“[…] Il testo è denso e corposo, ma scorre in maniera molto fluida, senza tecnicismi, suddiviso in tanti brevi capitoli tematici che ne agevolano la lettura. Sono più di ottanta i rebus scelti e analizzati al microscopio, per ognuno dei quali viene descritto il percorso mentale che conduce alla soluzione […]”
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Recensione de L’ora desiata vola a cura di Luca Patrone (in arte Il Langense, uno dei maggiori rebussisti italiani viventi, nella foto qui sotto a sinistra), pubblicata sul numero di giugno 2021 della rivista Il canto della Sfinge
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È appena uscito in libreria, edito da Bompiani per la collana “Amletica leggera”, l’ultimo lavoro del poliedrico Pietro Ichino, accademico, avvocato e giuslavorista di chiara fama, giornalista e scrittore, appassionato di montagna e di scacchi; e soprattutto, per quanto ci riguarda, grande appassionato di rebus. L’evocativo titolo del libro, L’ora desiata vola, con relativa immagine in copertina (LO ràdesi a tavola), è l’omaggio alla frase risolutiva di un celebre gioco apparso, a firma Paolino, su La Settimana Enigmistica nel giugno 1968.
Dopo la prefazione del direttore della collana Stefano Bartezzaghi, che sottolinea come l’italiano sia la lingua ideale per il rebus, motivo per il quale questo gioco “è il più incantevole degli enigmi”, Ichino si addentra negli oscuri cunicoli del rebus, cercando di convincere gli scettici che la sua risoluzione non è, come molti sostengono, un’impresa impossibile, bensì un piacere da assaporare lentamente. Oltre a quella della composizione e quella della illustrazione, esiste cioè una terza arte sottesa da questa avventura enigmistica, quella della soluzione, perché il rebus, pur avendo un aspetto aristocratico, è un gioco democratico, non esclude nessuno.
Per dimostrare questo, l’autore si sofferma sui molteplici aspetti intellettuali ed estetici che caratterizzano questo diffusissimo e spesso ingiustamente bistrattato gioco enigmistico. Si parte con una rapida e nostalgica carrellata sui ricordi di gioventù – chi di noi non ha avuto uno zio, o una nonna, o un genitore, o semplicemente un amico che ci ha indirizzato verso questa strada e ci ha fatto innamorare in modo viscerale delle “parole come giocattoli”? –, per poi andare dritto al punto. Il testo è denso e corposo, ma scorre in maniera molto fluida, senza tecnicismi, suddiviso in tanti brevi capitoli tematici che ne agevolano la lettura. Sono più di ottanta i rebus scelti e analizzati al microscopio, per ognuno dei quali Ichino descrive il percorso mentale e le elucubrazioni che lo hanno accompagnato (quasi sempre) alla soluzione, tra tentativi falliti, appunti scritti, idee abbandonate e poi riprese, illuminazioni in momenti impensabili, nottate trascorse a rimuginare su possibili chiavi senza venirne a capo.
Dopo una breve digressione sui rebus a variazione, che il professore confessa di non amare particolarmente (mentre predilige gli stereoscopici, in quanto per lo più caratterizzati da una chiave unitaria), si prosegue fino alla conclusione con una rassegna di giochi “difficili”, che l’autore definisce “impossibili (per i comuni mortali) ma non di meno sublimi”. Il piacere della fatica di risolvere un rebus non facile è quello di “sentirsi un detective che ha a disposizione soltanto qualche indizio” e di dover trovare una connessione non evidente tra diverse realtà apparenti.
Il punto centrale della trattazione di Ichino, che è poi nella sostanza un’autentica dichiarazione d’amore, è che “la passione per i rebus non si nutre soltanto del piacere di riuscire a risolverli”: a volte si tratta di veri e propri capolavori artistici, che portano allo sbalordimento per la bellezza del passaggio dalla prima alla seconda lettura, per la magia della cesura, o semplicemente per l’atmosfera evocata dall’immagine. Non poteva mancare a questo proposito, il commosso omaggio alla indimenticabile Signora del rebus, Maria Ghezzi, la Brighella, a cui l’autore aveva fatto visita qualche giorno prima della sua improvvisa scomparsa, avvenuta lo scorso febbraio.
Il libro è stato presentato il 12 giugno, in un assolato sabato pomeriggio milanese, nella splendida cornice del Centro dell’Incisione sul Naviglio Grande, alla corte del Maestro pittore, incisore e scultore Gigi Pedroli. Al dibattito organizzato a corollario del vernissage hanno partecipato, oltre all’autore, Alfredo Baroni e Alessandro Bartezzaghi de La Settimana Enigmistica e il giornalista Giangiacomo Schiavi nel ruolo di moderatore. Numerosi sono stati gli spunti di intervento da parte del pubblico di curiosi e di appassionati enigmisti di lungo corso in servizio permanente, che hanno vivacizzato la stimolante discussione. Il messaggio di fondo che traspare dalla lettura del libro, e che è emerso anche dalle riflessioni sorte durante la conversazione, è che il rebus è da considerarsi a tutti gli effetti come un genere letterario appartenente a pieno titolo all’immenso e preziosissimo patrimonio della nostra letteratura, in quanto è rappresentazione dell’umano, e quindi anche dell’apparentemente impossibile, del contraddittorio e del paradossale, per cui non esiste chi ha torto o chi ha ragione. L’equilibrio è raggiunto dalla perfetta simbiosi, nel reciproco rispetto, tra autrice o autore e solutrice o solutore e dalla fiducia assoluta che quest’ultimo deve poter riporre nella qualità tecnica del rebus, e dunque di chi lo ha ideato e di chi lo ha pubblicato, perché non sia una deludente perdita di tempo. L’ora desiata vola rappresenta davvero un unicum nel suo genere, l’ideale trait d’union fra la trattazione accademico-storica e l’approccio amatoriale del comune solutore che adora avventurarsi, tra ragione e sentimento, in un labirinto in apparenza inespugnabile e misteriosamente affascinante. In fondo, come riportato in quarta di copertina, “L’arte del rebus sta in questo: riuscire a scorgere il messaggio che si nasconde sotto le cose”.
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