La scelta della conservazione del posto di lavoro il più a lungo possibile, e quindi del consenso a costo zero, è la stella polare di un sindacato che rischia di sancire la propria irrilevanza
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Numero 105 del bollettino Mercato del Lavoro News, organo della Fondazione Anna Kuliscioff, 19 settembre 2021, a cura di Claudio Negro – In argomento v. anche il mio editoriale del 27 settmbre, Sette punti per il “Patto” proposto da Draghi .
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Siamo all’ultimatum; che come costume nazionale può sempre eventualmente declassarsi a penultimatum. Si tratta in ogni caso di un declino grave, anche se non proprio inaspettato, di quel rapporto tra Sindacati e Governo Draghi che Letta all’alba della sua Segreteria pronosticava protagonista di una nuova stagione di concertazione tra Politica e Parti Sociali, magari perfino con un po’ di cogestione.
D’altra parte per concertare occorre che le parti in gioco abbiano in mente una strategia, un percorso e degli obiettivi che imprimano un segno all’economia e alla politica: su questa base il negoziato e l’inevitabile mediazione sono un valore aggiunto, permettono di fare dei passi avanti; come con Craxi nell’84, Amato nel ’92, Ciampi nel ’93.
Stavolta la visione strategica è tutta di Draghi, più volte illustrate pubblicamente ed esposte alle forze politiche e sociali e declinate nel PNRR. La visione strategica del sindacato è rimasta dissimulata sotto una caterva di rivendicazioni che impedivano la visione di un progetto organico. E magari è meglio così, perché le poche volte che si poteva cogliere il balenare di un’idea ne veniva illuminata la pochezza, la retorica, l’inadeguatezza dell’analisi e della cognizione sulla realtà dell’economia e del lavoro.
Le rivendicazioni costanti sono state quella del divieto di licenziamento, della proroga continuamente prorogata della Cassa Integrazione anche in presenza di concreta cessazione dell’attività aziendale, del divieto di delocalizzare; è venuta fuori la lotta agli investimenti stranieri (“basta con lo strapotere delle multinazionali”), è stata rievocata una politica industriale in cui lo Stato dice alle imprese cosa devono fare (tipo Stellantis deve aumentare la produzione per combattere la crisi dell’automotive), o anche che lo Stato deve tornare a fare l’imprenditore, usando i soldi dei contribuenti per tenere in vita aziende decotte; e, in materia di quel mistero che si chiama Politiche Attive, che l’importante è che la riforma investa sui Centri per l’Impiego Pubblici e dia certezza di assunzione ai “navigator”. E ha rifatto capolino pure il Piano Quinquennale…
In realtà questa inverosimile messa in scena indica una scelta operata nei fatti dal Sindacato, pressato e affannato dagli effetti attuali e materiali della crisi: la scelta di una politica in cui la conservazione del posto di lavoro il più a lungo possibile, e quindi il consenso a costo zero, è la stella polare, assieme ad una posizione genericamente indisponibile a discutere di riforme se non per rivendicare la sostanziale continuità delle situazioni in atto e a marcare in ogni caso un’immagine identitaria. E una “narrazione” che presenta gli ultimi anni come teatro di una continua erosione dei diritti del lavoro, i cui capisaldi sono stati la Legge Fornero e il Jobs Act.
E’ un punto di vista “revanscista” che genera inevitabilmente un atteggiamento conflittuale e non collaborativo: altro che concertazione..! Del resto basta osservare la recente vicenda dei Green Pass: il Sindacato incartato (e ovviamente battuto) in un’incomprensibile posizione di difesa dei no vax parallela alla richiesta di obbligo di vaccino per legge ha esclusivamente cercato di darsi un’immagine intransigente e combattiva, a costo di giocarsi anche gli ultimi alleati politici, come ha dimostrato il dibattito televisivo (Agorà 17 settembre) in cui è stato accusato perfino Fassina di aver tradito le tradizioni della sinistra e il mondo del lavoro, provocando un putiferio.
Ma a commutare ostilità e rissosità nei confronti di Draghi in qualcosa di politicamente più preciso e concreto è intervenuto, come sempre più spesso accade, Maurizio Landini, che ai delegati FIOM ha illustrato i contenuti dell’ultimatum, non trascurando l’appello ai combattenti per l’immancabile vittoria! E ha elencato con precisione i prossimi terreni di scontro con Draghi: le pensioni, per le quali si rivendica un allargamento del diritto al pensionamento anticipato; gli ammortizzatori sociali, per i quali, aggirando il fastidio di dire qualcosa di sensato sulle politiche attive, si rivendica il prolungamento di tutto fino a (per ora) dicembre; la riforma fiscale, per la quale si reclama che tutte le risorse disponibili vengano utilizzate per aumentare il netto in busta paga dei lavoratori dipendenti. Nulla finora sulla concorrenza, ma è facile immaginare cosa accadrà quando dalla liberalizzazione delle professioni si passerà a discutere delle Società Partecipate o Municipalizzate che gestiscono i Servizi Pubblici.
Il tutto inserito in uno scenario bellicoso, compendiato dalla parola d’ordine “riprendiamoci le piazze”, che lascia poco spazio all’immaginare quale potrà essere la natura del “dibattito” col Governo.
Si va delineando tragicamente un quadro in cui il Sindacato potrebbe diventare una delle più agguerrite lobby ad avversare il piano di riforme del PNRR, con alcune conseguenze molto gravi sul piano delle relazioni politiche ed industriali.
Innanzitutto il Sindacato certificherebbe di avere un critico problema di comprensione della realtà e di essersi rinchiuso in uno stato catatonico con serissimi problemi identitari. Come conseguenza una parte del Paese (e non “lor signori”) si convincerebbe che del Sindacato si può fare a meno, anzi sarebbe meglio… Sarebbe da sperare che, siccome nel Sindacato, come hanno indicato le recenti polemiche sul Green Pass, non tutti sono convinti che vada bene così, qualcuno trovi la forza e il consenso per aprire un dibattito su un tema che sta per diventare decisamente scottante: il futuro di questo Sindacato in questo Paese. In questo caso potremmo almeno affermare che non tutto il male vien per nuocere!
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