UNA INTERESSANTE QUESTIONE DI FILOSOFIA DEL REBUS

È ammissibile che la chiave per la soluzione di un rebus sia la frase tra virgolette (discorso diretto) pronunciata da una persona ivi raffigurata, contenente un grafema del rebus stesso? Ovvero: può il grafema non essere soltanto oggetto di una sovrapposizione rispetto alla chiave, ma parte della chiave medesima?

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Lettera di Luca Fiocchi Nicolai, uno dei più autorevoli rebussisti italiani, pervenuta il 25 agosto 2021, dopo la pubblicazione del rebus cui essa si riferisce sul quotidiano
il Foglio di due giorni prima – Segue la mia risposta – Dello stesso L.F.N. v. anche, su questo sito, la bella lettera del 31 maggio scorso – Tutti gli altri interventi, articoli, interviste e lettere online su questo sito, dedicati a quest’area tematica, sono reperibili nella sezione Rebus .
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Il rebus “incriminato”, la cui soluzione si trova ne I nuovi rebus spiegati

Caro Professore, ho risolto – non subito – il tuo rebus sulle macchie di cera, la cui prima lettura mi interessa per come è costruita la chiave riproducente il discorso diretto attribuito alla bagnante RA.
Ora, sin dai primordi della mia “carriera” mi posi il quesito se un soggetto rappresentato potesse pronunziare un grafema. Propesi per una risposta negativa. Il contrassegno alfabetico è messo lì per chi guarda la vignetta, ovvero il solutore, ma per i personaggi ivi raffigurati semplicemente non esiste. A meno che il grafema non compaia antropomorfizzato. Diventi cioè un personaggio, che so, di un fumetto.
Poiché del rebus non esistono tavole della legge, ti sarei grato se mi esponessi il tuo parere al riguardo; le mie considerazioni si focalizzano sul caso del discorso diretto che deve riprodurre ciò che effettivamente la figura dice. Altro è quello del discorso indiretto, in cui parla l’autore, discorso che può, credo, assumere forma metaletteraria (l’autore che cita i grafemi del suo rebus).
Ti ringrazio anche per lo spazio che dedichi a tale magnifica disciplina, che grazie a te e al tuo entusiasmo pare riverberarsi ovunque. Un caro saluto.
Luca

Sul piano strettamente logico il rilievo critico di Luca Fiocchi Nicolai è ineccepibile: lo ringrazio dunque di essersi preso la briga di comunicarmelo e lo accolgo con il piacere che accompagna sempre l’apprendimento di qualche cosa di nuovo. Per completezza di informazione dei lettori sul punto, riferisco però anche quanto lo stesso L.F.N. (in arte Lucignolo) mi ha scritto per consolarmi: la stessa critica potrebbe essere mossa a un bellissimo rebus di cui lui stesso è l’autore, pubblicato sulla Settimana Enigmistica, che è la massima accademia rebussistica sul piano planetario, e ripreso nel mio libro L’ora desiata vola (rebus n. 50, p. 154): quello nel quale un docente, additando delle figure contenenti scene dell’Aida, ne descrive il contenuto utilizzando i grafemi per indicarne i protagonisti. Grazie di questa attenuante, Luca, ma temo che non basti ad assolvermi con formula piena. Comunque sarà interessante vedere se sulla questione vorrà intervenire qualche altro rebussista: sarà ovviamente il benvenuto su questo sito.    (p.i.)

 

Ulteriori riflessioni di L.F.N. sulla stessa questione (con citazione di un altro precedente)

Caro Pietro, vorrei se me lo consenti ritornare sulla questione da me sollevata nei giorni scorsi .
Nel rebus i contrassegni sono lettere o più raramente numeri che fanno parte integrante del testo di un rebus  svolgendovi la funzione sintattica di identificare persone o cose di cui si parla accompagnandosi o sostituendosi alla loro denominazione come fossero dei veri e propri dimostrativi. Essi nell’illustrazione che tale testo traduce compaiono ben visibili a contrassegnare appunto gli elementi ivi rappresentati e costituiscono in un certo qual modo degli indizi utili alla risoluzione del gioco.
Nel caso di una frase che deve riprodurre alla lettera mediante il ricorso al discorso diretto quanto affermato da un soggetto della vignetta è interessante notare – da una breve ricerca nel repertorio di rebus pubblicati – che tra le soluzioni adottate dagli autori vi è discretamente rappresentata quella da me criticata nel primo messaggio, che prevede di inserire come effettivamente pronunziati dal personaggio uno o più grafemi.
Ti riporto ad esempio un istruttivo rebus di Alkel (Leonardo, n. 4, anno 2018) che ha regalato all’autore il secondo posto alla gara estemporanea di composizione rebus “Leone da Cagli” al LIXX Congresso enigmistico nazionale tenutosi in quell’anno. Il rebus è:

è steso VI: a LE dice NT: «O conta!» (NT agente) = Esteso viale di Cento con tanta gente

la cui paradossale vignetta mostra, a partire da sinistra, nell’ordine, un uomo steso a terra, ormai esanime, contrassegnato da VI, presumibilmente assassinato dallo sgherro LE intento, oltre che a riporre nella cintura il grosso revolver, a fumare un vistoso sigaro, sigaro che pare essere la sola cosa a contrariare l’agente NT, che redarguisce lo sparatore additandogli il cartello O che vieta di fumare.
L’autore fa dire a NT la frase:«O conta!», ovvero l’agente “vede” la O apposta dall’illustratore sul supporto metallico del cartello e la pronuncia (si presume che anche LE la veda) per denominarlo.
In questo come in altri simili rebus vedi che, relativamente allo statuto ontologico del contrassegni, non viene mantenuta la differenza, preservata invece nell’opera narrativa, tra la voce narrante interna e quella esterna, tra ciò che si dice DELLA scena e ciò che si afferma NELLA scena; pare annullarsi cioè la distinzione dei punti di vista a partire dai quali viene fatto il racconto. Che questi ultimi vengano a coincidere è rivelato involontariamente ma inequivocabilmente dall’evocazione, nel contesto sintattico del discorso diretto, di entità linguistiche che acquistano senso ed esistenza solo nella comunicazione tra autore e solutore.
I contrassegni pertanto sembrano costituire una realtà non solo per l’autore del rebus, che se ne avvale come di utile materia fonetica per comporre il testo, non solo per l’osservatore della vignetta, per il quale rappresentano un prezioso aiuto – stanno lì anche per questo – ma anche per i soggetti illustrati i quali, a rigor di logica narrativa, dovrebbero ignorarne l’esistenza.
Nel rebus illustrato, come mi è capitato di dirti, non vigono tavole della legge; sarebbe però utile ed interessante, per comprendere meglio i confini della sua struttura narrativa, chiarire una questione come quella presa in esame; a questo scopo, di natura grammaticale e filosofica, non spaventi la parola, nel rivolgere a te la presente lettera aperta invito tutti gli appassionati ed esperti praticanti di questo gioco a portare, sicuramente con mezzi culturali ben più adeguati di quelli messi in campo dal sottoscritto, gli opportuni lumi chiarificatori sull’argomento.
Un caro saluto,
Luca

Prendo nota con grande interesse di questo precedente di Alkel trovato da L.F.N.; osservo tuttavia quanto più elegante, sullo stesso tema di quello di Alkel, fu nella stessa occasione il rebus di Orofilo, giustamente premiato al primo posto, che riporto qui di fianco. In questo, nessun grafema inserito nel discorso diretto, né alcuna “ripresa” del grafema (come invece nel rebus di Alkel, con la ripetizione del grafema indicante il poliziotto), che a mio avviso costituisce quasi sempre quanto meno un piccolo neo sul piano stilistico.
Resta il fatto che quello dei rebus è un gioco; e nei giochi le regole sono quasi sempre abbastanza flessibili, adattabili alle esigenze dei giocatori, così da non lasciare spazio soltanto agli autori e ai solutori eccelsi. Bene ha fatto dunque la giuria del LIXX Congresso di Enigmistica a premiare anche il rebus di
Alkel; e proprio questo premio, per quanto minore, costituisce un forte argomento a sostegno dell’ammissibilità del rebus nella cui soluzione compaia un discorso diretto contenente un grafema.
La questione resta comunque apertissima: ogni ulteriore intervento in proposito sarà molto gradito.    (p.i.)

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