MA LANDINI STA CON DRAGHI O CONTRO?

Al di là del tono moderato e rispettoso, la posizione espressa dal segretario generale della Cgil appare sostanzialmente riluttante e riduttiva su ciascuno dei punti decisivi dell’agenda del Presidente del Consiglio


Articolo pubblicato da Claudio Negro sul suo blog – In argomento v. anche la mia intervista del luglio 2019 su
Quali rapporti tra il sindacato e il Governo giall0-verde  

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L’intervista di Landini al Corriere del 13 maggio, al netto del tono generale garbato e dell’assenza di chiusure e minacce di conflitti, conferma (se possibile ancora più chiaramente di quanto potrebbero fare i toni comiziali) i dubbi circa il fatto che il sindacato sia in sintonia col programma di riforme e innovazioni previsto dal PNRR. Non che, come già detto, si intravedano dichiarazioni di guerra, ma se si analizza l’intervista punto per punto si percepisce una distanza sostanziale rispetto agli obiettivi che il PNRR declina sulle materie che possono essere di competenza sindacale. Vediamoli.

Landini si mostra scettico (non del tutto a torto) circa gli incentivi per chi non licenzia e/o assume ex novo, e chiarisce che questa non può essere l’alternativa al blocco dei licenziamenti, che invece potrà essere dismesso solo a fronte della riforma degli ammortizzatori sociali. Che potrebbe comportare l’azzeramento dei contatori della CIG, e altri importanti interventi di sostegno al reddito. Non una proposta in materia di politiche attive: l’orizzonte si limita al mantenimento dello stato di occupato e di un reddito, per minimo che sia.

Del resto quando Fubini domanda perché non aprire all’apporto di ricollocazione delle Agenzie Private, la risposta è che occorre investire sui Centri Pubblici per l’Impiego perché “il ruolo pubblico è importante per il governo di questi processi”. In sostanza ciò che pare interessare non è il merito delle politiche di ricollocazione, ma il fatto che siano gestite da mano pubblica. Aggiunge che il sistema di ammortizzatori sociali che dovrà prendere forma dovrà essere “universale” (non una parola sul finanziamento) e ridurre le forme di lavoro precario, che “sono troppe”. Più che a un nuovo sistema di sostegni al reddito pare guardare a una sorta di “Testo Unico” del lavoro. Una tentazione palingenetica ostinatamente presente nella cultura sindacale.

Quando Fubini poi scende nel merito di alcune riforme, la distanza rispetto alle scelte operative del PNRR diventano più evidenti. Sulle semplificazioni c’è una disponibilità a “ragionarci” (quindi non c’è una condivisione dell’esigenza) ma con tutta una serie di paletti, tipo il no alla liberalizzazione dei subappalti: la preoccupazione è comprensibile, ma qui non vede altro che il “nulla cambi”. Sulla questione chiave della riforma dalla PA, fatti i dovuti salamelecchi ai giovani e ai concorsi, precisa che prima occorre stabilizzare i precari di lungo periodo. A prescindere. E guai a metterli in contrapposizione ai giovani che un lavoro non l’hanno…! Nella scuola poi servono più insegnanti, non meno: inutile l’osservazione di Fubini che gli ricorda che gli studenti caleranno di 1 milione di unità. Siamo davanti ad un altro “a prescindere”. Infine l’inevitabile domanda sulle rivendicazioni sindacali circa l’accesso al pensionamento. Alla domanda (che Fubini attribuisce alla Fornero) “chi paga?” la risposta è un’icona della deresponsabilizzazione retorica cui troppo spesso il Sindacato ricorre: “in questo paese ci sono 110 miliardi di evasione fiscale”. Il che evidentemente autorizza e legittima ogni altro “buco”.

Una posizione, in conclusione, attenta a preservare il sistema di tutele esistente, con nessuna attenzione a chi il lavoro non ce l’ha, a chi lo perde, a chi se lo inventa. Nessuna idea innovativa sul sistema contrattuale. Nessuna idea di riforma per la scuola, che non sia per gli insegnanti precari; diffidenza sulla PA, adesso che gli arretrati contrattuali sono stati pagati. Più spesa per le pensioni: qualcuno nei prossimi anni pagherà…

Io dubito che con queste idee il sindacato possa davvero essere un soggetto attivo nella attuazione di una riforma epocale come il Recovery Plan. E comunque pone le condizioni oggettive perché nella comune consapevolezza esso assuma il ruolo, pur nobile e importante, della rappresentanza di interessi precisi quanto legittimi (lavoratori della scuola e della PA, pensionati), e non più una rappresentanza di carattere universale, come fu un tempo.

E speriamo almeno che non finisca per aggiungersi alle lobbies che a vario titolo si metteranno di traverso…

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