L’INSPIEGABILE PASSIONE BI-PARTISAN PER IL BLOCCO DEI LICENZIAMENTI

Dove viene attivata la Cig-Covid, neppure l’impresa più in crisi ha interesse a licenziare – Né la proroga del divieto può giustificarsi con l’attesa della “rifoma degli ammortizzatori”, di cui ancora nessuno sa cosa sia

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Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 546, 14 giugno 2021 – Sullo stesso argomento v. anche, più ampiamente, la mia intervista dell’8 giugno a Formiche.net, La Cig-Covid rende il blocco dei licenziamenti del tutto inutile, prima ancora che dannoso 

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Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: dove viene attivata la Cig-Covid, cioè l’integrazione salariale automatica, incondizionata e del tutto gratuita per le imprese, queste ultime non hanno alcun motivo di licenziare, neanche se sono nella crisi più profonda e irreversibile. Per convincersene basta considerare quel che è accaduto in tutti gli altri Paesi europei, che per far fronte alla pandemia hanno adottato in via straordinaria qualche cosa di simile alla nostra Cig-Covid, ma senza alcun divieto dei licenziamenti: l’impatto della crisi sull’occupazione è stato quasi dovunque meno grave che da noi. Questo ha rilevato la Commissione UE, indicando nel divieto italiano dei licenziamenti per riduzione del personale un’anomalia e chiedendoci di farlo cessare. Se le cose stanno così, c’è da chiedersi perché la Cgil insista tanto sulla proroga del blocco. E poi: perché alla Cgil si accodano la Cisl e la Uil? Perché le si accoda addirittura la Lega, il partito (per ora) maggiore del centro-destra? Perché le si accoda il Pd, che dovrebbe costituire il pilastro europeista più solido della coalizione di governo, e su questa materia sembra invece incapace di mettere a fuoco e far proprie le ragionevolissime osservazioni della Commissione UE?

Nei giorni scorsi, a dare una risposta a questi interrogativi è intervenuto il ministro del Lavoro Andrea Orlando: “bisogna prorogare il blocco per darci il tempo di fare la riforma degli ammortizzatori sociali, che consisterà essenzialmente nell’estensione universale della Cassa integrazione”. Il ministro però sa bene che oggi il contributo pagato dalle imprese industriali per questa assicurazione si aggira intorno al 3 per cento delle retribuzioni, e che le imprese cui oggi non si applica hanno detto chiaro e tondo di non volerlo pagare. E sa che proprio per questo il gruppo di esperti da lui incaricato di risolvere la questione non sa che pesci pigliare. La riforma degli ammortizzatori, dunque, non è affatto alle porte; l’importante – ma nessuno spiega perché e a quale scopo – è che il blocco dei licenziamenti vada avanti.

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