Un comunicato-stampa del capo della Procura di Milano non è una sentenza definitiva – Le questioni che invece restano aperte e meritano una discussione pacata: in particolare sul ruolo che può svolgere il sistema delle relazioni industriali per adattare la disciplina generale alle caratteristiche del settore
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Articolo pubblicato sul sito Pensiamo all’Italia il 15 marzo 2021, risultante dalla fusione dei due miei ultimi interventi precedenti sullo stesso argomento: l’editoriale telegrafico per la Nwsl n. 539 e una scheda tecnica sull’indagine giudiziaria in corso: ivi i link agli interventi precedenti dedicati a questo argomento
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I media hanno trasformato in una sentenza definitiva quello che è solo un comunicato-stampa del capo dell’Ufficio giudiziario, riferito a un’indagine sulla situazione del lavoro nel settore precedente all’ottobre 2020. Restano aperte altre questioni che meritano una discussione pacata (non suscettibile di svolgersi in piazza).
Il 24 febbraio 2021 i siti web dei giornali hanno sparato la notizia secondo cui “la Procura della Repubblica di Milano impone l’assunzione di 60.000 riders”. Subito si è scatenato su Twitter e Facebook un diluvio di commenti entusiastici, non controbilanciati dai pochi che si interrogano su come una Procura della Repubblica possa imporre delle assunzioni. Vado a vedere che cosa effettivamente sia accaduto e scopro quanto segue:
- la Procura non ha emanato alcun provvedimento, bensì soltanto un comunicato stampa, nel quale dà conto dei risultati, a oggi, di una propria indagine;
- l’indagine riguarda le modalità di svolgimento dei rapporti di lavoro dei rider in tutta Italia tra il 2016 e l’ottobre del 2020, cioè nel periodo precedente all’entrata in vigore sia del contratto collettivo stipulato da Assodelivery e UGL-Rider il 16 settembre 2020, sia della nuova disciplina legislativa dettata dal c.d. “decreto Di Maio”, entrato in vigore nel novembre 2020;
- i risultati dell’indagine inducono la Procura a qualificare quei rapporti come contratti di collaborazione (non occasionale, come era per lo più qualificata in quel periodo, ma) coordinata e continuativa;
- in applicazione dell’articolo 2 del d.lgs. n. 81/2015 (uno degli otto attuativi del Jobs Act), la Procura ritiene applicabile a quei rapporti la disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato;
- conseguentemente, Polizia giudiziaria e Ispettorato del Lavoro hanno emanato, a carico di quattro grandi imprese del settore, un verbale di accertamento di violazione di alcune prescrizioni in materia di sicurezza del lavoro.
Comunicato e verbali, dunque, hanno per oggetto una situazione pregressa, non quella attuale; e, soprattutto, non affrontano la questione che, in materia di lavoro dei rider, è cruciale oggi: se, cioè, il contratto Assodelivery/UGL-Rider 16 settembre 2020 applicato dall’ottobre successivo nella maggior parte delle imprese interessate sia valido ed efficace.
Quel contratto, in estrema sintesi, qualifica anch’esso i rapporti in questione come di collaborazione continuativa. Ma utilizza una possibilità offerta dallo stesso articolo 2 del d.lgs. n. 81/2015 per sostituire la disciplina generale del lavoro subordinato con una disciplina speciale costituita da uno standard minimo orario di 10 euro, la stessa normativa di tutela della salute e sicurezza, di cui gli ispettori hanno rilevato la violazione nel periodo precedente, il diritto di controllo sull’algoritmo che governa la piattaforma con cui il lavoro è organizzato, e alcune norme poste a tutela della libertà sindacale. Tutto questo è, ovviamente, discutibilissimo; ma non è materia dell’indagine cui si riferisce il comunicato della Procura milanese.
Colpisce, comunque, che nel nostro Paese l’opinione pubblica – almeno quella espressa da Twitter e Facebook – per il futuro del lavoro in questo settore (comprendendosi in questa espressione sia la sicurezza e la dignità delle persone, sia il livello dei loro trattamenti economici, sia il livello occupazionale) si attenda molto di più dall’attività della Procura della Repubblica che dall’evoluzione della contrattazione collettiva su questa materia. Non è un bel segnale circa lo stato di salute e l’autorevolezza del sistema delle relazioni industriali.
Tutti, a proposito del lavoro dei rider, parlano di schiavismo; ma nessuno considera che questa forma di organizzazione del lavoro ha consentito a decine di migliaia di lavoratori immigrati un accesso facile a un’attività redditizia, che per la collettività si è rivelata preziosa nel corso della crisi pandemica. Quanta parte di questa attività avrebbe potuto svolgersi e quante di queste persone avrebbero potuto accedervi se essa fosse stata assoggettata integralmente alla vecchia disciplina del lavoro subordinato, con il suo orario di lavoro predeterminato, la sua retribuzione per il 90 per cento fissa, le altre sue rigidità?
Quella del lavoro dei platform workers, come del resto quella dello smart working, è una questione molto complessa di adattamento del diritto del lavoro all’evoluzione tecnologica, che non può essere risolta con un meccanico e indifferenziato assoggettamento del rapporto alla disciplina del vecchio rapporto di lavoro subordinato del secolo scorso: questa estensione, se operata in modo meccanico, equivale a mettere fuori-legge un modello di organizzazione del lavoro reso possibile dalle nuove tecnologie, che invece richiede una disciplina adatta alle sue caratteristiche.
La strada migliore per costruirla è quella della contrattazione collettiva: per questo credo che almeno Cisl e Uil, se la Cgil non è disposta a entrare in questo ordine di idee, dovrebbero chiedere di riaprire con Assodelivery il discorso sul contratto collettivo nazionale, con l’intendimento di perfezionare quello già firmato con UGL-Rider. Introducendovi una ragionevole disciplina della malattia e del recesso, ma stando attenti a non soffocare sul nascere questo germoglio di una pianta che, se ben coltivata, può dare frutti molto buoni, contribuendo al superamento di strozzature e chiusure del mercato del lavoro caratteristiche del sistema tradizionale.
Dubito, invece, che possa risolvere correttamente il problema un legislatore à la Di Maio 2019. Ma sono certo che non può risolverlo un giudice penale.
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