“Il solutore di un rebus è come un detective che si trova di fronte a molti indizi, molte realtà apparenti, dovendo cogliere fra di esse una connessione non evidente, che fa emergere un significato nascosto: il fascino dei rebus è la metamorfosi del testo che, costruito con un significato, ne assume come per magia uno tutto diverso”
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Intervista a cura di Annarita Briganti, pubblicata su la Repubblica il 30 maggio 2021, in vista dell’uscita del libro L’ora desiata vola .
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Le parole come giocattoli, le parole che, nella lingua più bella del mondo, l’italiano, possono avere tanti significati, come ci ricorda il professore milanese Pietro Ichino. Il suo nuovo libro, L’ora desiata vola (Bompiani), è una “Guida al mondo dei rebus per solutori (ancora) poco abili”, in uscita giovedì prossimo, pubblicato nella collana “Amletica leggera” diretta da Stefano Bartezzaghi. “Ogni volta che un italiano qualsiasi compone un rebus emula Leonardo da Vinci, perché l’enigmistica è anche una via di comunicazione fra l’alto e il basso della cultura” scrive Bartezzaghi nella prefazione del volume d’Ichino, dedicato a Maria Ghezzi, grande disegnatrice di rebus, scomparsa a febbraio.
Professore Ichino, in L’ora desiata vola racconta com’è nata la sua passione per i rebus.
«A dieci anni fui inviato dai miei genitori a Cortina d’Ampezzo ospite dello zio Giangiotto Pellizzi, per tentare di debellare certe mie febbrette insensibili a tutte le cure. Tra gli scricchiolii di quella casa di montagna tutta di legno e il fresco dei boschi avvenne la mia iniziazione al giocare con le parole. Fu proprio lo zio Giangiotto a fornirmi i primi rudimenti, a farmi capire quanto quel gioco fosse al tempo stesso affascinante e utile per la padronanza della lingua in ogni sua piega».
Gioco aristocratico, destinato a chi ha conosce bene l’italiano, o democratico, perché permette d’imparare sul campo?
«È un gioco democratico perché è accessibile a tutti, perché costa il prezzo del pezzo di carta su cui è pubblicato, ma ha un aspetto aristocratico nel fatto che premia chi conosce meglio la lingua, i suoi segreti, l’analisi logica, la grammatica. Tuttavia, è anche vero che, essendo accessibile a tutti, dà a tutti la possibilità di affinare la propria conoscenza del linguaggio e quindi torna a essere democratico».
Lei e Bartezzaghi ricordate, in questo libro, che l’italiano è la lingua ideale per i rebus.
«Lo è perché ha una fonetica che corrisponde quasi perfettamente alla scrittura. Questa corrispondenza perfetta tra suono e testo consente all’arte del rebus di dispiegarsi qui nel modo migliore, di raggiungere vertici di perfezione».
Qual è il segreto per risolvere un rebus?
«Avere l’atteggiamento del detective in un giallo. Si dispone di una serie d’indizi, ma non si sa quali conducano a scoprire l’assassino e quali siano delle false piste. Il solutore di un rebus è un detective che si trova di fronte a tante realtà apparenti, dovendo cogliere fra di esse una connessione non evidente, che fa emergere un significato nascosto. Il segreto è appassionarsi a questa ricerca della verità nascosta. Il fascino dei rebus è la metamorfosi del testo che, costruito con un significato, ne assume come per magia uno tutto diverso».
Come andrà a finire il rebus rappresentato dal mondo del lavoro, di cui lei è un esperto, segnato dalla pandemia?
«Anche il mercato del lavoro ha una sua apparenza percepita e una realtà nascosta, che chi non è attrezzato per leggerla non vede. Nonostante la situazione di gravissima crisi economica, credo che ci siano dei veri e propri giacimenti occupazionali non utilizzati. Per risolvere questo rebus bisogna attivare i percorsi che permettono alla domanda e all’offerta di lavoro di conoscersi e incontrarsi».
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