In troppi pensano che all’origine della crisi del partito ci siano referendum costituzionale e Jobs Act e che il rimedio sia l’abiura su entrambi i fronti; ma così la crisi si trasformerebbe in un precipizio
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Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 540, 22 marzo 2021 – In argomento v. anche la mia Lettera aperta a Stefano Giubboni sulla questione dei licenziamenti .
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Da una fonte interna al dicastero del Lavoro molto vicina al suo titolare apprendo che è allo studio la soppressione dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, la quale sarebbe dunque destinata a essere riassorbita nel ministero: “Si vuole dare – mi spiega – un altro segnale che si volta pagina rispetto al Jobs Act”. Non importa che per i servizi al mercato del lavoro tutti i maggiori Paesi europei abbiano sposato il modello dell’agenzia autonoma. Non importa che le politiche attive in Italia oggi si riducano, di fatto, alla formazione professionale gestita dalle Regioni, di cui nessuno si cura di misurare l’efficacia. Non importa che il Jobs Act abbia aumentato drasticamente e allungato il trattamento di disoccupazione per tutti i lavoratori e abbia previsto la prima misura di politica attiva capace di funzionare, l’assegno di ricollocazione, anche se poi non le si è neppure consentito di incominciare a essere sperimentata. L’importante è dare il segnale che si cancella il più possibile del Jobs Act. Molti, infatti, nel Pd sono convinti che la crisi gravissima del partito sia stata determinata per metà dalla sconfitta nel referendum costituzionale del 2016 e per l’altra metà dall’abbandono della classe lavoratrice, disgustata dal Jobs Act. Risultato: sul primo versante, rassegnazione alla non riformabilità della “Costituzione più bella del mondo”; sull’altro versante, vagheggiamento del ritorno al diritto del lavoro degli anni ’70. Nessuno di loro che si chieda perché, se quella diagnosi fosse giusta, alle ultime elezioni LeU sia rimasto al 3 per cento; né perché il partito più votato tra gli iscritti alla Cgil (oltre uno su tre) sia la Lega. Ora qualcuno di loro ammette a denti stretti che sì, per la protezione dei rider il Jobs Act è utile; ma nessuno che si chieda come si possano estendere le protezioni essenziali, oltre che ai rider, anche a tutto il vasto mondo delle collaborazioni in posizione di sostanziale dipendenza, se non si consolida proprio l’impianto del Jobs Act: rimodulazione delle tutele perché possano essere estese davvero a tutti.
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