Il platform work pone una questione di adattamento del diritto del lavoro all’evoluzione tecnologica, che non può essere risolta con il meccanico assoggettamento della nuova realtà alla disciplina del lavoro del secolo scorso
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Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 539, 1° marzo 2021, a seguito della pubblicazione del Comunicato-stampa della Procura della Repubblica di Milano del 24 febbraio – In argomento v. anche la scheda tecnica sul contenuto di quel comunicato-stampa e dei verbali di polizia giudiziaria e di accertamento amministrativo a cui esso si riferisce: ivi i riferimenti ai miei interventi precedenti sull’argomento .
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Tutti, a proposito del lavoro dei rider, parlano di schiavismo; e per qualche degenerazione a cui si è assistito ne hanno qualche motivo. Nessuno, però, considera che questa forma di organizzazione del lavoro ha consentito a decine di migliaia di lavoratori immigrati un accesso facile a un’attività redditizia, che per la collettività si è rivelata preziosa nel corso della crisi pandemica. E nessuno si chiede quanta parte di questa attività avrebbe potuto svolgersi e quante di queste persone avrebbero potuto accedervi se essa fosse stata assoggettata integralmente alla vecchia disciplina del lavoro dipendente, con il suo orario di lavoro predeterminato, la sua retribuzione per il 90 per cento fissa e le altre sue rigidità. Il platform work pone una questione molto complessa di adattamento del diritto del lavoro all’evoluzione tecnologica, che non può essere risolta con il puro e semplice assoggettamento della nuova realtà alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato del secolo scorso: questo assoggettamento, se operato in modo meccanico, mette fuori-legge un intero modello di organizzazione del lavoro reso possibile dalle nuove tecnologie, che invece richiede una disciplina adatta alle sue caratteristiche. La strada migliore per costruirla è quella della contrattazione collettiva: per questo credo che almeno Cisl e Uil, se la Cgil non è disposta a entrare in questo ordine di idee, dovrebbero chiedere di riaprire con Assodelivery il discorso sul contratto collettivo nazionale, con l’intendimento di perfezionare quello già firmato con UGL-Rider. Basterebbe introdurvi una ragionevole disciplina della malattia e del recesso. Per non soffocare sul nascere questa pianta che, se ben coltivata, può dare frutti molto buoni, contribuendo al superamento di strozzature e chiusure del mercato del lavoro caratteristiche del sistema tradizionale. Dubito che possa, invece, risolvere correttamente il problema un intervento legislativo del tipo del decreto Di Maio 2019. Ma sono certo che non può risolverlo un giudice penale.
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