I “BENEFICI” DEL BLOCCO DEI LICENZIAMENTI

A novembre 2020 i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato erano 15.202.000: la più alta quantità mai registrata nella storia del Paese; ma il dato è falsato dalle centinaia di migliaia di rapporti di lavoro tenuti in vita soltanto formalmente con il blocco dei licenziamenti

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Numero 87 del bollettino
Mercato del Lavoro News della Fondazione Anna Kuliscioff, 27 gennaio 2020, a cura di Claudio Negro – V. anche, in argomento, il numero precedente dello stesso bollettino

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I tempi di rilascio dei dati da parte delle varie Agenzie (ISTAT, INPS, ANPAL, MinLav) non consentono di fare una fotografia completa del Mercato del Lavoro nel 2020. Tuttavia la felice quasi-coincidenza dei dati ISTAT (stock) di novembre e dei dati INPS (flussi) relativi a ottobre 2020 permette di fare un’analisi che, per quanto circoscritta nel tempo, può produrre risultati interessanti.

Partiamo dai dati di stock: l’occupazione sale rispetto a ottobre dello 0,3%, ripartita abbastanza equamente tra dipendenti e autonomi. In ragione trimestrale (settembre-novembre) rispetto al trimestre precedente l’incremento è addirittura dello 0,6%. Tuttavia il dato tendenziale (novembre 2020 su novembre 2019) è ancora impietoso: – 1,7%. In ogni caso si conferma una modesta ma costante crescita che da Luglio si rileva sia per i dipendenti che per gli autonomi, tanto da riportare il tasso d’occupazione al 58,3% (dato pre covid: Marzo=58,6%). Una conferma (coerente con gli altri dati economici) del fatto che in estate, con l’apparente regredire della pandemia, l’andamento del mercato del lavoro aveva ripreso segno positivo. Tuttavia è opportuno notare che a novembre, come effetto della “seconda ondata”, il fatturato dell’industria cade del 4,1% (dato destagionalizzato) e quello del commercio al dettaglio addirittura del 13,1%: poiché il mercato del lavoro segue sempre l’andamento dell’economia reale con qualche ritardo, è presumibile che già a dicembre la tendenza positiva che abbiamo visto prima cambi segno. Del resto qualche avvisaglia la vediamo già nel mese di Novembre 2020: il Tasso di Attività (persone che lavorano o cercano lavoro) dopo 8 mesi di crescita modesta ma costante inverte la tendenza e scende al 64,2. Il tasso di attività indica il livello di fiducia delle persone di poter trovare un lavoro: è evidente che il “clima” di novembre già era percepito come sfavorevole all’occupazione. Del resto le ore di Cassa Integrazione (nelle sue diverse forme) di competenza del mese di novembre sono 8 milioni più di quelle di ottobre: segno anche questo di un rovesciamento di tendenza. Corrispondentemente sono diminuite le ore lavorate pro capite settimanalmente di 1,9 (2,5 se consideriamo anche i lavoratori autonomi) e aumentate le assenze dal lavoro (+ 3,9%). Da notare che l’apparente dato positivo del calo del tasso di disoccupazione è un puro effetto ottico: se meno gente cerca lavoro diminuisce anche il numero di chi non lo trova, il che costituisce appunto il tasso di disoccupazione.

Quanto ai flussi (dati INPS – archivio UNIEMENS) è possibile analizzare i dati dei primi 10 mesi dell’anno. Emerge subito un dato paradossale: a ottobre 2020 i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato erano 15.128.000 (a novembre addirittura 15.202.000) ossia la più alta quantità mai registrata nella storia economica del Paese. E questo nonostante le nuove assunzioni nei primi 10 mesi dell’anno siano state oltre 330.000 in meno rispetto ai primi 10 mesi del 2019, le trasformazioni di altri contratti in contratti a tempo indeterminato nello stesso periodo 190.000 in meno, e la variazione tendenziale di nuovi contratti sia stata ad ottobre del 59% inferiore rispetto a un anno fa. La spiegazione è nel calo drastico delle cessazioni: da quando, a marzo, è entrato in vigore il divieto di licenziamento per motivi economici le cessazioni sono il 70% di quelle dello stesso periodo del 2019. Ad ottobre le cessazioni erano 337.000 in meno rispetto a marzo-ottobre 2019; posto che, oltre ovviamente alle cessazioni per pensionamento, non sono state bloccate né i licenziamenti per giusta causa né le dimissioni volontarie o consensuali, è verosimile che grosso modo la cifra rappresenti la differenza tra lo stock di cessazioni fisiologiche e quelle risultanti dal “congelamento covid”, e non a caso è infatti praticamente coincidente con il dato delle minori assunzioni. Questa semplice analisi dei flussi minimizza qualsiasi ottimismo possa avere ingenerato la lettura dei dati di stock.

Ma tornando al trend ipotizzabile per il dopo – novembre, può essere interessante notare come il mensile sondaggio Unioncamere – Excelsior per il mese di ottobre segnalasse intenzione di assunzione da parte delle aziende per 281.000 unità, mentre i dati INPS mostrano che gli avviamenti effettivi (al netto di contratti a termine e intermittenti, che normalmente le aziende non segnalano nelle intenzioni di assunzione) sono stati 215.000: un 24% in meno, Per novembre le previsioni erano già in calo (265.000) ma non abbiamo ancora il riscontro degli avviamenti effettivi. A dicembre la previsione è addirittura 217.000.

Se davvero il rimbalzo del PIL nel 2021 dovesse essere solo del 3%, come prevede il Fondo Monetario, sarà davvero complicato far fronte alla situazione che si materializzerà quando, prima o poi, la CIG covid comincerà ad essere meno generosa e il divieto di licenziamento verrà rimosso. E’vero che ciò è attuabile con una certa gradualità, ma il problema di come gestire numeri del genere sul mercato del lavoro non trova soluzione nella gradualità: senza piani precisi, strumenti e operatori competenti, nonché soldi abbastanza, si rischia uno shock sociale. Tutto ciò però sembra occupare la parte bassa della classifica delle priorità del Next Generation dispensata dal Conte bis…

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