulteriormente?
Sul fronte della campagna di vaccinazione e del green pass, tenere la barra dritta confidando che il problema dei renitenti si sgonfierà pian piano da solo. Sul fronte dell’economia e del lavoro, curare con grande attenzione e rigore che gli adempimenti del PNRR vengano rispettati e accelerare fortemente sulla creazione di una rete di servizi al mercato del lavoro di informazione, formazione mirata agli sbocchi effettivi e misurata nella sua efficacia,  orientamento scolastico e professionale, capace di creare i percorsi tra chi cerca una nuova occupazione e le imprese, che in un terzo dei casi non trovano le persone di cui hanno bisogno.

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