LA NUOVA DOMANDA DI MANODOPERA CHE NON INCONTRA L’OFFERTA, NONOSTANTE L’ALTA DISOCCUPAZIONE

Il mercato del lavoro è in netta ripresa, ma il 35 per cento delle vacancies stenta a essere coperta, mentre sta per arrivare la seconda “rata” dello sblocco dei licenziamenti – I servizi efficaci al mercato del lavoro sono necessari con urgenza; ma la rete dei Centri per l’Impiego fa registrare ancora zone di gravissimo ritardo

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Numero 106 del bollettino
Mercato del Lavoro News, organo della Fondazione Kuliscioff, 2 ottobre 2021,  a cura di Claudio Negro – In tema di skill shortage e di mismatch tra domanda e offerta di lavoro v. anche, in questo sito, il n. 100 dello stesso bollettino, del 13 luglio scorso

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Se il Sindacato non riuscirà ad ottenere la proroga fino al 31 dicembre, tra poco scadrà la CIG Covid e – anche nelle aziende di minori dimensioni – il divieto di licenziamento. L’andamento eccezionalmente buono dell’economia può far sperare che il riassorbimento di quel qualche centinaia di migliaia di licenziamenti congelati possa essere meno drammatico di quanto qualche mese fa si potesse pronosticare. Resta il fatto che nell’ultimo trimestre 2021 il mercato del lavoro dovrà “trattare” probabilmente 400.000 persone in cerca di lavoro in più rispetto ai numeri usuali. Ciò perché nel II trimestre vi sono state poco meno di 2.200.000 attivazioni (che a causa dei contratti a tempo determinato non si traducono in identica cifra di lavoratori assunti): il saldo tra avviamenti al lavoro e cessazioni è stato pari a 153.000 posizioni lavorative, e le persone in cerca di lavoro (classificate come disoccupati) quasi 2.500.000. Difficile dire quanti dei 2.500.000 si candidino veramente nel prossimo trimestre, tuttavia anche ammettendo che solo una parte “corra” veramente, bisogna che il MdL del prossimo trimestre dovrà trattare non solo una cifra fisiologica di circa 2 milioni o poco più di avviamenti/cessazioni, ma anche una quota dei 2.500.000 disoccupati e circa 400.000 esuberi post covid. Sul lato della domanda c’è la previsione (Excelsior Unioncamere) di 1.450.000 assunzioni tra settembre e novembre: dato forse eccessivo, ma neanche troppo, calcolando che al secondo trimestre i posti vacanti erano già circa 350.000.
Ipotizzando che il trend avviamenti/cessazioni fisiologico (che prevalentemente riguarda turn over e mobilità tra posti di lavoro) mantenga il ritmo del II trimestre e che confermi un saldo attivo attorno alle 150.000 posizioni e che almeno i 350.000 posti vacanti dallo scorso trimestre vengano coperti all’interno della domanda di quasi 1 milione e mezzo evidenziata da Excelsior, si potrebbe arrivare a 500.000 assunzioni, che consentirebbero di riassorbire gli esuberi da licenziamenti Covid congelati e aumentare significativamente il tasso di occupazione, avvicinandosi a recuperare sul II trimestre 2019 (pre covid). Se poi la domanda delle imprese dovesse essere soddisfatta in termini più ampi si potrebbe addirittura superare il livello pre covid.

Tuttavia è molto probabile che questo non accada: ce lo dice l’esperienza, ma anche qualche altro dato che contribuisce a spiegare questo eterno paradosso di una forte domanda di lavoro e di una massiccia offerta che però non si incontrano. E non, naturalmente, per quelle ragioni strillate sui social, che si bevono qualunque argomentazione sia abbastanza  semplice da essere capita: non stiamo parlando di bagnini che qualcuno vorrebbe lavorassero per 3 euro all’ora  o altre amenità del genere; stiamo parlando di assunzioni regolari, con Contratti Nazionali e tutele di legge.

Perché dunque domanda e offerta faticano tanto a incontrarsi?
In parte probabilmente per le caratteristiche della domanda: le assunzioni a tempo determinato crescono molto più di quelle stabili (+ 573.000 rispetto al II trimestre 2020), ma di solito vengono accettate. Di più lo potrebbe fare il part time, che però oggi  è poco proposto dalle imprese e addirittura in calo per i contratti stabili. Dunque le proposte di lavoro non vengono, se non molto marginalmente, disattese per condizioni giudicate sfavorevoli.  La realtà è più complessa: occorre prendere in considerazione la composizione della domanda, che ha dinamiche diverse seconda dei settori produttivi, nonché il mismatch tra competenze richieste ed offerte.

Partiamo dalla prima questione: c’è una differenza profonda tra il comparto industriale e quello dei servizi. Industria e costruzioni occupano attualmente circa 6.000.000 di persone, i servizi 15.800.000; per le prime la differenza con il pre covid è ancora di circa 50.000 unità, per i secondi 634.000! Nel periodo gennaio-agosto  c’è stata una crescita significativa soprattutto di attivazioni nel comparto dei servizi, trainato dal turismo (+693.000) di cui però 630.000 a tempo determinato.

E’ dunque dal comparto servizi che bisogna aspettarsi l’incremento occupazionale che riporti il tasso di occupazione ai livelli pre covid: Excelsior dice che il comparto cerca un po’ più di un milione di addetti; tra questi circa 700.000 sono professionalità proprie di comparto (cioè non orizzontali, tipo impiegati amministrativi ecc.). Tuttavia più del 35% di questa domanda è di difficile reperimento, e di solito questo dato è sottostimato rispetto alla realtà, e comunque va tenuto presente che la maggioranza del mismatch in questo comparto è determinato non dalla mancanza di competenze dei candidati ma proprio dalla mancanza di candidati.

Del resto che il mismatch sia dovuto più alla vera e propria mancanza di candidati piuttosto che ad un’insufficienza di competenze è un dato trasversale, che Excelsior segnala per praticamente tutte le ricerche di personale previste. Questo dato però si minimizza per le professioni del comparto servizi, che peraltro sono, a parte le non qualificate, quelle per le quali il mismatch è più basso ma anche quelle per cui è maggiore la domanda. Vale la pena notare che la differenza nel mismatch per le professioni più qualificate e per le figure di operai variamente specializzati tra mancanza di candidati e competenze insufficienti è notevolmente maggiore. Pare difficile ipotizzare che, soprattutto per i profili più alti, la causa del mismatch sia una mancanza di informazione: più probabilmente si tratta di candidature che non vengono neppure avanzate a causa proprio dell’insufficiente preparazione degli interessati. Infatti, se andiamo ai profili non qualificati il mismatch scende moltissimo (20% contro il 36% medio) e in gran parte per mancanza di candidature. I numeri peraltro sono abbastanza modesti: 168.000 nel trimestre, pari solo all’11% del totale.

In sostanza se si vuole dare risposta alla domanda-offerta di lavoro che si manifesterà negli ultimi mesi dell’anno occorrerà tenere presente che il Mercato del Lavoro si muoverà su due piani: il comparto servizi che esprime una domanda quantitativamente importante, con requisiti professionali minori e talora anche molto bassi, e il comparto industriale, che cerca profili operai specializzati. C’è poi un piano trasversale nel quale si esprime la domanda di professionalità di elevata qualificazione e tecnici, numericamente significativa (circa il 23% del totale). La domanda non ha bisogno di essere stimolata: non si vede particolare bisogno di rinnovare incentivi alle assunzioni, oltre a quelle già esistenti. Il servizio su cui deve concentrarsi un sistema di Politiche Attive deve essere quello di rendere agevole l’incontro tra domanda e offerta per i profili meno qualificati, e di farsi carico dell’aggiornamento formativo per le richieste di profili specializzati, tecnici e superiori. Stiamo parlando naturalmente di un intervento d’emergenza, che deve essere attivato nel giro di qualche settimana, fermo restando l’esigenza di un nuovo impianto strutturale delle Politiche Attive fortemente orientato al target dell’occupabilità, quindi alla formazione/aggiornamento, bilancio di competenze, all’orientamento, all’autoimprenditorialità.

L’insieme di questi interventi ha bisogno di essere realizzato con rapidità ed ottimizzando a tal fine le risorse esistenti: se dovessimo aspettare il completamento di un programma, peraltro ancora da definire, di potenziamento dei Centri Pubblici per l’Impiego, dovremmo far conto solo sulle dinamiche spontanee domanda-offerta per i prossimi mesi, con esiti, come abbiamo visto prima, del tutto incerti. Fermo restando che alcuni (pochi) CPI sono a un livello d’eccellenza, è evidente che in generale chi ha un sistema solido di relazioni con le imprese, che consente di mettere in relazione domanda ed offerta e di intervenire con offerte di aggiornamento formativo, sono le Agenzie per il Lavoro (che infatti forniscono, con la somministrazione, il 50% delle assunzioni alle imprese sopra i 100 dipendenti).  E che devono dunque essere coinvolte su tutto il territorio nazionale. In mancanza di ciò sarebbe inevitabile ripetere l’esperienza di Politiche Attive, che funzionano in alcune Regioni sì e in altre no, con buona pace della Riforma del Ministro Orlando.

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